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Io e Monokuma | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

…: E tu chi sei? Da dove arrivi?

…: Io chi sono? Piuttosto, tu chi sei? Un orso parlante, metà bianco e metà nero, con un inquietante ghigno rosso da una parte e un docile sorrisetto dall’altra!

…: Io sono Monokuma.

…: Ehm, io mi chiamo Gianni.

Monokuma: E cosa ci fai qui, Gianni?

Gianni: Non lo so, speravo che me lo dicessi tu.

Monokuma: Guarda che in questa scuola vengono solo i migliori talenti del paese.

Gianni: Ma io non ho nessun talento! E non ho chiesto di venire in questa scuola anche perché a quarantotto anni suonati credo di aver già dato con lo studio e sinceramente mi sento un po’ fuori luogo circondato da adolescenti che potrebbero essere miei figli.

Monokuma: Allora sei qui per pura fortuna. O sfortuna, dipende dai punti di vista.

Ah-hahahaha. Parlami un po’ di te.

Gianni: Mi definisco un tipo ordinario, senza nessuna abilità speciale, anche la mia personalità è abbastanza comune. Sì, certamente ho degli hobby, primo fra tutti i videogiochi perché li ho visti nascere, sono cresciuto con loro e loro con me. Me ne ero un po’ distaccato per qualche anno, diciamo dal 2000 al 2010, ma poi, complice una serie di eventi, mi sono riavvicinato. Si dice ritorno di fiamma, giusto? Mi definisco un tipo curioso e mi piacciono tutte le cose che non sono mainstream. O, per lo meno, appena lo diventano, le abbandono. Faccio così con tutto, dalla musica, alla letteratura, al cinema. Per fortuna mia moglie non è mainstream! Per campare, ora ho un localino dove faccio degli hamburger buonissimi e li abbino a birre artigianali, vini di piccoli vignaioli e cocktail, visto che avevo alle spalle un corso da sommelier e barman. Poi mi diverto un mondo a giocare con i miei due figli di sei e sette anni. Ma tornando a noi, è vero che qui alla Hope’s Peak Academy reclutate solo le persone migliori nelle loro specialità, i cosiddetti “ultimate”?

Che faccio, entro?

Monokuma: Sì, hai indovinato. I quindici studenti di questo semestre sono stati invitati con una lettera che dovresti aver ricevuto anche tu.

Gianni: Si l’ho ricevuta, ma a parte il fatto che non voglio tornare a scuola e che ti ho già detto che non ho nessun talento, chi sono gli altri studenti?

Monokuma: Non ti preoccupare, li conoscerai presto e sono sicuro che ti troverai bene con loro, perché sicuramente non sono mainstream. Sono anzi abbastanza sui generis. Conoscerai un’esperta di arti marziali, un rampollo benestante, una scrittrice, un programmatore, un campione di baseball, un teppista bōsōzoku, una top model, una idol, un mangaka, una giocatrice d’azzardo, un chiaroveggente, una nuotatrice ed altri di cui non voglio rovinarti la sorpresa. Ma mi chiedevo come mai hai scoperto la mia esistenza solo adesso? Sono passati dodici anni da quando ho spedito la lettera, lo sai che non è cortese presentarsi con tutto questo ritardo?

Ma dove li hai pescati, questi qua?

Gianni: Come ti ho detto ho avuto una pausa piuttosto lunga in cui non avevo proprio il tempo materiale per giocare. Avevo un altro lavoro che cannibalizzava le mie risorse fisiche, psichiche e temporali. Un tipo di lavoro che assomigliava proprio a quello di The Stanley Parable, non so se ce l’hai presente. Se proprio vuoi sapere come sono arrivato a te, provo a spiegartelo, anche se ci vorrà un po’ di tempo. Ma mi sembra di aver capito che ne abbiamo parecchio, visto che praticamente siamo murati vivi dentro a questa scuola. Come mai tutte le finestre sono sigillate da pesanti lastre di acciaio? E perché la porta d’ingresso assomiglia più a quella di un caveau?

Non bastava un lucchetto?

Monokuma: Semplice, perché una volta entrati non si può più uscire. Anche se un modo c’è, ma te lo spiegherò a tempo debito. Ora continua pure con la tua storia e su come sei arrivato a me.

Gianni: Un paio di anni fa, ho provato un gioco che mi aveva stregato. Ne avevo anche parlato in un podcast e in questo articolo. Ma sto divagando, scusami. Il gioco che mi ha permesso di arrivare a te era Paradise Killer, un whodunit in prima persona ambientato in un piccolo open world dall’estetica vaporwave con eccentrici personaggi genderfluid e una storia weird.

Pensavo che i miei compagni di classe fossero strani ma qui andiamo proprio oltre.

