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Dark Souls Remastered è sempre lui

Well, what is it?

È sempre lui, non è cambiato di una virgola, o meglio, è cambiato di qualche piccola virgola qui e là e se volete ce le togliamo subito di torno.

Sì, è migliorato graficamente, gira in 4K e a 60fps fissi, ha un sacco di grafica in più, a un certo punto mi pare di aver visto sei o sette grafiche contemporaneamente. Per i dettagli tecnici, andate dai professionisti. La versione breve è che Dark Souls Remastered funziona bene ed è la versione per console definitiva di uno fra i giochi più importanti degli ultimi anni. Per gli utenti PC? Se in questi anni avete smanettato con i mod, vi ritroverete tra le mani una versione più stabile di quello a cui avete giocato dal 2011 a oggi; per tutti gli altri, vale il discorso che valeva per le console.

Sì, ora si può giocare in sei. Sì, ci sono server dedicati. Sì, hanno aggiunto un falò di fianco al fabbro delle Catacombe. Sì, ci sono altri dettagli modificati qui e là (il comportamento di alcune magie, per dirne una).

No, a parte questo non è cambiato nulla: Dark Souls Remastered è esattamente lo stesso gioco che era prima quando si chiamava solo Dark Souls: Prepare to Die Edition (che significa che a questo giro il DLC è compreso nel prezzo). 

Semmai, a cambiare è stata la serie, è stato l'intero mondo videoludico e soprattutto siamo stati noi, il che rende complicata un'analisi oggettiva e distaccata di Dark Souls Remastered che non tenga in conto gli anni passati, le ore spese, gli altri capitoli spolpati.

I cappelli bizzarri che abbiamo indossato.

Dovete comprare questo gioco? Anche qui, non so quanto sia professionale, ma: chi lo sa? Se siete anche solo tangenzialmente interessati ai videogiochi, ci sono ottime probabilità che già sappiate la risposta, che abbiate già un'opinione forte su Dark Souls, che è comparso quasi dal nulla nel 2011 (il quasi sono gli utenti PlayStation 3 che erano già saliti a bordo con Demon's Souls) e che, a quanto pare, ha stravolto il panorama dei giochini elettronici, in superficie grazie a un po' di marketing scaltro e mirato che ha stampato le parole YOU DIED e tutto quello che si portano dietro nella mente dei giocatori, più in profondità perché è un gioco che affonda le sue radici nella storia del mezzo e si appoggia a quelle fondamenta solidissime per costruire una torre di idee, spunti, atmosfere e meccaniche che ancora oggi fa cascare la mascella non solo (non tanto) ai giocatori, ma anche (soprattutto) a chi i giochini li crea.

Dark Souls è un gioco con una visione e che non ha paura di sovvertire regole e cliché nell'inseguirla, ed è anche un gioco estremamente punk: una lettura quasi politica della sua esistenza è che sia nato come risposta violenta alla tendenza dei Grossi Videogiochi Di Oggi a fare di tutto per aiutare il giocatore a proseguire, a coccolarlo e indicargli la strada e non lasciarlo mai da solo, mai libero di sperimentare e sbagliare. La mitologia di Hidetaka Miyazaki conferma questa visione: l'uomo racconta sempre che da piccolo aveva a casa un mucchio di libri di mitologia ed epica europea, scritti in una lingua a lui quasi sconosciuta ma pieni di illustrazioni, e che per lui il massimo della goduria intellettuale era cercare di ricostruire quelle storie a partire da immagini e frammenti, improvvisando e usando la propria immaginazione per riempire i buchi.

È uno di quegli aneddoti, tipo quello su Miyamoto e delle caverne che sta dietro alla nascita di The Legend of Zelda, che si suppone dicano sull'opera più di qualsiasi filmato di gameplay, è la ragione per cui gran parte della narrazione del gioco non è storia ma mitologia, canone, lore, chiamatelo come volete, ed è nascosta dentro le descrizioni di armi e armature o raccontata dal design di ogni area e dal piazzamento di questo o quel pezzo di scenario e dalla scelta di piazzare quell'oggetto in quel posto. Ed è, per estensione e astraendo, il motivo per cui dicevo che è molto probabile che abbiate già un'opinione su Dark Souls, che l'abbiate anche solo provato dieci minuti prima di dire «Non fa per me»: perché è affascinante e fatto per far parlare di sé, e di fatto mi sento un po' scemo a parlare, nel 2018, di un'opera come questa. È come chiedervi se avete un parere su Call of Duty. Certo che avete un parere su Call of Duty, tutti hanno un parere su Call of Duty, che senso ha provare a convincervi a rigiocare alla remaster di un vecchio Call of Duty

