Another World: un uomo, un mondo (alieno), un'esperienza unica! | Racconti dall'ospizio
Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.
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Notte. Una Ferrari inchioda davanti a una struttura illuminata solo da una falce di luna. Scende un uomo che entra nella struttura superando diversi sistemi di autenticazione. L’uomo accede ad un computer mentre fuori inizia a scatenarsi una tempesta di fulmini. È un laboratorio, l’uomo dà l’OK all’inizio di un test. È solo, apre una bibita e sullo schermo olografico del terminale si vedono dei dati che iniziano a cambiare. All’interno della struttura è installato un acceleratore di particelle e quando si verifica l’impatto pianificato un fulmine colpisce la struttura facendo scomparire di colpo l’uomo assieme a tutto il terminale.
Questo è l’incipit di Another World, e per anni è stata la cosa più cinematografica che si è vista sugli schermi di un computer o una console probabilmente fino all’intro di Half-Life.
Another World nasce su Amiga 500 praticamente dalle forze di un solo uomo, Éric Chahi, che dopo una gavetta da programmatore solitario era riuscito ad approdare in Delphine Software per lavorare su Future Wars come lead artist. Dopo il grande successo del gioco, davanti ad Eric si prospettò una scelta fondamentale per il suo futuro: lavorare al nuovo titolo di Delphine Software e, quindi, diventare parte di un team, oppure intraprendere nuovamente la strada dell’one man show e sviluppare il suo progetto più ambizioso, Another World, appunto.
Per fortuna il programmatore francese non ebbe grossi dubbi, e nonostante tornare a fare praticamente tutto da solo avrebbe significato portare sulle proprie spalle il peso dell’intero progetto (e dell'eventuale suo fallimento), decise che era molto più importante puntare sulla sua visione.
Another World nasce nella testa del suo creatore, come si può intuire dalla sequenza iniziale, proprio come l’ottica di dare al giocatore un’esperienza coinvolgente, cinematografica (per quanto fosse possibile nel 1991 con 512KB a disposizione) e memorabile.
Lester Chaykin, questo il nome dello scienziato che conosciamo all’inizio, dopo il fulmine che ha compromesso l’esperimento, viene catapultato in una vasca piena d’acqua, cosa che già ci destabilizza perché non si coglie subito che la sequenza di apertura è finita e che dobbiamo tornare in superficie pena la morte. Il giocatore si trova quindi di fronte a un mondo nuovo, con un panorama a perdita d'occhio, strani volatili che migrano in lontananza, un cielo terso bellissimo, tutto il contrario della situazione claustrofobica del laboratorio, con una particolarità che non tutti notano subito: non ci sono indicatori. Nessuna barra della vita, nessun tempo da rispettare, niente. Siamo soli, in un mondo a noi sconosciuto, senza nessun aiuto e con la prospettiva di lasciarci la pelle ad ogni schermata.
Another World è uno di quei titoli che basa l’apprendimento delle meccaniche di gioco uccidendo il protagonista. Se avete giocato Limbo sapete come ci si sente. Personalmente, se il gioco è fatto bene, ben bilanciato e non troppo frustrante, questo metodo non mi ha mai disturbato, anzi, il capire la meccanica da adottare in quel frangente per non vedere più il protagonista finire disintegrato o bruciato o schiantato dona anche quella gratificazione che è sempre piacevole.
Another World (ah, dimenticavo, io giocai la versione americana per SNES, intitolata Out of This World), come molti altri giochi dell’epoca e non solo, deve gran parte del proprio fascino dall’ispirazione nata dai lavori di Jordan Mechner: Karateka e Prince of Persia. Per Another World infatti il Chahi utilizzò la tecnica del rotoscoping, filmando i movimenti dei personaggi per poi riprodurli in poligoni 2D. Questa soluzione, se da una parte ha permesso di gestire in maniera molto più semplice la camera delle sequenze di intermezzo risparmiando risorse computazionali, dall’altra ha il difetto di non poter permettere una definizione dei particolari pari a quella degli sprite. Chahi però ha fatto di questo “contro” un punto di forza, giocando tantissimo sui contrasti di luci utilizzando le sagome e le ombre per definire alcuni personaggi o oggetti, lasciando all’immaginazione del giocatore le parti mancanti.
Inoltre, Another World è un’avventura viva ed emozionante senza una riga di testo o una voce narrante. Lo scienziato e l’essere con cui cerca di salvarsi la pelle cooperano comunicando solo attraverso gesti o sguardi, nient’altro; un aspetto che rende il sodalizio dei due personaggi così diversi indissolubile e istintivo.
Another World però non è stato solo un grandissimo successo apprezzato da tutti: anche lui, come tanti giochi innovativi, ha subito la sua dose di critiche. Prima di tutto per la lunghezza. Il gioco, una volta imparati trucchi, schemi e percorsi, si completa in una mezz’ora scarsa. È corto, ed è uno dei titoli, forse l’unico, che ho rigiocato più e più volte (ormai non morivo praticamente più) come se, anziché di essere davanti a un videogioco, fossi sul divano a riguardare un episodio della mia serie preferita.
Chahi per ovviare a questo problema inserì nelle versioni successiva per PC e Mac (e poi console) una sequenza aggiuntiva, cosa che però non incise poi molto nella durata complessiva.
L’altro punto controverso di Another World è il suo finale. Non starò qui a raccontarlo ma io l’ho sempre trovato una delle conclusioni più belle di sempre. Chi non lo ha apprezzato al tempo probabilmente uccideva cuccioli di foca per per diletto.
Purtroppo il seguito, Heart of the Alien attesissimo dal sottoscritto, uscì solo per MegaCD e lo dovetti recuperare tramite emulazioni varie. Complice il fatto che non aveva quell’aura di magia del titolo originale mi lasciò parecchio interdetto, assieme alla sensazione di una grossa occasione sprecata. Questo però non non toglie che Another World rimanga tutt’ora uno dei miei giochi preferiti; anzi, una delle esperienze più emozionanti di sempre.