OK, forse ho concentrato troppe parole difficili in una stessa frase e diventa complesso capire il significato anche per un orso robotico istruito e onnisciente come te. Riassumo dicendo che è stato il mio gioco dell’anno e che per me aveva costituito una ventata di freschezza in un mondo stantio come quello dei videogiochi mainstream, perché lasciava totale libertà di movimento nelle indagini e si potevano raccogliere indizi e progredire nel gioco in assoluta autonomia, senza essere troppo condotti per mano. Qui mi sembra invece che le cose progrediscano su binari ben stabiliti, ma visto che sono passati dodici anni, non posso lamentarmi più di troppo. E poi ho deciso che mi godrò questa esperienza con qualche bel bicchiere di vino in mano, dato che non ci sarà da sparare, saltare, rotolare ma fondamentalmente leggere, leggere e leggere (in inglese tra l’altro).

Monuokuma: A noi piace parlare, che ci possiamo fare. A tutti gli adolescenti piace parlare. Non siamo come te, che per tirarti fuori dalla bocca qualche parola bisogna interrogarti. Ma che diavolo c’entra Paradise Killer con me?

Gianni: Se mi fai finire, te lo spiego. Gli sviluppatori dello studio inglese Kaizen Game Works, formato di fatto da due persone, citavano, senza troppo nasconderlo, tra le fonti di ispirazione un certo Danganronpa, di cui io naturalmente non avevo mai sentito parlare perché uscito nel 2010 in Giappone e in quel periodo mi ero staccato dai videogiochi e stavo per sposarmi e poi sarebbe nata la prima figlia e poi il secondo e figurati se avevo il tempo di pensare a un videogioco con un banale e poco attraente orsetto bianco e nero in copertina!

Monokuma: Stupido! Stupido! Stupido! Come ti permetti? Questa mancanza di rispetto nei miei confronti è inammissibile! Potresti essere punito per questo e le mie punizioni sono esemplari. Potrei metterti in un hamburger gigante e grigliarti per bene. Puhuhu.

Gianni: Sai, ho accettato di entrare in questa scuola solo perché mi piacciono le investigazioni (a dire il vero anche perché la Cover Story di Oucast di febbraio è dedicata alle storie di detective e quindi avevo il pretesto per scrivere un pezzo). Mi fanno sentire intelligente. Notare i dettagli, sbrogliare la matassa e trovare i pezzi mancanti del puzzle, fare supposizioni ed arrivare alla giusta conclusione prima ancora del finale mi dà grande soddisfazione.

Monokuma: Quindi sei qui perché hai sentito dire che si investiga, vero? Hai trovato il posto giusto. Come ti dicevo, c’è un solo ed unico modo per uscire dalla Hope’s Peak Academy ed è uccidere uno degli altri studenti senza essere scoperti.

Gianni: Cooosa? Ma io non voglio uccidere nessuno!

Monokuma: Non ho detto che TU debba uccidere qualcuno, ma vedrai che dando delle motivazioni e instillando il seme della disperazione, prima o poi qualcosa succederà e si innescherà una serie di omicidi. A te e agli altri spetta scoprire il colpevole.

Gianni: Non ho problemi, mi piace ragionare. Io sono un tipo da mystery all’inglese più che da hard boiled. Sono a mio agio con l’archetipo narrativo dell’investigatore pensante, che riesce a risolvere in maniera dialettica il mistero grazie alle sue abilità intellettuali e quasi enigmistiche. Ad esempio ho apprezzato tanto The Return of the Obra Dinn e The Forgotten City e il loro approccio rilassato da “risoluzione davanti al camino” alla Ellery Queen.

Monokuma: Allora hai davvero trovato pane per i tuoi denti, perché quando il cadavere di uno studente o una studentessa verrà scoperto da almeno tre persone, sentirete l’annuncio. Vi consegnerò il Monokuma File, che contiene i dettagli della morte, e poi dovrete raccogliere indizi prima di andare al processo. Qui dovrai smontare a colpi di frasi e ragionamenti gli attacchi e le accuse degli altri studenti fino alla votazione finale, che incolperà il vero assassino. Pena la morte di tutti gli altri.

Giro giro tondo, casca il mondo.

Gianni: Lo sai che questa cosa mi ricorda un po' la Golden Rule di The Forgotten City? “The many shall suffer for the sins of the one”. È così che funziona, quindi? Se non troviamo il vero colpevole, saremo uccisi tutti?

Monokuma: È proprio così. Ci sono tanti motivi per uccidere. I soldi, le relazioni, i segreti, i tradimenti. E una volta innescata, la disperazione è contagiosa.

Gianni: Va bene, sto al gioco, ma sappi che, anche se sono un tipo ordinario, andrò avanti con la speranza nel cuore. E che la disperazione non potrà mai uccidere la speranza.

Monokuma: Puhuhu. Ah-hahahaha.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata ai detective, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.