Paperback #31: BLAME! - Adventure-seeker Killy in the Cyber Dungeon Quest
Paperback è la nostra rubrica in cui parliamo di libri e fumetti non legati al mondo dei videogiochi. Visto che per quelli legati al mondo dei videogiochi c’è quell’altra.
Quando si parla di fantascienza nipponica, BLAME! assurge spesso a straordinario e inarrivabile metro di paragone. L’opera di Tsutomu Nihei, tuttavia, non ha sempre incontrato il favore unanime di pubblico e critica. Certo, questo si potrebbe dire di qualunque opera nota all’interno di un contesto mediale, ma nel racconto di Nihei, le rimostranze mosse, spesso, coincidono o si sovrappongono coi punti salienti del manga. La sinossi è volutamente sibillina, come l’intera matrice narrativa, e non sarò certo io a tentare di spiegarla o riassumerla, come “normalmente” avviene per un fumetto.
Mi limiterò a seguire il fugace codice morse dei ricordi, rumori lontani che prendono forma senza il sostegno di dialoghi che possano avvalorarne il peso. Killy, un giovane (?) uomo (?) armato di una pistola dalla straordinaria potenza distruttiva, si aggira nei meandri di un labirinto infinito, un groviglio meccanico che - forse - delinea un possibile futuro del nostro pianeta. La strenua ricerca dei geni per i terminali di rete, qualunque cosa siano e a qualsiasi cosa servano, diventa presto la metafora di un viaggio iniziatico, un percorso dai connotati quasi mistici, e per tale ragione molto lontano dalla concezione di “narrativa fantascientifica” nel senso più comune del termine.
Osservando le straordinarie tavole del maestro Nihei, è impossibile non ravvisare le contaminazioni di artisti come Giger o Escher, con geometrie ossessive e morbose che si fondono in un gigantesco pozzo di pietra e acciaio. La verticalità, a tal proposito, è uno degli elementi cardine del manga: l’estensione degli ambienti, suddivisa in livelli, ricalca neanche troppo velatamente i gironi danteschi, ricoprendoli di cavi, ponti, scale ed esseri dalla natura indefinita. Il fascino malsano per questi luoghi impossibili, questi spazi immensi che convergono in angusti pertugi, trasmette sensazioni che passano dall’agorafobia alla claustrofobia nello spazio di una pagina.
L’ermetismo della storia, che si racconta attraverso gli scenari ben più di quanto facciano i (pochissimi) dialoghi, è il cuore dell’intera esperienza (de)costruita dalle tavole di Nihei. Una lettura straniante, labirintica, che non si prende la briga di spiegare, limitandosi a condurre le danze attraverso lo sguardo, insinuandosi nei corridoi infiniti e rilucendo negli occhi di macchine dalle fattezze (e origini?) umane. Questo tipo di linguaggio visivo è assai caro a certi pilastri della fantascienza moderna ed è stato utilizzato, tramite il cinema e la letteratura, da artisti come David Cronenberg e J. G. Ballard.
BLAME!, tuttavia, tramite un astruso coacervo di ponteggi, scalinate, cunicoli e l’atavica ricerca di un’umanità perduta (solo una delle innumerevoli chiavi di lettura del manga), fugge non solo dagli spiegoni, ma anche dalle motivazioni più semplici che spingono il protagonista ad agire. In molti non hanno gradito l’approccio criptico scelto da Tsutomu Nihei, scambiando il suo ermetismo con vana auto-compiacenza. La storia della comunicazione visiva, però, ci ha insegnato che raramente le opere più straordinarie sono anche quelle unanimamente e immediatamente riconosciute. Risulta facile acclamare qualcosa che pizzica determinate corde, deliziandoci con una musica confortante. Ben più complesso stordirci con un colpo di pistola, lasciandoci poi da soli a riflettere su un silenzioso e gelido mondo di ferro.
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata ad Alita e alla fantascienza giapponese moderna, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.