Binary Domain: vince chi seppellisce il robot vivo
Binary Domain non è il primo clone di Gears of War, né sarà l'ultimo. In un incestuoso rapporto fatto di ibridi action, platform e sparatutto in prima persona, il genere ha visto proliferare una marea di creature. In questo immenso parco naturale, il titolo Sega traccia il territorio cercando di ritagliarsi uno spazio fatto di drammi, questioni morali, introspezione e azione forsennata. Una miscela sicuramente già vista, sia in termini videoludici che narrativi, ma non per questo meno degna d'attenzione.
D'altronde, i trailer che hanno costellato la rete non lesinavano chiari riferimenti a pilastri della fantascienza come Isaac Asimov e il suo Io, Robot o Philip K. Dick con Blade Runner (in originale: Ma gli androidi sognano pecore elettriche?). Temi abusati, quindi, ma sempre carichi di fascino etico, se sfruttati a dovere. Una task force, pronta a sedare i focolai generati dai robot senzienti, si ritroverà in un gioco politico più grosso di lei. Una multinazionale, infatti, sta tessendo le fila per un progetto tanto ambizioso quanto terrificante: creare androidi indistinguibili dagli esseri umani. Uno degli aspetti distintivi di queste creazioni è la loro inconsapevolezza di essere artificiali, rinforzando quel lato della trama che gira attorno a vari quesiti morali: cos'è la vita? Chi può definirsi realmente vivo?
La narrazione accompagna in maniera robusta un sistema di controllo totalmente simile a quello di Gears of War. Tuttavia, per i maniaci degli FPS, non manca una modalità in cui si corre premendo L3, si ricarica con X o quadrato e si sferrano attacchi corpo a corpo tramite R3. In tal modo, se venite da uno sparatutto in soggettiva, non perderete nemmeno il continuum ludico, segno dell'intenzione da parte degli sviluppatori di puntare molto su fruibilità e immediatezza. Binary Domain è quindi un videogioco fortemente derivativo, che cerca di distinguersi dalla massa tramite alcune caratteriste dal retrogusto tipicamente nipponico. Cominciamo dai comandi vocali: con l'ausilio di una cuffia - quantomeno nella versione Xbox360 - potrete gestire in maniera molto elementare il vostro team. I comandi si limitano a: "coprimi, spara, avanzate e raggruppamento", azioni che per altro la CPU svolge già in maniera diligente, prescindendo dai vostri ordini. Una volta liberati dalla curiosità di parlottare in cuffia, deputerete i comandi al semplice dorsale sinistro, almeno riguardo la modalità ad un giocatore. Ulteriore caratteristica, che come le altre sa più di fumo che d'arrosto, è il livello di fiducia. Tra una lotta e l'altra, o anche durante le stesse, possono capitare dei siparietti nei quali si può rispondere a tono, instaurando rapporti più o meno saldi con i protagonosti. Questo, oltre a influire in maniera banalotta in certi passaggi della trama, ha un impatto del tutto accennato quando si applica al rigore dei comandi impartiti. Teoricamente il rapporto di fiducia dovrebe rendere i comprimari più solerti nell'eseguire gli ordini, ma a conti fatti, anche grazie ai veloci cambi di organico, ci si rende conto che la cosa non è sviluppata al meglio: le new entry, difatti, non soffrono di snobbismo o mancanza di fiducia, obbedendovi in ogni caso.
Dove troviamo un po' di ciccia è nell'upgrade dei personaggi. I potenziamenti avvengono sia per le armi principali (potenza di fuoco, portata, caricatore, etc) che per una minuscola griglia dove porre delle sfere dotate di particolari poteri. Certamente, essendo la dimensione della griglia di 2x2, capirete come anche questo fattore sia solamente accennato. Una sfera per il caricamento veloce, una doppia sfera per l'aumento della resistenza, e così via. Per quanto in gioco questo non stravolga le sorti della battaglia, portare più medikit, o rigenersi velocemente, ha di certo una sua utilità. Quello che lascia un po' di amaro in bocca, anche in modalità difficile, è la semplicità di molti passaggi. In primis, la rianimazione da parte dei compagni annulla il senso di sfida, a patto che non acquistiate kit medici in quantità. Un po' come le camere della vita di Bioshock: se saprete giostrarvi, la difficoltà passa da "corsetta" a "maratona", ma l'autolimitazione, in un videogioco è sempre segno d'una sconfitta da parte degli sviluppatori. A sollevare le sorti del titolo Sega vi è una narrazione mai invasiva e sempre interessante. Benché i temi affrontati non si discostino da quanto abbiamo già letto e visto in dozzine di libri e film, tutto è raccontato con maestria. Cutscene, ora spettacolari, ora più riflessive, caratterizzano con dovizia i personaggi, anche se non mancano stereotipi da machismo americano, che stonano ancor di più all'interno della sceneggiatura nipponica. I controlli impeccabili rendono le partite molto scorrevoli: infierire sulle "teste di latta" sprigiona un piacere catartico, anche se l'I.A. che le caratterizza non è eccezionale. Per contro, risultano davvero epici, e finalmente impegnativi, gli scontri con i boss. Ad insaporire ulteriormente la portata ci pensa una cooperativa liscia come l'olio in quanto a lag, anche se abbiamo incontrato una certa difficoltà a trovare un buon numero di alleati online. Ecco che la cuffia, in questo caso, assurge ad elemento principale in ambito di puro sollazzo.
Una nota di biasimo per il doppiaggio. Pur non annoverando il solito elenco di voci note, i toni, le inflessioni e l'espressività generale mancano totalmente di pathos, rendendo alcuni protagonisti addirittura petulanti, nella loro enfasi del tutto immotivata. Per fortuna, la grafica si presenta più che bene, pur ostentando spesso velleità quasi monocromatiche. Il grigio metallico degli interni, o quello delle cittadine brulle sotto l'assedio dei robot, si alternano a passaggi sicuramente più ispirati, dove cittadine futuristiche, autostrade e boss titanici riempiono lo schermo con relativa disinvoltura.
Binary Domain non è il Vanquish in salsa Gears che molti si attendevano. Tuttavia, la grafica dignitosa, soprattutto nei modelli dei personaggi, gli ottimi controlli e la narrazione ben scandita e ricca di cutscene carismatiche rendono il titolo Sega tra le migliori produzioni nipponiche che fanno il verso a Marcus Fenix e i suoi nerboruti compagni.