Eppure sono passati sette anni, di Dark Souls sono usciti due sequel, un'opera collaterale ma spiritualmente vicina e una discreta quantità di cloni, il gioco è stato smontato e rimontato come un set di LEGO, e la percezione di quello che è Dark Souls è mutata, deformata dalla lente dei meme e dalla sua stessa reputazione, che gli ha probabilmente fatto perdere una discreta fetta di potenziali giocatori e che l'ha trasformato, nell'immaginario popolare, in questa specie di bestia crudele e violentissima che non vuole fare altro che schiacciare il giocatore sotto il tallone e farlo piangere e costringerlo a spaccare il controller dalla frustrazione.

Non c'è nulla di vero in tutto questo, e quindi forse abbiamo trovato la quadra: dovete comprare Dark Souls Remastered per (ri)toccare con mano di che cosa parliamo quando parliamo di Dark Souls e per mettere definitivamente da parte quest'idea che l'intera opera si possa riassumere così:

È difficile, certo, non sono qui a fare il simpatico e spiegarvi che in realtà è facilissimo se solo ci si impegna un minimo. È un'avventura in 3D sulla scorta dei vecchi Severance e Rune e Crusaders of Might & Magic e, alle origini di tutto, di Ocarina of Time, strutturata come un Metroid o un Castlevania ma con meno barriere artificiali da superare grazie all'Oggetto Giusto, e di conseguenza meno lineare, meno sottilmente guidato e dove è quindi più facile complicarsi la vita. È un GdR dove il combattimento è, almeno dal punto di vista meccanico e di puro tempo dedicato all'attività, al cuore di tutto, e più vicino a Monster Hunter (o a Bushido Blade, se volete) che a Ninja Gaiden o Devil May Cry: le animazioni sono lente e impossibili da annullare, ogni colpo deve essere pesato, la posizione nello spazio è importante quanto la capacità di leggere il comportamento del nemico. È, insomma, un gioco che richiede applicazione e che, non so spiegarlo meglio di così, funziona solo quando è giocato bene e punisce senza pietà chi spera di potersela cavare sbagliando tutto e puntando sul buon cuore dello sviluppatore per sopravvivere alle sue stesse cazzate.

Quindi, sì, è difficile perché punisce gli errori con una brutalità che al tempo era diventata inusuale, almeno nel panorama mainstream (oggi vi sfido a dirmi seriamente che, che ne so, Dark Souls è più difficile di The Long Dark o di Dead Cells). D'altro canto, è un gioco a cui non è così difficile giocare bene come hanno raccontato per anni certe recensioni: servono concentrazione, un minimo di capacità quasi scacchistica di pianificazione del futuro e riflessi giusto un filo migliori di quelli di un tizio morto da una settimana, nulla che un videogiocatore medio (sono uno di quelli) non possa ottenere con po' di voglia. Sorge quindi spontanea la domanda successiva: ho voglia? Dark Souls è un gioco supremamente disinteressato alla vostra risposta.

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È anche supremamente disinteressato alla vostra stessa presenza: come in un JRPG a caso, si apre con una spettacolare cosmogonia che ci presenta le Grandi Forze In Gioco, ma diversamente da un JRPG a caso, invece di zoomare sul protagonista e presentarcelo come l'Eletto Che Ancora Non Lo Sa opta per una precipitosa discesa nei sotterranei di un manicomio, nell'angolo buio e zozzo e piscioso di una cella a caso. È qui che si sveglia il nostro avatar, un non morto* come tanti che, pare, sembra, potrebbe o non potrebbe essere il soggetto di un'antica profezia che ha a che fare con la sua condizione di non morto e, probabilmente, con la fine del mondo (o la nascita di uno nuovo). È una dichiarazione d'intenti: sei uno come tanti (molti NPC ci tengono a ribadire questo dettaglio ogni volta che possono), c'è una cosa che dovresti fare, se sei in grado di farla, bene, se no, pazienza, il mondo è pieno di gente come te.

In questo senso, e credo che la sua reputazione nasca soprattutto da qui, Dark Souls è un gioco che tratta fin da subito il giocatore come carne da macello, non per cattiveria ma perché questa è la sua condizione: è emblematica la scelta di piazzare un boss apparentemente insormontabile (LOL) entro i primi tre minuti di gioco, a dimostrazione del fatto che non c'è ritmo, non c'è una curva, non c'è una lenta introduzione dei concetti e delle idee e dei nemici prima di venire instradati verso una battaglia spettacolare ma talmente guidata da risultare elementare. C'è una prigione e c'è un pezzo di carne che vuole evadere, e tra lui e la libertà c'è un tronco di demone alto quindici metri con un martello delle dimensioni di un baobab.

