Come prima, più di prima, Devil Survivor 2
Che sulle console casalinghe gli strategici a turni giapponesi arranchino, per non dire di peggio, è cosa assodata, tanto che la sopravvivenza di questo antico sottogenere è ormai in larga misura legata alle alterne fortune delle macchine portatili. E in questa metaforica lotta per la vita, Nintendo DS ha ben giocato la sua parte: mi vengono in mente, tra gli altri, titoli come Shining Force Feather di Flight-Plan (una parentesi per ricordare questa gloriosa casa di sviluppo, che ha chiuso i battenti nell’agosto del 2010, autrice di capolavori come Dragon Shadow Spell e Sacred Blaze, e di saghe come Black/Matrix e Summon Night), Valkyrie Profile: Covenant of the Plume e Devil Survivor. Quest’ultimo, seppur privo di particolari spunti originali, ha colto nel segno, dando il la a una nuova ramificazione nell’articolato universo di Megami Tensei (d’ora in avanti MegaTen). Universo composto in prevalenza da giochi di ruolo classici, ma anche da una serie strategica da tempo dimenticata, quella di Majin Tensei (primo e secondo episodio usciti su Super Famicom, con annesso spin-off per Sega Saturn, chiamato Ronde).
Da quel primo esperimento in salsa tattica, Atlus ha ricavato la ricetta che ha decretato il successo di Devil Survivor: mappe di gioco che ricalcano lo schema dei classici del genere, arricchite da combattimenti a turni in stile MegaTen, con un pizzico di visual novel. Tra una battaglia e l’altra, centinaia di dialoghi infarciscono la storia e permettono al giocatore di prendere decisioni che orientano la vicenda e stabiliscono il finale. Ma aldilà di questa apparente innovazione, Devil Survivor, così come il seguito qui analizzato, che ne è una copia in carta carbone, è un inno al conservatorismo tipico di Atlus: stessa storia apocalittica di sempre, stesso bestiario, stesso sistema di combattimento a turni giocato sui punti di forza e di debolezza di eroi e nemici, stesso meccanismo di fusione dei demoni e via di questo passo, naturalmente con le varianti del caso. Sta di fatto, però, che questi elementi tipici di ogni MegaTen continuano a funzionare. Difficile trovare altrove mostri di tale bellezza e spessore, come combattimenti a turni altrettanto funzionali, ed è raro imbattersi in un sistema di fusione così sopraffino. La parte tattica, poi, è più che discreta: le mappe, pur piatte e piccole, garantiscono il giusto grado di tensione; l’intelligenza dei nemici è sopra la media del genere (media molto bassa, a dire il vero); la difficoltà di gioco è bilanciata e dipende dalla capacità del giocatore di gestire le truppe; il grinding è limitato, mentre l’ampia gamma di abilità presenti, con le quali personalizzare gli eroi di turno, garantisce una discreta preparazione strategica, resa però superficiale dall’impossibilità di visualizzare le caratteristiche dei nemici prima di ogni battaglia. Per farla breve, si gioca che è un piacere, nonostante una totale mancanza di varietà (non si va oltre lo sconfiggere gli avversari).
Se la parte giocata non alimenta particolari rimostranze, aldilà dell’ultima battaglia esageratamente contorta, il versante visual novel solleva qualche perplessità. La storia si compie lungo l’arco di una settimana e ogni giorno è caratterizzato da eventi che consumano trenta minuti all’interno del gioco. Il giocatore può decidere, di volta in volta, con chi parlare (attraverso l’ apposito menu, semplice e funzionale), indirizzando con le sue scelte lo scorrere del tempo. I dialoghi hanno una duplice funzione: far avanzare la narrazione e, complice la conduzione del giocatore, dare la possibilità al protagonista di instaurare dei legami con i suoi dirimpettai. Conduzione, invero, difficoltosa. Non tanto perché siano complessi i dialoghi o densa la personalità dei protagonisti, anzi piuttosto stereotipati, seppur divertenti e dotati di una certa caratura, ma perché è sovente artificiosa la differenza tra una riga di testo fra cui scegliere e l’altra. Non ci si spiega perché l’una dovrebbe garantire un punto di simpatia piuttosto che no. Si va a intuito e dopo un po’ si capiscono i cliché.
