BoJack Horseman è immutabile
Due stagioni di BoJack Horseman ci hanno insegnato che non importa quanto disperatamente hai bisogno di una rinascita, di un cambio di paradigma, di un qualcosa che possa rimetterti in carreggiata dopo anni di depressione e di anonimato: se sei un cavallo antropomorfo in crisi di mezza età, troverai sempre il modo più inaspettato e imprevedibile per sabotarti e rimanere nella spirale autodistruttiva in cui ti sei cacciato alla fine della tua mediocre carriera televisiva.
La forza straordinaria su cui si basa BoJack Horseman, in effetti, è proprio quella di raccontare in modo tanto stralunato quanto incredibilmente accurato l’umanità del suo protagonista. Un personaggio, BoJack, che non riesce a convivere con nulla di quello che ha ottenuto più o meno meritatamente nel corso della sua vita, rivelandosi ancora una volta incapace di capire quando è il momento di fermarsi ad apprezzare quanto di buono gli è capitato, cercando di ripartire da lì per costruirsi una vita meno miserabile di quella che gli è rimasta. Nonostante le scelte sbagliate e tutte le nefandezze ammazza-carriera possibili, negli ultimi due anni BoJack Horseman è infatti riuscito a ritornare alla ribalta con un’autobiografia senza peli sulla lingua, ottenendo addirittura l’agognato ruolo di protagonista nel biopic su Secretariat, coronando così il sogno di una vita.
La terza stagione di BoJack Horseman riprende immediatamente da dove si era conclusa la precedente, quindi abbiamo modo di assistere alla grande fase promozionale di Secretariat. Il film, infatti, anche grazie all’interpretazione di BoJack (ehr) è stato un successo tale che c’è addirittura odore di Oscar nell’aria. L’occasione di una vita, ottenuta per vie traverse e portata avanti con la più totale noncuranza, potrebbe quindi ironicamente consacrare un passaggio dalle stalle alle stelle per l’equino più famoso di Hollywoo… che, tuttavia, ancora una volta si sente in dovere di fare praticamente tutto quello che è nelle sue facoltà per mettersi i bastoni tra le ruote e rimanere lì, a galleggiare nella piscina di assolata mediocrità che lo accoglie alla fine della sigla che vediamo prima di ogni episodio.
Così come in un’altra opening sequence iconica, in cui un disperato pubblicitario cadeva nel vuoto vacuo dell’apparenza di Madison Avenue per ritrovarsi comodamente seduto a partorire chissà quale grande campagna pubblicitaria, anche qui ci ritroviamo di fronte a una sigla che, mai come in questa terza stagione, non fa nulla per nasconderci il leitmotif della serie. Non importa quanto il disgusto di sé e l’autodistruzione lo rendano immune al passaggio del tempo e al tentativo di evoluzione di chi gli sta attorno: BoJack Horseman continuerà ad annegare e alla fine si sveglierà dall’incubo dell’esistenza, come se nulla fosse successo.
Questo per dire che la terza stagione di BoJack Horseman è formalmente perfetta, tanto per il suo arco narrativo quanto in assoluto, confermandosi come un ennesimo pugno allo stomaco che, sotto l’apparente velo di staticità e quella sensazione di già visto, nasconde invece dodici episodi straordinari, in grado di sottolineare ancora una volta come il suo protagonista nominale non sia altro che un prestanome, un pupazzone incapace di svegliarsi dal torpore di una città impossibile in cui tutti, bene o male, cercano ogni giorno di compiere il difficile viaggio verso la maturazione. La scelta di sviluppare la trama con episodi dal sapore antologico, in questo senso, è davvero azzeccata e permette tanto di valorizzare lo straordinario cast di personaggi che circondano il protagonista, quanto lo stesso BoJack e le sue idiosincrasie di personaggio fondamentalmente buono in un mondo sbagliato, che ormai l’ha anestetizzato e reso incapace di fare la cosa giusta nel modo giusto.
Se da un lato è rincuorante vedere come Todd, Diane, Mr. Peanutbutter, Princess Carolyn e tutti gli altri siano alle prese con la vita, gestendo lavoro, scelte umane pesanti come macigni e acquisti tremendamente stupidi con un’umanità rinfrancante, dall’altro BoJack continua ad essere intrappolato in quella parte da cui cerca disperatamente di distaccarsi da troppi anni, e a cui però non può più davvero rinunciare. Anche grazie a uno straordinario uso dei flashback, questa terza stagione rende chiaro, qualora ce ne fosse ancora il bisogno, come BoJack Horseman non abbia mai voluto davvero cambiare nella sua vita, ma si sia solo ritrovato in situazioni molto più grandi di lui e, nonostante l’incapacità di gestirle da solo, sia sempre riuscito a riemergere in qualche modo, non senza conseguenze.
In questo senso, nonostante la sopracitata perfezione formale e una potenza delle immagini di sfondo ancora più forte che in passato, l’episodio Un pesce fuor d’acqua riesce comunque a spiccare tra il resto della stagione come un piccolo capolavoro di narrazione per immagini, che non solo conferma lo stato di grazia raggiunto in questi anni da Raphael Bob-Waksberg e Lisa Hanawalt, ma spiega perfettamente che razza di meraviglioso, immutabile casino su gambe sia il buon BoJack.
Ancora una volta, quindi, nonostante l’inettitudine e l’apparente staticità della sua figura centrale, la forza straordinaria della serie è proprio quella del suo protagonista, capace di un’umanità di fondo che non può che attrarci per i motivi più sbagliati. Tutti noi sappiamo che non può cambiare e soprattutto che non vuole farlo, perché nonostante le occasioni, le false speranze, la fiducia malriposta di chi gli sta attorno e le sorprese inaspettate che Hollywoo continua a riservargli, BoJack Horseman rimarrà sempre lo stesso insopportabile coglione. E noi continueremo ad aspettarlo come si fa con gli amanti migliori.