Giragli intorno, colpiscigli il culo, allontanati quando svolazza, non stargli mai davanti alla fazza, non usare il lock-on.

Il tutorial, vogliamo chiamarlo così, anticipa ciò che troveremo nl resto del gioco, che assomiglia a tanti altri giochi a cui avete giocato nella vostra vita, se non fosse così ostinatamente diverso e obliquo. Come in molti GdR, c'è un'hub, che potrebbe o non potrebbe venire disattivato a un certo punto dell'avventura. Come in molti hack and slash, ci sono checkpoint sotto forma di falò, che rappresentano un momento di pace e calma non solo per il giocatore ma per il mondo stesso, che rigenera i suoi orrori ogni volta che il giocare si siede di fronte alla fiamma. Ci sono chiavi per aprire porte per sbloccare aree, ma c'è anche una chiave che si può ottenere prima ancora di cominciare a giocare che permette di rompere completamente qualsiasi sequenza e di ignorare tre quarti delle suddette chiavi. C'è un ricco cast di personaggi, la maggior parte dei quali è facilissimo ignorare o perdere di vista nel corso dell'avventura se non si fa attenzione a quello che dicono e non si decide di tornare sui propri passi per scoprire se è cambiato qualcosa in un luogo già esplorato due ore prima. Ci sono eventi apparentemente inspiegabili, mostri che compaiono solo sotto certe condizioni e solo giocando online, persino l'accesso al DLC è nascosto dietro una serie di passaggi esoterici parecchio complicati da indovinare senza una guida.

In altre parole, Dark Souls è un videogioco che si comporta come pare a lui, anche a costo di andare contro l'apparente buon senso. Per quanto a tratti possa apparire arbitrario, non è però mai capriccioso o incoerente: le sue regole, oscure o meno, si applicano a tutto e tutti, una palude velenosa rimane velenosa anche se a camminarci è un personaggio controllato dall'I.A., il fuoco brucia chiunque ci cammini sopra, la gravità è un killer spietato e che non guarda in faccia a nessuno. E questa sua estrema coerenza, questa onestà nel mostrare chiaramente tutto senza per forza puntarci sopra una frecciona al neon, si riflette nel modo in cui il mondo di Lordran è costruito: quella fortezza in lontananza non è una decorazione ma una meta, quello squarcio di lava che brucia l'orizzonte anche sul fondo di una tomba buia è lo stesso squarcio di lava nel quale vi troverete a camminare tra un paio d'ore (o nel quale avete camminato un paio d'ore fa). Rispetto ai suoi seguiti, che preferiscono l'impatto visivo di un campo lungo e godono a mostrare i muscoli anche tecnici con spettacolari viste panoramiche, Dark Souls è più compatto, quasi modesto, almeno all'apparenza, un labirinto di angoli strettissimi e visuali ostruite, un mondo in rovina dove le strade sono state consumate dal tempo e sono i sentieri, i cornicioni, gli ascensori cigolanti e le porte arrugginite in fondo a un tunnel a fare da tessuto connettivo.

Fa ancora impressione nel 2018 aprire certe scorciatoie, ricostruire certe connessioni tra aree apparentemente distanti ma intimamente legate da un'architettura del mondo a gironi, quasi dantesca, in cui è tutto impossibilmente lontano fino a quando non lo è più e si scopre che è possibile andare da un capo all'altro della mappa in pochi minuti e senza sudare troppo. È forse la consapevolezza più difficile da raggiungere giocando a Dark Souls, quella sensazione di appartenenza che rimpicciolisce quelli che sembravano labirinti impossibilmente vasti e li trasforma in un intrico familiare di corridoi e scorciatoie nel quale muoversi come dentro casa propria, ed è anche, credo, il motivo per cui molta, moltissima gente non riesce ad accontentarsi di finire Dark Souls una sola volta e poi abbandonarlo.

