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Aquaman è una tamarrata divertentissima che se ne frega di tutto (e va bene così)

Qualche giorno fa, mentre salivo di corsa le scale mobili diretto all'anteprima di Aquaman, avevo il sopracciglio alzato per lo scetticismo, ché temevo il pippone mitologico borioso o, peggio, la minchiata. Si vede che la sbronza triste di Batman v Superman: Dawn of Justice non mi era ancora passata, nonostante il pur decente Wonder Woman e Justice Leag… Ah, no, quello non l’ho visto. Ad ogni modo, due ore e rotti più tardi sono uscito dal cinema con un sorrisone largo così.

Diretto dall’australiano James Wan (noto soprattutto per horror come i due The Conjuring e Saw – L’enigmista ma anche per aver tenuto in mano il volante di Fast & Furious 7) e scritto da David Leslie Johnson-McGoldrick (di nuovo, The Conjuring - Il caso Enfield) e Will Beall (Gangster Squad) su soggetto degli stessi Wan, Beall e di Geoff Johns (co-autore di un sacco di roba per la TV targata DC, tipo Arrow, Titans e Smallville), Aquaman fa luce sulle origini del metaumano Arthur Curry (Jason Momoa), nato dall’unione tra il guardiano di un faro, Tom (Temuera Morrison) e la nobile atlantidea Atlanna (Nicole Kidman).

Il percorso di Arthur verso la sovranità ricalca quello classico dell’eroe: all’inizio c’è il rifiuto della chiamata all’avventura, ché Momoa, fosse per lui, non farebbe altro che bere birra in compagnia del padre e di un gruppo di simpaticissimi motociclisti. Dopo un po’, però, ragionevolmente, il nostro cede e finisce per assumersi le proprie magagne, in via delle validissime argomentazioni di Mera (Amber Heard, qui in versione principessa Disney zozza ma tosta), ma soprattutto per la stronzaggine del fratellastro Orm (Patrick Wilson), che vuole fare casino sia sopra che sotto il livello del mare. Attaccate alla tappezzeria, ci sono pure un paio di vecchie glorie, Dolph Lundgren e Willem Dafoe, che dove le metti stanno.

«Ho indossato la prima cosina che ho trovato».

Va detto che Aquaman non parte subito in quarta, anzi. L’attacco non è il massimo, con quella sequenza del sottomarino abbastanza inutile, che serve giusto a calare l’altrettanto inutile personaggio di Manta (Yahya Abdul-Mateen II), già pronto a tornare in eventuali sequel.

Anche i segmenti di Arthur ragazzino sono un po’ meh, soprattutto quando arriva il momento “Harry Potter in pescheria”, e in generale, la prima mezz’ora di film con gli spiegoni, i colori sparati e la CG di gomma stava quasi per confermare le mie ansie. E invece ero io che stavo correndo verso la porta sbagliata, e fortuna che me ne sono accorto per tempo. Tutte quelle pose plastiche e le musiche ridondanti non erano state messe lì per costruire chissà quale epica di stocazzo. Piuttosto, per permettere a Momoa di prestare muscoli e rutti al più simpatico tra gli eroi (cinematografici) DC.

Quando entra nella parte centrale, Aquaman cambia pelle e si trasforma in un favoloso buddy movie “lui & lei”. Una versione con i supertizi di All’inseguimento della pietra verde, che permette al protagonista e alla sua inseparabile socia di scivolare senza reverenze lungo scene d’azione fuori misura, uscite da ganassa e improbabili linee comiche.

Merito del cast, evidentemente affiatato, con Momoa e la Heard in testa, della messa in scena, che pennella i colori (un sacco di colori) fuori dai bordi ma mai troppo fuori, e soprattutto di una scrittura semplice e solida, che è sempre al servizio dei personaggi e mai viceversa. Wan è perfettamente consapevole della tamarrata che sta girando e se ne frega, fintanto che riesce a tenerla in equilibrio. Chiaro che non siamo davanti a un action sofisticato né a una finezza tipo Spider-Man: Un nuovo universo; qui la regia si diverte a punteggiare l’azione con ralenti e pose plastiche tremendamente banali, eppure tremendamente efficaci. Tiene il ritmo e non arretra di un passo. Si potrebbe descrivere Aquaman come una rocambolesca valanga che travolge un sacco di riferimenti pop: da Jurassic Park a Jules Verne, passando per i film di mostri, i Tokusatsu, I Cavalieri dello zodiaco (a margine: figo il design di costumi e battle suit), giù giù fino a Free Willy (giuro!).

Figo, ma la battle suit “tokusatsu” di Manta è senza senso.

E poi Alien, Predator; no, meglio: Alien vs. Predator, con tanto di una Kidman rasta in vece del secondo. C’è il ciclo arturiano a grana grossa, ovviamente, ma anche la roba tolkeniana di Peter Jackson, Pinocchio e addirittura i cinepanettoni, perdio. Tutta la parte in Sicilia è talmente stereotipata da fare il giro e diventare quasi originale, e l’italiano gode doppio, quando gli atlantidei iniziano a scoccare frecce a base di vino (sic.) davanti alla “Banca di Fiducia”. Del resto, a un film che non si vergogna di chiamare un arma “bazooka al plasma energizzato”, che gli vuoi dire?

Ah, immagino che Wan sia pure un impallinato di videogiochi, stando a tutti i riferimenti estetici e di linguaggio, infilati nel film con amore e sincera passione. Al di là degli high five a Halo e agli FPS (bellissima quella sparatoria che passa dalla terza persona alla soggettiva) o del finale à la Metal Gear Solid 4, è difficile per un giocatore non fare caso alle gerarchie cromatiche tra minion, boss e miniboss. Tuttavia, la roba più clamorosa resta quell’omaggio grande come una casa a Indiana Jones and The Fate of Atlantis, con tanto di Amber Heard in versione Sophia Hapgood impegnata a risolvere enigmi.

"Usa la Pietra del Sole con il mandrino".

Preso con lo spirito giusto, Aquaman fa ridere, diverte. Eppure, la via delle battute sguaiate, delle zinne de fori e dei pettorali tonanti, alla fine, riesce a trascinare il film verso la dimensione epica con più efficienza rispetto a tanta roba seriosa che gira. Un po’ alla maniera di Thor: Ragnarok, che probabilmente ha indicato la via, e proprio come per il film di Waititi, sui titoli di coda mi è presa una gran voglia di bere una birra assieme ai ragazzi del cast. Magari scura, come quella che servono nel sudicio, bellissimo pub sull’oceano bazzicato dal vecchio Tom.

Ho guardato Aquaman in anteprima e in lingua originale, grazie a una proiezione stampa alla quale siamo stati gentilmente invitati. Dalle nostre parti, il film uscirà il primo gennaio: consiglio la visione post-cenone, ché brillano più botti lì che a Secondigliano.

Ah, già, il poster cinese.