Il folklore di Black Book
A volte, quando si ha la fortuna di poter recensire videogiochi, capita di trovarsi tra le mani un gioco di cui non si sapeva niente fino a pochi minuti prima. È una sensazione strana ed emozionante, perché significa che si sta per provare qualcosa di molto interessante o una vera e propria ciofeca. Ebbene, Black Book è un gioco di cui non sapevo niente e, con mia sorpresa, si è rivelato essere estremamente interessante.
La trama iniziale è piuttosto semplice, una donna dell’est europeo ha perso da poco il marito e decide, con la guida del nonno, di diventare una strega e affrontare demoni infernali per rompere sette sigilli e poter riportare in vita il suo amato. A rendere estremamente interessante Black Book sono le meccaniche che lo contraddistinguono, il suo stile di gioco, e in generale l’atmosfera unica e decisamente peculiare e folcloristica. Il personaggio che si interpreta è una giovane donna alle prime armi con incantesimi e creature sovrannaturali, ma nonostante questo deve affrontare sfide quasi insormontabili per poter realizzare il suo desiderio. Nel corso del suo viaggio, incontrA vari personaggi e situazioni da risolvere dialogando o indagando ed è proprio in queste ultime che in realtà ho avuto quasi la sensazione di star giocando a un gioco di ruolo da tavolo, con vari indizi che devono venire interpretati prima di poter fare la scelta giusta.
Non mancano poi i combattimenti, rigorosamente a turni, in cui l’eroina affronta mostruosità infernali a suon di incantesimi, maledizioni e sigilli di protezione. Fare combinazioni di varie abilità diventa rapidamente fondamentale e ad ogni turno possono venir giocate più carte contemporaneamente, al fine di sbloccare vari effetti, attaccare, difendersi o ottenere una sinergia tra due o più abilità. Questo è necessario perché spesso si devono affrontare da soli intere squadre di demoni, che ad ogni turno si lanciano potenziamenti tra di loro, mentre un altro protegge dai danni e un altro ancora sferra attacchi. Diventa quindi necessario creare combo vere e proprie tra i vari incantesimi, per ottenere il maggior vantaggio possibile, sferrare i maggiori danni e al tempo stesso coprire le proprie vulnerabilità.
I combattimenti con le carte sono decisamente complessi, e serve un po’ di tempo per creare un “mazzo” adeguatamente efficace, che abbia una buona alchimia tra gli incantesimi contenuti al suo interno.
Oltre a questo, anche la direzione artistica del gioco è più che degna di nota, con atmosfere quasi acquarellate, create con pochi poligoni e colori più o meno delicati. Chi si è occupato della direzione artistica è riuscito decisamente a incarnare il principio di “less is more” e a creare un gioco che immerge il giocatore in un atmosfera esotica a partire dallo stile visivo.
Ma già che l’ho nominata, è l’atmosfera (seguita da vicino dalle meccaniche del gioco di carte) il vero vincitore. La mitologia e le atmosfere da racconto popolare slavo/esteuropeo calano qualcuno che non è abituato a simili tinteggiature, come posso essere io, in una sorta di mondo fatato, in cui dietro ogni angolo può nascondersi uno spirito più o meno malvagio. I nomi degli incantesimi, le situazioni, i personaggi che si incontrano sono tutti rappresentativi dell’origine geografica del gioco. A un certo punto, ho provato anche a mettere il doppiaggio in lingua originale (è presente anche in inglese) e l’effetto straniante è stato pressoché istantaneo ma, in realtà, fondamentalmente delizioso.
Su Outcast stiamo cercando di evitare le recensioni classiche ma in questo caso ci tengo a sbilanciarmi: se si vuole qualcosa che ricorda un po’ The Witcher: Thronebreaker ma con un’atmosfera davvero davvero unica e particolare, vale assolutamente la pena di dare uno sguardo più attento a Black Book. Può non essere rifinito e “attento” ai dettagli come il gioco CD Projekt… ma dalla sua ha un’anima molto più popolare e folcloristica.