Tuttavia la questione è primaria, perché se da un lato è molto facile salvare ciascuno dei personaggi principali da morte certa (anticipata da un sito Internet che fa da iniziale sfondo al contesto “fine di mondo” narrato), non altrettanto lo è raggiungere, con essi, quel grado di relazione sufficiente a trattenere l’intera squadra fino alla fine. Vero è che Devil Survivor 2 conta diversi finali e un game plus corposo, ma è anche vero che per arrivare alla conclusione ci vogliono più di trenta ore (la stima è sulla mia partita, quella di un giocatore avvezzo agli strategici e che nei MegaTen non spende ore nelle fusioni), un tempo eccessivo se si pensa a un titolo che vorrebbe essere attraversato più volte. In questo senso, ho trovato dilatate le ultime fasi di gioco, in particolare il penultimo giorno. Ecco che quella spensieratezza con la quale si potrebbe giocare, e che permetterebbe di seguire un proprio filo conduttore, di sperimentare e di lasciarsi andare a scelte ardite, è minata dal dubbio prima, e dalla certezza poi, che il gioco probabilmente non lo si riprenderà in mano. E quindi, chi vorrà ottenere subito il meglio possibile, in termini di risultati, finirà presto per consultare una guida a scapito del pathos che Devil Survivor 2 vorrebbe creare. Ad ogni modo, per conquistare i demoni più potenti, Lucifero compreso, il game plus è strettamente necessario.
La trama, da par suo, regge fino alla fine, con un discreto numero di colpi di scena (ma anche con qualche ammiccamento di troppo agli anime giapponesi per ragazzi, con le classiche situazioni inverosimili dentro un contesto già delirante). Più volte, giocando, ho pensato di aver compreso tutto o di aver compiuto le scelte più logiche, per poi scoprire lati nascosti della vicenda, risvolti inaspettati e personaggi che celavano più di quello che lasciavano trapelare. Non è stato facile schierarsi alla fine, quando, finalmente, e a dispetto delle micro scelte precedentemente compiute, si decide in sostanza quale finale vedere. E questo è un po’ il limite della componente visual novel: per buona parte dell'avventura si può determinare solo il legame tra i personaggi, senza avere per altro, come scrivevo, cognizione di come le linee di dialogo selezionate agiscano, seguendo una storia lineare e influenzabile, per lo più, giusto alla fine. Certo, era difficile pensare che Atlus potesse offrire una struttura più aperta, ma sta di fatto che un certo amaro in bocca rimane, un po’ perché il gioco ti lascia credere di poter plasmare la storia a piacere, un po’ perché si vorrebbe realmente correre il rischio di causare la morte di qualche personaggio con le risposte date (e non, come accade, perché si arriva in ritardo all’evento specifico). Insomma, è più una questione di sfumature che altro, dove, esagerando, un "forza ragazzi” conta in termini di punti-simpatia più di un “diamoci da fare", per chissà quale astruso motivo.
Su menu, fusioni, abilità, personalizzazione dei personaggi, creazione dei team e quant’altro concerne il lato gestionale del gioco c'è poco da dire: tutto funziona a meraviglia. Giusto una nota sulla fusione, qui semplificata rispetto ad altri titoli del mondo MegaTen. Ma questo non è un male: si capisce presto cosa occorre fare per ottenere un buon alleato e si apprendono con facilità le minime sottigliezze. Un negozio apposito, un registro nel quale salvare i demoni creati e poi fusi, così da poterli richiamare pagando una somma di denaro, e un inventario che mostra seduta stante quali sono le nuove creature ottenibili completano il quadro di un meccanismo fruibile, ben pensato e che accontenterà qualsivoglia giocatore, da quello che non vuole perdere troppo tempo a quello che prima di dare l’ok alla fusione ci pensa mezz’ora. Atlus in questo è maestra. Aldilà di una certa mancanza di novità strutturali rispetto al primo capitolo della saga (rispetto al quale il seguito è forse meno affascinante sia in termini di storia sia di personaggi, e meno difficile da affrontare nel suo complesso), che potrebbe tenere a distanza chi ha già salvato il Giappone la scorsa volta, e aldilà di una componente visual novel che potrebbe essere più incisiva e di una lunghezza esagerata per un gioco che vorrebbe essere completato più volte, Devil Survivor 2 compie il suo dovere. Ha il pregio di appassionare da subito e di condurre con maestria il giocatore fino alla fine, evitandogli quelle sbrodolate ludiche fatte di mille mila sub quest e di altre cose inutili, tipiche dei giochi di ruolo e di alcuni strategici giapponesi di ultima generazione. Conciso, efficace, equilibrato e funzionale in ciò che propone, Devil Survivor 2 passa l’esame, non a pieni voti, ma deliziando la giuria che, nel mio caso specifico, nonostante si sia sorbita tutto il MegaTen scibile da fine anni Ottanta a oggi, ancora non si ritiene sazia.
Ho comprato la mia copia americana di Devil Survivor 2 presso un negozio online di importazione. Sono arrivato all'ultimo scontro in 32 ore nette, ma da lì è cominciata una sofferenza ancora in atto. Tradotto: continuo a buscarle dal boss finale, che nella sua ultima incarnazione se la prende, simpaticamente, con il classico personaggio del gruppo non giocante e da salvare. E me lo mazzuola senza riserve. Torno a cambiargli le abilità, va!