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CorpoNation: The Sorting Process, quando il workaholism invade anche i videogiochi (e li prende per il c&!@)

Superata la soglia dei cinquanta, ci sono generi ed etichette nei videogiochi da cui mi tengo lontano. Vuoi per noia sopraggiunta, vuoi per mancanza di riflessi, vuoi per mancanza di tempo. Open world, soulslike, FPS, hack and slash, strategici a turni (salvo rare eccezioni), sportivi, picchiaduro. Ma c'è un genere che cerco di scansare come la peste ed è quello dei job simulator. Che sia cucinare e servire clienti, guidare un camion, assemblare PC da gaming, utilizzare un'idropulitrice, coltivare campi, ortaggi e verdure, gestire un supermercato o timbrare visti alla dogana. In quest’ultimo caso, però (Papers, Please per chi non l'avesse capito), ho chiuso un occhio. E ne ho chiuso anche un altro recentemente con uno dei suoi figliocci, nato dalla relazione con Monkey Island, il cui nome è Lil’ Guardsman. Ma il fedifrago e desiderato Papers, Please ha avuto anche un altro figlio, questa volta con Videoverse (per la nostalgia tecnologica) e The Stanley Parable (per l'organizzazione aziendale) ed è nato CorpoNation: The Sorting Process. L’intrigante estetica pixellata, la forte impronta narrativa che si basa esclusivamente su chat e email, il piglio critico nei confronti del tardo capitalismo e la distopia orwelliana mi hanno convinto a dargli una possibilità. In questa analisi del titolo di debutto del duo inglese Canteen mi avvarrò dell’aiuto del saggio Ma chi me lo fa fare? Come il lavoro ci ha illuso: la fine dell'incantesimo di Maura Gancitano e Andrea Colamedici (HarperCollins 2023).

"L'idea che vorrebbe che fossimo costantemente produttivi è così radicata nella nostra cultura che quando ci dedichiamo a un'attività fine a se stessa, ci sentiamo in colpa."

Tipo giocare e spendere tutto lo stipendio per un picchiaduro punta e clicca.

Quante volte vi è capitato di rientrare stanchi dopo una giornata di lavoro e di voler staccare con un videogioco? Sembra che molte persone, almeno a giudicare dai numeri su Steam, amino talmente tanto rilassarsi con i job simulator che ne escono in continuazione e dei più disparati. Premesso che ognuno è libero di giocare a quello che vuole, io non capisco perché dovrei smettere di lavorare nel mondo reale per continuare a lavorare nel virtuale. A mio avviso, il problema principale è che la  produttività che la società della performance ci impone viene sempre più spesso trasferita anche nel gioco. Ci mettiamo a coltivare verdure o cucinare cibo digitali per poi ritrovarci a mangiare saikebon, pizze surgelate, junk food ultra processato. Impugniamo l’idropulitrice per spazzare via il sudiciume da veicoli fatti di pixel per poi andare in giro con la macchina lercia. E ancora rinnoviamo casa dentro uno schermo per poi spegnere il PC e ritrovarci a vivere in un monolocale dai muri sporchi e magari ammuffiti. D’altronde non è una novità che alcuni studi di sviluppo stanno trasformando il gioco in lavoro. Verso la fine dell’articolo, il giornalista si chiede se “saranno i videogiochi indipendenti a garantirci i benefici emotivi e intellettuali dell'arte, mentre i giochi delle grandi società saranno destinati a diventare distopici campi di lavoro digitali?” CorpoNation sembra incarnare entrambi gli aspetti. È sì un gioco indie dalle velleità artistiche e intellettuali ma allo stesso tempo basa tutto il gameplay (in maniera ironica e polemica, però) su un distopico e ripetitivo lavoro digitale.

 “Se riposarsi è essenziale per essere efficaci, nella situazione attuale dormire è – e sarà sempre più – un atto di resistenza all'obbligo del profitto. Dormiamo sempre meno, e lo facciamo con sempre maggior senso di colpa.”

Ma veramente vuoi andare a dormire così presto?

CorpoNation è un cortocircuito metanarrativo. È un videogioco che critica il settore dei videogiochi (almeno una parte ed in particolare i GaaS). Quando rientro dal mio turno di lavoro, che consiste nello smistare dei campioni genetici etichettati con varie grafiche in uno dei quattro tubi pneumatici Alpha, Beta, Delta e Zeta, non mi resta che andare a dormire o sedermi davanti al computer dotato di una vecchia interfaccia in stile MacOS. Ma non si mangia? La Ringo (la società che ci ha assunto) ha pensato bene di farci recapitare (a pagamento) delle comode pillole. Ho provato ad infilarmi sotto le coperte pur ignorando le notifiche sullo schermo che indicavano che c’erano delle cose da controllare e che così avrei perso potenziali guadagni.  Ma mi sono sentito in colpa e una volta davanti allo schermo il tempo si è dilatato. Mi sono messo a leggere le email, le notizie, chattare con i colleghi, pagare le bollette (affitto, cibo, manutenzione), rispondere a sondaggi, giocare ad uno dei due giochi disponibili. Tra le tante notizie, mi ha colpito un articolo dove si enunciava che “per combattere il Malessere Improduttivo il miglior modo è giocare. Giocare, oltre a fornire intrattenimento, è un mezzo collaudato per reimmettere i soldi nell’ economia.” E chi crea questi giochi? Il settore gaming della Ringo stessa i cui lavoratori, pur di correggere bug, aggiungere nuove funzioni, nuove skin, rilasciare patch, fanno straordinari anche a costo di non mangiare e dormire. È la cosiddetta crunch culture. E così, anche io per giocare a Ringo Solitaire e Ringo Fighters (i due videogiochi dentro al videogioco CorpoNation) ho perso qualche ora di sonno e ho provato un senso di colpa.

