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Le ansie della vita di coppia secondo Atlus

C'è stato un periodo della mia vita in cui non apprezzavo particolarmente il mio compleanno: mi ero appena trasferito nella mia città natale e l'aver dovuto abbandonare tutti gli amici che mi sono fatto a cavallo delle elementari e delle medie mi faceva un po' rammaricare.

Anche perché, l'ultimo compleanno che passai con loro non penso che me lo dimenticherò mai.

Facevo la quarta superiore e mi portavo dietro tutti i drammi adolescenziali del caso: stavo da pochissimo con la persona che tutt'oggi mi sta a fianco e quello era uno dei primi anni in cui, dopo diverso tempo, ero felice di festeggiare.

Nonostante una situazione familiare turbolenta e una stabilità economica che di riflesso si andava a sfracellare contro un muro, mia madre decise di non farmi mancare nulla e di farmi scegliere il videogioco che avrei voluto ricevere per il compleanno: scelsi di farmi regalare la limited edition di Catherine, un gioco di Atlus, software house che già conoscevo grazie a Shin Megami Tensei 3.

Il matador e le bestemmie che ho tirato prima di vendere tutto e comprare l’Xbox 360 con Oblivion. Sinceramente? Mi pento di aver venduto un boato di videogiochi per prendermi la mia prima 360. Ma senza di essa non avrei potuto mai giocare a Catherine e avrei creato una realtà alternativa in cui non avrei potuto scrivere quest’articolo.

Era un gioco completamente diverso dai JRPG che mi aspettavo da Atlus, ma fu un'esperienza che riuscì a penetrarmi dentro e a occupare un posto speciale nel mio cuore.

Catherine narra le vicende di Vincent, un ragazzo che vive un momento particolare della sua vita.

Le pressioni sul costruire insieme una vita con la sua nuova ragazza e una nuova fiamma che si accende lo portano a un bivio: continuare con Katherine o buttarsi sulla giovane e avvenente Catherine?

L’opera Atlus si suddivide in due sessioni: una che è assimilabile al bighellonare coi compagni dei vari Persona, solo che dovremo rispondere alla nostra ragazza e parlare con gli amici, e i sogni di Vincent che si trasformano in un puzzle in cui si evade dalle sue paure.

Adoro le scene animate dello studio 4°C.

Non voglio dilungarmi più di così sul gameplay perché di sicuro non avete bisogno che ve lo descriva, dopotutto c'è anche YouTube in cui potete guardare i video di come funzionano le fasi puzzle, ma voglio soffermarmi sul protagonista, che durante le nove giornate di cui si compone il gioco matura veramente fino a prendere una decisione.

In Catherine, non c'è un giusto o un sbagliato, anche perché le decisioni che prendete durante la notte si riflettono durante il giorno e viceversa: ritroveremo i timori del protagonista nei suoi sogni, tramutati in incubi, mentre di giorno agiremo anche a seconda delle decisioni che prenderemo nel confessionale a fine di ogni puzzle notturno.

Quelle domande, quei test e quelle prove fanno maturare Vincent, e anche un po' noi.

Catherine è un titolo che forse più di ogni altro fa leva su alcuni timori sociali comuni a tutte le persone che ci giocano, il timore di legarsi a vita a un'altra persona.

Passare tutta la propria esistenza con una partner, progammarci una vita insieme e buttarsi in un futuro svegliandoti al mattino sempre con la stessa persona non è facile e non è per tutti.

Giocandoci con gli occhi di un diciassettenne innamorato perso della sua ragazza, la scelta di continuare con Catherine era scontata.

Le scelte nel confessionale mi ricordano che le decisioni importanti le ho prese tutte sulla tazza del cesso.

Sebbene non mi penta di un attimo trascorso con quella che è tutt'ora la mia compagna e ci voglia passare tutta la vita insieme, crescendo ho un po' visto il dramma di Vincent in moltissimi miei amici: le coppie storiche si sono lasciate perché cercavano altro, non condividevano gli stessi obiettivi, oppure quando la pressione per fare il prossimo "step" nella relazione diventava troppa. Non sono un terapista di coppia, né tantomeno uno psicologo, però penso che in questi casi la rottura sia molteplice e sfaccettata ed è troppo facile dare la colpa soltanto a una persona.

Perché la rottura è il termine di una relazione che sta diventando mentalmente faticosa, che ci rende insoddisfatti e probabilmente tristi. Catherine ha l’incredibile potere di farti empatizzare con Vincent, di farti vivere le sue ansie e di comprendere quanto la sua consorte possa essere asfissiante, se si percepisce il matrimonio e l’avere figli come un cappio al collo alla propria libertà: e per certi versi lo è, perché una volta che ci sono dei pargoli in gioco, la tua vita, le tue passioni e tutto ciò che è al di fuori del lavoro e della famiglia passa in secondo piano.

Ho la fortuna di condividere la stessa identica visione del nostro rapporto affettivo con la mia compagna: al momento non vogliamo figli, nè sposarci. Vogliamo la nostra libertà, vogliamo essere liberi di poter viaggiare e spendere i nostri soldi senza troppe remore. Il cambiamento, però, spaventa un po’ tuttə: non sempre vogliamo che qualcosa cambi, anche perché la convivenza può spaventare. Bisogna riscrivere la nostra vita, condividere spazi, e c’è la costante ansia di non avere del tempo libero per sè. Ma poi oh, e se lə miə compagnə si lamenta perché spendo troppi soldi e tempo sui videogiochi? Capisco l’ansia.

Una coppia è composta da due persone e quando si separa non è mai colpa di una sola metà, ma di entrambi: perché se qualcuno sente il bisogno di andare via da quella situazione, di non essere soddisfatto della propria vita affettiva, è segno evidente che c'è qualcosa che non va in tutt'e due.

Catherine mi ha dato un insegnamento sulla vita molto prezioso e me lo ha dato nel momento più giusto: durante il mio diciassettesimo compleanno, i miei genitori si erano appena separati.

Sono sicuro che, in qualche modo, mi abbia aiutato a capire perché si siano lasciati e a non dare la colpa solo a una delle due campane.

Questo articolo fa parte della Cover Story “Febbraio romantico”, che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.