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An evening with Dante

Difficile nascondere i fatti: il nuovo Dante, quello disegnato da Ninja Theory per DmC: Devil May Cry, ha fatto gridare allo scandalo metà degli appassionati del franchise Capcom, buttando nello sconforto l'altra metà. “Chi è 'sto emo dimmerda?”, “Che fine hanno fatto i capelli bianchi?” e “ridateci il vecchio Dante!” erano più o meno le frasi che andavano a comporre il vociare per le strade dell'internet nelle ore e nei giorni subito seguenti all'annuncio di DmC, nell'ormai lontano 2010. http://youtu.be/79u9wcvYgH4

Mentirei se dicessi che io no non ho preso parte a quella barbarie ai danni del ragazzino emaciato e del lavoro di Ninja Theory. Io c'ero, carico di sconforto per aver perso una faccia amica della mia adolescenza a favore di una scelta un po' dettata dalla moda, un po' schiava del cambiamento e di quell'idea che “gli occidentali sanno fare meglio i giochi” che da qualche anno muove l'industria del videogioco nipponico e che, manco a dirlo, non mi trova assolutamente d'accordo. Che vendano di più, purtroppo o per fortuna, è un dato di fatto. Ma non mi vengano a raccontare che un God of War sia qualitativamente migliore di un Bayonetta, perché è semplicemente poco credibile (Pessino ti amo, non mi uccidere). La cura nel design dei giapponesi è semplicemente qualcosa che va oltre al semplice senso spettacolare degli americani o alla meticolosità degli europei. Basti guardare Lollipop Chainsaw, in cui forse non spicca un combat system clamoroso à la Bayonetta, ma che comunque è ampiamente funzionale allo stile magnifico e fuori di zucca dell'opera di Suda51.

Dante

Ed è proprio di stile che era fatto Devil May Cry, almeno alle origini, quando l'idea venne fuori dalla magnifica testa nipponica di Hideki Kamiya. Non è mai stata una semplice questione di action fine a sé stesso, era qualcosa di più. Era avere un protagonista tamarro fuori da ogni scala, che diceva la cosa spaccona al momento giusto facendo gasare il giocatore e, soprattutto, era l'idea di cui era permeato il gioco: più le combo erano coreografiche, più il punteggio aumentava. E mano a mano che si sbloccavano nuove armi, le possibili combinazioni e il coinvolgimento nel gioco aumentavano esponenzialmente, riuscendo ad incollarci allo schermo per affettare ancora, con più stile. Fu così che nacque lo Stylish Action, anche se non era solo l'azione ad essere stilosa.

Certo, è probabile che la mia memoria sia troppo benevola con il primo DMC. E l'aver giocato Bayonetta in tempi più recenti, di certo, ha contribuito ad un aumento degli standard generali del genere. Ma quel Dante lì, tutto smunto e corvino, semplicemente non mi ha mai convinto. Né a livello di design, cosa che comunque in un gioco che si è sempre dichiarato Stylish Action aiuta, né sapendo che dietro a lui c'erano i Ninja Theory, autori di quei Heavenly Sword ed Enslaved che di certo non hanno un posto speciale nel mio cuore.

Limbo City

Durante gli scorsi mesi, pubblicando notizie e video del gioco, mi sono ritrovato però a pensare che, oh, tutto sommato, visivamente funziona. L'idea di Limbo City, un ambiente distopico in cui la città è contro di te e te lo fa capire a chiare lettere, con scrittone fluo che vengono fuori dalle pareti... funziona. La colonna sonora anche, è forse l'elemento migliore dei trailer. A quel punto mancava solo di mettere mano al gameplay.

E qui arriva la mia Evening with Dante. Grazie alla demo disponibile su Marketplace e PSN, finalmente si può avere un primo feedback sull'unico dubbio possibilmente rimasto sul prodotto dei Theory. Il primo impatto, appena finita la cutscene che ci introduce un po' lo stato pietoso di Limbo City e la cattiveria dei suoi regnanti, è inaspettatamente positivo, e richiama subito alla mente i Devil May Cry precedenti. Un tasto per la spada, un tasto per lanciare in aria i nemici, e un tasto per le fedeli pistole Ebony & Ivory, che permettono di tenere aperta la combo in caso il nemico si sia allontanato troppo dal raggio d'azione della spada. Spada che introduce una novità interessante... anzi, due: l'Angel Lift e il Demon Pull, che permettono, attraverso la pressione dei tasti dorsali, rispettivamente di catapultare Dante al cospetto dei nemici o di attirare questi ultimi a verso di lui.

Falce

Non solo, tutta la città è piena di segreti da scoprire e di elementi più o meno nascosti che possono essere attivati grazie al Demon Pull, tirando letteralmente fuori dallo scenario piattaforme e quant'altro, e sulle quali poter arrivare grazie all'Angel Lift. Attraverso la pressione dei tasti dorsali, tra l'altro, la spada di Dante viene trasformata fisicamente in una falce, che produce attacchi veloci e leggeri ma ottimi per le situazioni più affollate, oppure in un'ascia, pesante e dal raggio corto ma devastante, capace di rompere la guardia avversaria. Insomma, chapeau al lavoro di Ninja Theory, che nel breve spazio di una demo mi ha fatto sentire a casa, pur lasciando chiaramente intendere che c'è ancora margine per qualcosa di più.

La demo propone, oltre ad un livello cittadino, anche un boss fight. Solitamente, i boss fight di DMC erano i momenti in cui si vedeva una cutscene di Dante impegnato a fare battute sagaci sul mostro di turno, i momenti in cui, sostanzialmente, avevi un'idea di chi fosse il personaggio. Beh, in questa demo, non so se è stato il doppiaggio o meno, la mia idea di questo nuovo Dante non è migliorata granché. Voglio dire, il vermone stava lì, a sputare (letteralmente) sentenze sulla madre del povero Dante, e quello stava lì a subire, venendosene fuori con un poco brillante “vaffanculo tu”. Mhh, dai, puoi fare di meglio.

Vermone

Tirando le somme, dunque, DmC: Devil May Cry è un gioco che non è assolutamente figlio dei pregiudizi, dimostrando anzi di nascondere bene l'assenza dei 60 FPS e portando in scena un ambiente vivo e d'impatto, rafforzato da una struttura di gioco solida, che certamente saprà galvanizzare anche i fan di vecchia data. Tuttavia, la presenza di quel protagonista lì, con il carisma di un Robert Pattinson qualunque e la cui battuta sagace è “vaffanculo tu”, beh, non può che essere visto come una conferma del fatto che forse, almeno il character design, era meglio lasciarlo fare a chi se ne intende.