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Lo sport dell'estate 2002

4 luglio 2002, caldo, caldissimo. Un pomeriggio d’estate come altri, se non fosse che era il mio undicesimo compleanno e a casa, dopo la giornata passata all’oratorio estivo, ci sarebbe stata la mia famiglia e una bella festicciola, con annessi regali. Era dal 24 maggio che avevo deciso quale sarebbe stato il mio unico desiderio per quel giorno: il nuovo Final Fantasy di cui da un anno e passa leggevo sulle riviste, contando spasmodicamente i mesi che lo avrebbero portato nella mia PS2. A vederlo raccontato, nelle immagini e nelle parole dei magazine di settore, pareva una roba avveniristica, il futuro, l’evento mediatico, come d’altronde erano visti i JRPG all’epoca, metro di paragone ludonarrativo per l’intera industria, tripla A esempio della (allora) superiorità del Giappone sul resto del mondo videoludico. E così, quella sera, completamente fradicio dopo l’ennesima partita a calcetto, cotto, felice, il mio sogno venne finalmente spacchettato.

L’esterno dello stadio di Zanarkand, un colosseo di un altro mondo

Non ricordo, dopo cena, quante ore rimasi a pochi centimetri dal tubo catodico Mivar che avevo in cameretta, ma furono parecchie, completamente estasiato, rapito, folgorato fin dai primissimi minuti. Quella opening aveva qualcosa di magnetico, forse una delle migliori introduzioni del videogioco, ancora oggi, che a rivederla (tecnicamente impressionante e invecchiata neanche di un secondo) mi riaccende le stesse vibe: la potenza della traccia metal Otherworld, quell’enorme essere che incombeva sulla città di Zanarkand, la figura misteriosa di Auron e poi lui, Tidus che, ignaro del pericolo, si esibiva come un dio dello sport nella sferica piscina del Blitzball. Un Ronaldo di un mondo solarpunk, vestito con uno dei migliori abiti mai confezionati da Tetsuya Nomura (che in Final Fantasy X, in generale, ha secondo me toccato le vette del suo design). Stivaletto da zarro di periferia nonostante i 45° costanti, bermuda asimmetriche da cantante Nu Metal, camicia a maniche corte da Cocoricò e capelli ossigenati da popstar giapponese: et voilà, perfetto!

Erano gli anni degli sport strambi, nei media e nella realtà. La nascita dello Slamball a Los Angeles, l’epoca d’oro di Takeshi’s Castle e derivati, il Quidditch di Harry Potter e quindi, di conseguenza, pure Square aveva pensato che dare al nuovo Final Fantasy uno sport iconico, bizzarro ed esteticamente pazzesco, fosse un’ottima idea per caratterizzare Spira. Un mondo principalmente tropicale, dove uno sport praticato in acqua pareva naturale, una pallanuoto un po’ wrestling, tipo calcio fiorentino subacqueo, assolutamente anti-fisico e altamente spettacolare. Il nuovo protagonista cavalcava l’onda degli sportivi superstar, un po’ alla David Beckham, mentre il Blitzball aggiungeva uno strato di quotidianità al mondo di gioco, dipingendo una popolazione che ha hobby e passioni, non vivendo solo in funzione di eventi più grandi di loro. Una grande intuizione di worldbuilding. All’atto pratico, però, Square aveva creato il minigioco cult per eccellenza.

Vai, Wakka, sfondala quella porta!!

Il Blitzball era diventato presto parte integrante delle mie partite a questo decimo capitolo, col tempo suddiviso quasi matematicamente in progressione della storia, gustoso grinding (soprattutto perché la Sferografia fu una grande idea di sviluppo dei personaggi) e tuffi nelle piscine sferiche, esaltato dalle urla del pubblico, sviluppando i membri della mia squadra e cercando sempre nuovi talenti in giro per il mondo. Metteteci anche il fatto che il 18 giugno di quell’anno si concluse prematuramente il mondiale dell’Italia in Corea e Giappone, con l’intercessione dello sciagurato Byron Moreno, lasciandomi una sorta di vuoto sportivo che Final Fantasy X era arrivato giusto in tempo a colmare. Pomeriggi roventi, ventilatore sparato in faccia, in camera con gli amici, fomentatissimi manco fosse PES; nonostante i controlli un po’ così, il ritmo ibrido tra real time e turni, quell’atmosfera così rinfrescante, estiva, festaiola, era proprio irresistibile.

Ma che design!

Ogni gol andava pianificato, sudato, con una buona dose di fortuna (tiro di dadi o statistiche che dir si voglia, che all’epoca facevo finta di capire), ma che godimento vedere la palla biancazzurra passare oltre le mani del portiere di turno! Né prima né in seguito mi sono mai dedicato con tanto gusto ad un’attività secondaria in un videogioco. In generale, ripensandoci, penso c’entri parecchio la “giocabilità” di Final Fantasy X, snellito, rinnovato, capace di anticipare i tempi del genere sacrificando una certa dose di libertà esplorativa per esaltare il ritmo, la regia, la tecnica e, appunto, un gameplay veloce, divertente, dove l’essenza a turni del combat system (e del Blitzball) non intaccava la plasticità dell’azione e delle animazioni, permettendo successivamente al titolo di invecchiare molto meno rapidamente del comunque solidissimo trittico PlayStation. Quasi ogni estate, superati i 30°, mi ricapita di mettere su la remaster su Switch (ricordo il desiderio ardente di poterci giocare il portabilità durante le vacanze, in quel 2002, che figata poterlo fare davvero, oggi), giusto per riassaporarne il mood, sentire il profumo di quel mare cristallino e del cloro degli stadi di Blitzball. Magari quest’anno arriverò pure alla fine, chi può dirlo!

Questo articolo fa parte della Cover Story “Sport mostruosamente proibiti”, che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui. E invece qua c’è Ualone, a cui il Blitzball non piaceva.