È un gioco che supplica di essere rigiocato, di sperimentare, di provare nuove armi e nuovi percorsi; rigiocandoci, rendendomi conto della straordinaria varietà di approcci possibili, ho avuto più di un attimo di vertigine, di sindrome da "e ora cosa faccio per primo?". Ho fatto più o meno tutto, alla fine, nelle trentadue ore che ci ho (finora) dedicato, divise più o meno equamente tra single player (il gioco) e multiplayer (aiutare la gente a giocare al gioco oppure rompere i coglioni alla gente che sta giocando al gioco). Più o meno tutto tranne finirlo, anche se tranquilli, ci sono – purtroppo, tra le cose che non sono cambiate con questa remaster c'è la scelta di far cominciare il New Game Plus (lo stesso gioco, più difficile, mantenendo livello, equipaggiamento e cose varie) immediatamente dopo il boss finale, e io ho ancora un paio di cose da fare prima di abbandonare questo ciclo. Ho fatto più o meno tutto ma ho già voglia di ricominciare e fare un po' di cose che a questo giro non ho fatto: salvare Solaire e Logan, uccidere Smough prima di Ornstein, liberare Sif da giovane prima di uccidere Sif da vecchio, diventare OP in dieci minuti. A un certo punto, ora dopo ora, morte dopo morte, avventura dopo avventura, Dark Souls smette di essere "un gioco a cui sto giocando" per diventare direttamente "una cosa che faccio", e frasi tipo «La prossima volta mi tengo da parte trenta humanities, così le do subito alla sorella di Quelaag e prendo Chaos Storm» diventano normali quanto «Vado a fare la spesa e compro un po' di insalata».

Spoiler?

Non sto augurandovi di diventare così né sto dicendo che non avete speranza e lo diventerete. Era più un altro tentativo di convincervi a comprare Dark Souls Remastered e giocare, o rigiocare, a quella che è ancora oggi una tra le esperienze più pazzesche e soddisfacenti che ci siano in circolazione. A sperimentare in prima persona la sensazione di abbandonare la sicurezza di un falò e addentrarvi in territorio sconosciuto, attirati dal luccichìo di un oggetto in lontananza o dalla curiosità di sapere che cosa ci sia dietro quella porta, in fondo a quella torre (spoiler: c'è un tizio vestito di roccia che vi trasformerà in frittelle, ma non è quello il punto). A sospirare di sollievo quando dietro un angolo non c'è un'altra mostruosità incazzata a morte con la vita ma un altro falò da accendere, o un'ascensore che si tuffa nell'abisso e in fondo all'abisso c'è un altro falò da accendere. A sentirvi minuscoli di fronte all'orrore e ad ascoltare quella vocina dentro di voi che sussurra "è solo un altro stupido mostro", e a lasciarla crescere di volume fino a diventare un urlo di trionfo. Era bello farlo sette anni fa quanto è bello farlo oggi.

Dark Souls è sempre lui. È una cosa bellissima.

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* I dettagli sono spiegati nel gioco e sviscerati un po' ovunque su YouTube, ma la versione breve della faccenda ricorda da vicino quello che Gandalf dice a Frodo riguardo agli Anelli del Potere: «Un mortale caro Frodo, che possiede uno dei Grandi Anelli, non muore, ma non cresce e non arricchisce la propria vita: continua semplicemente, fin quando ogni singolo minuto è stanchezza ed esaurimento. E se adopera spesso l’Anello per rendersi invisibile, sbiadisce: infine diventa permanentemente invisibile e cammina nel crepuscolo sorvegliato dall’oscuro potere che governa gli Anelli». Altri hanno invece fatto il parallelo tra il processo di "hollowing", così si chiama in originale, e la depressione. Ci sarebbe moltissimo da dire, su questo particolare e su tutto quello che è l'impianto mitologico e narrativo di Dark Souls, ma non è questa la sede.

Ho giocato a Dark Souls Remastered su una PlayStation 4 Pro, su un codice fornito dal distributore. Come detto nel pezzo, ci ho dedicato una trentina circa di ore e non l'ho finito perché non ho ancora voglia di finirlo – e non credo che quattro/cinque parry a Gwyn cambieranno il mio giudizio. Ho maxato i Forest Hunters e i Sunbros, sto lavorando a Blade of the Darkmoon, non ho ucciso Priscilla, non ho ucciso Gwyndolin, non ho incontrato Kaathe, non ho ancora trovato il carving I'm sorry perché non mi ricordo dov'è e non voglio cercarlo su Internet. Il boss che mi ha richiesto più tentativi è Manus (7), seguito da Artorias (5 perché ci tenevo a farlo senza curarmi). Non ho evocato gente per i boss perché non mi diverte, ma ho evocato Tarkus per Iron Golem perché è Tarkus. Cos'altro? Boh, nel caso, chiedete nei commenti. Dark Souls Remastered è disponibile anche su PC e Xbox One. Un giorno arriverà anche su Switch. Ah, come al solito, se acquistate il gioco (o qualsiasi altra cosa) su Amazon passando dai seguenti link, una piccola percentuale di quello che spendete andrà a noi, senza alcun sovrapprezzo per voi. Se volete procedere su Amazon Italia dirigetevi qui, se preferite Amazon UK puntate qui.