  “Una tale disuguaglianza dovrebbe suggerirci immediatamente che l'ascensore sociale è rotto. O meglio, che forse non ha mai funzionato”

Questo è l’ascensore sociale… che non funziona.

Per andare al lavoro, ogni mattina prendo un ascensore. Salgo e mi ritrovo direttamente nella mia postazione di smistamento. Poi quando ho terminato il turno ed sono stato pagato e giudicato in base alla mia performance, ridiscendo direttamente nel mio cubicolo. Ho provato a premere i pulsanti per andare ai piani superiori (o inferiori) ma nulla da fare. Anzi quando ho premuto la campanella dell’allarme, mi sono stati decurtati dei soldi per aver perso tempo prezioso. Il detto “casa e bottega” qui è applicato pedissequamente. L'organizzazione della Ringo ricorda quella delle città-stato greche, fortificate e autosufficienti con al comando una classe agevolata, mentre schiavi, donne e stranieri erano privi di qualsiasi diritto. A ben pensarci CorpoNation è anche una moderna caverna di Platone. Chi entra non sa cosa ci sia fuori, tutte le informazioni passano e vengono filtrate dallo schermo del PC, e nessuno sa a cosa serva smistare tutti quei campioni genetici. È proprio il caso di dire che l'ascensore volutamente non ha mai funzionato, l'unico modo è manometterlo e (piccolo spoiler) c'è un modo!

“I lavoratori isolati, senza connessioni gli uni tra gli altri, sono arance da strizzare fino alla fine per ottenere un'ottima spremuta.”

We love work!

Chiuso nel mio cubicolo, il senso di isolamento è molto forte. Per intessere un minimo di rapporti sociali ho a disposizione una chat. Con solo tre colleghi alla volta, selezionati dalla direzione. Ma la Ringo invita anche a denunciare i colleghi che esprimono pareri contrari alla politica aziendale o semplicemente si lamentano dello stipendio. Quest’ultimo riesce a coprire a malapena le spese. Tutto quello che ho guadagnato (più barattoli corretti inseriti nei tubi, più alta la paga; più errori, più decurtazioni) l'ho speso per comprare decorazioni per la mia stanzetta, pagare le bollette e comprare crediti per giocare. D'altronde la Ringo invita continuamente a reimmettere il denaro in circolo, il suo stesso denaro, visto che siamo in un regime di monopolio. Invita anche a fare gli straordinari per avere più soldi da spendere e favorire la famigerata crescita, onde evitare uno dei nemici peggiori: la stagnazione. Per questo tutti i dipendenti che vengono denunciati per una condotta non consona, finiscono a fare gli addetti alle pulizie. È un tutti contro tutti.

“Al contrario, nel momento in cui creano una rete si sostengono e condividono la propria esperienza, disinnescano un sistema disumanizzante fondato sulla competizione perenne.”

Ti viene da piangere? Ti ha mai ascoltato qualcuno? C’è vita oltre il lavoro?

C’è però uno spiraglio di speranza per uscire da questo incubo capitalista. Un gruppo di dissidenti chiamato Synthesis mi contatta lasciandomi una sorta di tablet nell'ascensore. Qui, tanto per cominciare, le interazioni sono organizzate come un forum dove tutti possono leggere tutto. Non è una chat uno a uno come nel sistema ufficiale di Ringo, che spinge verso l'isolamento e incita alla denuncia. Poi si possono aiutare le persone in difficoltà a pagare le proprie bollette facendo delle donazioni. Si crea insomma una rete, ci si sente finalmente parte di un quadro più grande, non più un ingranaggio sostituibile in qualsiasi momento. Unirsi alla ribellione o continuare con il tran tran quotidiano? Pillola blu o pillola rossa?

“Quello in cui devi lavorare il più possibile, essere felice il più possibile e fatturare il più possibile. E sentirti fortunato il più possibile. Altrimenti, game over.”

Ogni giorno la stessa solfa. Smista i campioni nel tubo giusto. Sembra facile ma le cose si complicano un bel po’ verso la fine.

CorpoNation merita più attenzione di quella che ha ricevuto finora (57 recensioni su Steam).  È in uscita il 9 maggio su Nintendo Switch e Xbox e spero che arrivi ad un pubblico più ampio. In un momento delicato come questo per il settore videoludico, nel quale assistiamo a chiusure di studi e licenziamenti su licenziamenti solo in nome del profitto, CorpoNation è un manifesto politico contro il capitalismo, ma anche contro il settore videoludico stesso che cerca di trasformare il medium in un generatore di profitto senz’anima che si dimena tra loot box, season pass, microtransazioni, NFT, valute in game a discapito dell'arte, del talento, della ludodiversità. Se in uno dei passaggi sopra di Colamedici e Gancitano al termine “lavoratori” sostituiamo il termine “giocatori”, poco cambia. Facciamo una prova: “I giocatori isolati, senza connessioni gli uni tra gli altri, sono arance da strizzare fino alla fine per ottenere un'ottima spremuta.” Ma chi ce lo fa fare?