Outcast

View Original

Broken Age Act 2 - So Nineties

Quant’è caruccio, Broken Age Act 2. Certo, è uscito più di un anno dopo la prima parte e spesso e volentieri realizzi di esserti dimenticato cose che magari ti sarebbero tornate utili ma, insomma, nessuno impedisce di rigiocare il primo atto prima di continuare con l’avventura di Shay e Vella. Tanto che, tra l’altro, il gioco arriva per intero anche su PlayStation 4 e PS Vita, quindi questa cosa degli episodi pubblicati a mesi/anni di distanza l’uno dall’altro, come al solito, finisce per “penalizzare” soprattutto chi non ha la pazienza di aspettare la fine dello sviluppo e il prodotto finito. Va anche detto, però, che era piuttosto difficile non cedere alla tentazione messa sul piatto da Tim Schafer e soci, intenzionati a riportare sui nostri schermi un’avventura grafica d’altri tempi, con un’art direction deliziosa e quella comicità tagliente e scemotta che chiunque abbia adorato i prodotti LucasArts non può che amare fortissimo. In effetti, in quelle prime tre ore dello scorso gennaio Broken Age era bellissimo, misurato alla perfezione e assolutamente accattivante nel suo raccontare una storia di crescita, lasciando avvolti nella nebbia i suoi elementi chiave. Forse gli enigmi non erano propriamente anni Novanta ma, insomma, anche all’epoca le cose crescevano piano piano... senza contare che Schafer ha sempre tenuto ampiamente conto di narrazione, regia e tempi, quindi non c’era poi molto di cui lamentarsi.

Ecco, Broken Age Act 2 è caruccio, sì, ma arrivi alla fine e qualcosina di cui lamentarti, a ben guardare, lo trovi. Perché Double Fine ha confezionato questo secondo atto come vero e proprio cuore pulsante dell’avventura, questa volta senza dimenticarsi quegli enigmi d’annata di cui si sentiva la mancanza ma che, forse forse, nel 2015 risultano fin troppo estemporanei, lontani dall’essere deliziose cazzatelle con cui ridere di pancia e più vicini a macchinazioni cervellotiche che, pur non difficili in senso assoluto, restituiscono molta meno gratificazione di quanto non facessero vent’anni fa.

Intendiamoci, i puzzle di Broken Age giocano tutti per lo più sulla semplice logica e sono al solito gustosi, ma quando arriva il momento in cui cominci a grattarti la testa in cerca di una soluzione c’è sempre il rischio di rimanere imballati per un po’, per un motivo o per l’altro e, come dire, quando capita non è proprio una festa. Può essere il tempismo, può essere il dettaglio sullo sfondo-dello-sfondo (comunque apprezzabile e “old school”), ma può essere anche il puzzle semplicemente brutto o quello proprio un po’ del cazzo, per giunta ripetuto più del dovuto (o - SPOILER! - può anche essere quello penalizzato dall’adattamento italiano), ma gli enigmi meno riusciti di Broken Age risultano davvero poco divertenti anche una volta risolti, lasciando più sollievo che soddisfazione. Insomma, proprio come in un’avventura grafica di Tim Schafer anni ‘90 con tutti i crismi, anche qui ci sono carrettate di trovate brillanti e di puzzle divertenti, ma pure un “enigma” ogni tanto che mette da parte la logica umoristica arzigogolata e la butta sul tedioso. Roba che, in soldoni, se non vi piaceva allora difficilmente vi piacerà adesso. Ma ci sta, è parte del gioco (letteralmente) e, se vogliamo, era proprio punto focale dell’operazione nostalgia sbarcata tre anni fa su Kickstarter: riproporre la bella avventura grafica schaferiana di una volta, senza compromesso alcuno.

La possibilità di “rimbalzare” tra i due personaggi viene sfruttata maggiormente nel secondo atto.

E alla fine, se si tratta di un’operazione riuscitissima nonostante un segmento finale da mani in faccia, è anche perché Broken Age funziona comunque a meraviglia, e conferma pienamente quanto di buono fatto vedere un anno fa. La storia di Shay e Vella è scritta ancora una volta in maniera brillante, e riserva continuamente gag e situazioni inedite nonostante, di base, si ripercorrano gli stessi scenari e si reincontrino gli stessi personaggi a parti invertite, il tutto mentre i fili della trama vengono abilmente intrecciati al fine di avvicinare, in modo adorabile e per certi versi fiabesco, due protagonisti così lontani e così vicini.

In sostanza, il secondo atto di Broken Age chiude il cerchio aperto tre anni fa su Kickstarter, completando un primo atto di enorme fascino con lo spirito avventuroso che gli mancava e che, pur risentendo del lungo periodo di inattività, riesce comunque a consegnare agli annali un gioco assolutamente godibile, divertente e in grado di scaldare il cuore come ci aspettavamo. Se avete già portato a termine Act 1, tornare da Vella, Shay e tutti gli altri bizzarri personaggi di Dulcia e dintorni è praticamente un atto dovuto per chiudere un caldo abbraccio a cui, un anno fa, non abbiamo saputo resistere. Se invece siete riusciti a resistere tutto questo tempo, l’unicum Broken Age saprà stupirvi, rallegrarvi e farvi arrovellare le cervella, nel bene e nel male, come solo un’avventura grafica di Tim Schafer sa fare. Oggi come allora.

Ho giocato a Broken Age Act 2 dopo averlo acquistato tramite l’Humble Double Fine Bundle, con tanto di maglietta. Sossoldi. Ho concluso Broken Age (il gioco intero) in 8 ore e spicci secondo il file del salvataggio, in 11 ore e spicci secondo Steam. Fate un po’ voi. Il gioco è doppiato in inglese (ci sono pure Elijah Wood e Jack Black, ovvero il motivo per cui, secondo Maderna, si tratta dell’unica avventura grafica del pianeta che non ti permette di skippare il singolo dialogo dopo esserti letto il sottotitolo perché hanno speso troppi soldi per i doppiatori) e adattato in italiano. Se avete già giocato il primo capitolo ma avete il tempo per rigiocarlo, secondo me non è una cattiva idea (tanto più che magari vi ricordate gli enigmi e ve la cavate in fretta). Se invece aspettavate l'uscita intera e/o siete utenti PlayStation, fiondatevi. I titoli di coda sono una roba che ti rimette in pace col mondo (e con quei merdosissimi hexapal).

Voto: 8,5