I drammi esistenziali di Always Sometimes Monsters
C'è la crisi economica, cascano gli aerei, scoppiano le guerre, l'Italia fa pietà ai Mondiali di calcio e manco è qualificata per quelli di pallacanestro, non c'è più la mezza stagione e non fanno più i Tegolini come una volta: per forza che poi ci rinchiudiamo a riccio in noi stessi e cerchiamo svago nell'asocialità divertente e spensierata del videogioco. No? No. Perché poi ti metti a giocare ad Always Sometimes Monsters attirato dallo stile tutto manga/puffettoso tipico di RPG Maker e SBAM, arrivano i pugni nello stomaco uno dietro l'altro. Niente da fare, non c'è salvezza neanche di fronte al monitor.
Che poi, magari hai giocato e amato quella delizia di To The Moon e ti aspetti qualcosa del genere, un gioco toccante, sognante, commovente, in grado di farti venire gli occhi lucidi grazie alla sua poesia, no? No. Nonostante Always Sometimes Monsters si apra in una maniera che quasi ti farebbe pensare a una cosa del genere, eh. Certo, c'è quel prologo assurdo con gente misteriosa in un vicolo che si minaccia a colpi di pistola e inizia a raccontare, ma poi sei lì, giovane, felice, talentuoso e innamorato, pronto ad avviare la tua carriera di romanziere di successo... ma che bello! Certo. Salto in avanti di qualche anno: la tua storia d'amore è andata a farsi fottere, non riesci a scrivere il tuo romanzo, non hai un lavoro, sei senza soldi, il padrone di casa ti sbatte fuori e nella cassetta delle lettere arriva l'invito per il matrimonio della tua ex. OK, scusate, torno a guardar foto di gattini su Facebook.
http://youtu.be/IBf1Bgh_lLk
Chi ritiene che un gioco di ruolo non possa fare a meno di statistiche e combattimenti vedrà in Always Sometimes Monsters qualcosa di più simile a un'avventura grafica, o a una di quelle "esperienze narrative" che vanno sempre più di moda. Io ho sempre pensato che statistiche e combattimenti fossero più che altro degli strumenti, dei mezzi molto utili, ma non necessari, tramite cui raggiungere quel che in un gioco di ruolo dovrebbe essere il punto. Cosa? Beh, interpretare un ruolo. Ecco, in questo, il gioco creato da Vagabond Dog fa il suo lavoro alla grande, a cominciare da un ingegnoso metodo di selezione del protagonista, che ricorda i trucchetti che si inventava Richard Garriott nei suoi vari Ultima. E una volta deciso il proprio personaggio e quello di cui saremo perdutamente e inutilmente innamorati, si passa a interpretare un ruolo in situazioni da vita di tutti i giorni. Più o meno.
Il protagonista è posto di fronte a uno di quei momenti catartici che tanto piacciono alla narrativa americana e noi con lui dobbiamo decidere se ignorare l'invito al matrimonio o darci da fare per essere presenti e vedere un po' come andrà a finire. Chiaramente ci sono dei margini di linearità e se decidiamo di fregarcene, beh, l'avventura perde un po' il suo senso. Se invece si decide di puntare ad esserci, poco importa se per rovinare tutto o dare l'ultimo saluto alla sposa (o allo sposo), inizia il lavoro vero e proprio. Bisogna infatti mettere assieme i soldi necessari per muoversi e la storia propone tanti modi per farlo, alcuni più leciti di altri.
Si possono trovare lavori assolutamente legali così come altri che con la legalità hanno molto meno a che vedere, si può decidere di rubacchiare denaro di qua e di là e bisogna stare attenti a come spenderlo, anche tenendo conto della necessità di cibarsi e trovare un posto in cui dormire. E in tutto questo, il gioco pone costantemente di fronte a situazioni in cui si può scegliere di comportarsi da bravi ragazzi, tipicamente imbarcandorsi in compiti di un tedio raro, oppure si può optare per la via più facile, con tutte le conseguenze e i rimorsi del caso. E chiaramente, di tanto in tanto, si presentano anche situazioni meno nette, nelle quali capita di compiere atti discutibili mentre si cerca di comportarsi bene.
http://youtu.be/7KgT13asGmU
In tutto questo, il gameplay è riassumibile nello spostarsi in giro intrattenendo conversazioni e, quando si decide di guadagnarsi il pane col sudore della fronte, nell'affrontare situazioni che sarebbe forse troppo generoso definire "minigiochi". Questa impostazione, per quanto a tratti possa risultare perfino "antipatica", finisce per regalare al gioco una personalità unica e molto forte, che punta il dito su quanto siamo disposti a farci coinvolgere realmente dall'aspetto narrativo quando davvero vogliamo giocare di ruolo. E su quanto pesi per noi una scelta morale in un videogioco. Abbastanza da spaccarci i maroni spostando scatoloni in fabbrica per chissà quanto tempo?
Purtroppo, nel corso della sua durata neanche poi scarsa, Always Sometimes Monsters è vittima di alti e bassi piuttosto netti, più che altro a causa di una scrittura che non riesce a mantenersi sempre sugli stessi livelli. Da un lato, quando centra il momento comico o lo spunto drammatico, soprattutto grazie alla brutalità con cui non trattiene mai il pugno nello stomaco, sa essere davvero efficace. Dall'altro, in certi passaggi, manca il bersaglio in maniera anche impacciata, su entrambi i fronti. Giunti alla fine, però, se ci si è lasciati coinvolgere dalla storia, dai personaggi e dalle decisioni prese, è difficile non apprezzare il modo in cui Vagabond Dog ha saputo creare un racconto intenso e in grado di proporre dubbi e riflessioni di peso.
Ho giocato Always Sometimes Monsters grazie a un codice Steam gentilmente fornito da quella brava gente di Devolver Digital. Sono giunto alla conclusione dell'avventura dopo circa sette ore di gioco, spezzate fra i giorni prima del viaggio all'E3 e i giorni prima della partenza per le ferie. Ho rigiocato un po' di volte la parte conclusiva perché volevo scoprire “cosa sarebbe successo se”. Chi si sente particolarmente ossessivo compulsivo sul “cosa sarebbe successo se” potrebbe avere margini per rifarsi tutto il gioco da capo almeno un paio di volte.