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Basta con tutte queste storie

Vi capita mai di avere un pensiero fisso, un’idea ricorrente, e di avere l’impressione che il mondo intorno a voi non faccia altro che ricordarvelo? Un po’ come quando si è innamorati e ogni canzone, film e libro sembrano avere a che fare con la persona amata e con quello che sta succedendo a noi e alla nostra relazione. Ecco, a me in questi giorni sta accadendo con le storie e la narrazione nei videogiochi e, combinazione, ci sono stati numerosi articoli e diverse notizie che mi hanno fatto pensare a questo argomento, tanto che ho deciso di scrivere qualcosa al riguardo.

Io sono piuttosto all’antica, quando si tratta di videogiochi: la cosa più importante per me è che siano divertenti da giocare. Tutto il resto è accessorio (persino la realizzazione tecnica, entro certi limiti) ed è fondamentale che gli elementi che fanno da contorno alle meccaniche non s’intromettano nel fluire del gioco. Sopporto mal volentieri le scene d’intermezzo che interrompono l’azione, anche se realizzate in maniera magistrale come quelle di Metal Gear Solid 3, per citare un gioco che mi ha particolarmente colpito sotto questo punto di vista. È anche per questo che quando mi chiedono “Com’è la storia di un gioco?” faccio fatica a non rispondere con uno scocciato “Ma chi se ne importa della storia”, soprattutto quando di tratta di giochi d’azione come possono essere gli sparatutto in prima e terza persona o gli action come Bayonetta e God of War. È difficile che mi metta a giocare a qualcosa per la storia, per sapere cosa succede ai personaggi, per quello ho film e libri, che consumo in grande quantità.

Non ho problemi ad ammettere che si tratta di un mio limite, ma mi viene da chiedermi se non sia anche una questione di qualità delle storie che i videogiochi vogliono raccontarci e delle modalità narrative adottate per farlo. Mi scappa da ridere quando, in fase promozionale, sviluppatori e publisher si vantano di aver affidato la stesura della storia a chissà quale nome altisonante del cinema, della letteratura o dei fumetti, soprattutto quando poi i risultati sono come quelli della scena della morte dell’ufficiale comandante di Marcus nelle fasi iniziali di Gears of War. Ricordo ancora benissimo il mio totale disinteresse per la morte di un personaggio di cui non m’importava assolutamente nulla e il senso del ridicolo provato mentre assistevo alla scena della sua uccisione, mostrata in un modo che, nelle teste degli sviluppatori, probabilmente avrebbe dovuto essere toccante. Peccato che gli autori non avessero considerato che la maggior parte dei pochi minuti passati in compagni del suddetto personaggio erano stati impegnati per eliminare i nemici e prendere confidenza con i controlli. È davvero così importante per gli sviluppatori impegnarsi a questo punto per raccontarci una storia che, il più delle volte, è solo poco più di una scusa per uccidere ondate di nemici anonimi? È davvero necessario interrompere l’azione di un Call of Duty a caso per tentare di contestualizzare quello che sta per accadere a schermo e poi riproporci lo stesso schema di gioco con texture e ambientazioni differenti?

Confesso però che ci sono giochi che ho provato e finito volentieri anche per merito della storia. I tre Mass Effect ne sono un esempio, oppure i due The Witcher. Di recente ho molto apprezzato i due episodi di The Walking Dead, con il loro modo intelligente e stimolante di fondere meccaniche di gioco e narrativa. In fondo non è solo una questione di qualità delle storie raccontate, ma anche e soprattutto di come queste storie sono narrate. Ci sono tantissimi film che riescono ad essere bellissimi nonostante abbiano una trama scontata e già vista mille volte (i rifacimenti non avrebbero ragione di esistere, se volessimo sentire solo storie originali), e lo sono proprio grazie a elementi accessori alla narrazione come regia, recitazione e fotografia, solo per nominarne alcuni. I videogiochi hanno il limite enorme di non essere ancora riusciti a trovare uno standard narrativo che sia davvero loro, a creare un modo di raccontare storie che non sia mutuato da altri medium. Le scene d’intermezzo non sono altro che piccoli film incastrati tra una sezione di azione e l’altra e le pagine dei diari che troviamo sparse per i livelli arrivano direttamente dai libri che teniamo sui nostri scaffali. E per quanto possano essere realizzati e scritti bene, mancano di quella qualità fondamentale che distingue il videogioco: l’interattività. Mass Effect e The Walking Dead (ma ce ne sono altri, come per esempio i due Portal e sua maestà Half Life 2) hanno il grande merito di riuscire a integrare la narrazione con le meccaniche di gioco e di non considerare questi elementi come unità distinte e separate. Leggere una pagina di un diario (quelle di Deadlight le ho saltate tutte) o assistere a una scena d’intermezzo mi fa sentire come se non stessi più giocando, mentre nei giochi appena menzionati la narrazione non è una cosa astratta, ma è parte integrante del gioco, sebbene il meccanismo debba essere ancora perfezionato, come ha dimostrato Heavy Rain. Non è nemmeno necessario che il gioco mi dia la possibilità di influenzare la trama con le mie decisioni, quello che è importante è che mi dia l’illusione di poterlo fare. Idealmente, la sospensione dell’incredulità dovrebbe funzionare così nei videogiochi, dovrebbe puntare sull’interattività, vera o fittizia, della narrazione. Alla fine non importa se non ho davvero mai avuto la possibilità di salvare la vita di uno dei coprotagonisti, mi basta l’illusione provata negli istanti precedenti alla sua morte che sarebbe bastato poco per salvarlo.

Auspico che prima o poi gli sviluppatori abbiano più fiducia in se stessi e in noi utenti, imparino a sfruttare a fondo le caratteristiche del medium videogioco e approfittino della sua interattività insita per raccontare le loro storie, invece di limitarsi a scimmiottare film e libri. Non pretendo che creino opere del calibro della Divina Commedia (Dante’s Inferno, calmati, torna a sederti), ma persino storie banali e poco originali come quelle che ci rifilano regolarmente potrebbero essere più sopportabili e persino godibili se raccontate in un modo che non mortifichi il videogioco e noi utenti. Non mi sembra di chiedere molto, in fondo.