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Next gen: più che game as a service, servizi per giocare

Immagine: Hamlet Shakespeare's Globe

Discutendo dei trailer che hanno accompagnato PlayStation 5 (ma anche vedendo i third party per Xbox Series X), ho detto più volte che, al netto dei favoritismi e delle simpatie per questo o quel brand, è difficile farsi un’idea delle potenzialità della prossima generazione di console attraverso video in 1080i a 30 fotogrammi al secondo. Ma anche in 4K, per carità, ché un conto è vedere un filmato pre-renderizzato e un altro è far muovere tutto quel ben di dio in presa diretta. Proprio per questo, probabilmente, Ratchet & Clank è sembrato all’unanimità la cosa maggiormente in grado di mostrare i muscoli della nuova console, grazie a un video sapientemente orchestrato per mettere in mostra caricamenti repentini, cambi di ritmo ed effetti visivi che non appartengono a PlayStation 4 e Xbox One. Solo il tempo ci dirà la verità, ma per il momento voglio abbastanza bene a Insomniac da pensare che, ehi, sarà tutto una figata, assolutamente.

Del resto, non credo ci siano dubbi riguardo al fatto che la prossima generazione di console porterà a benefici a sviluppatori e designer, quindi a noi videogiocatori. In un’epoca in cui la distrazione è costante e gli stimoli continui, aumentare il coinvolgimento emotivo e sensoriale diminuendo drasticamente i tempi di caricamento, creare mondi di gioco ancora più belli e attraenti o personaggi più complessi di semplici marionette è qualcosa di cui dovremmo essere tutti contenti. E non ho dubbi che lo saremo, un po’ perché il gioco su PC è da sempre una finestra sul futuro, un po’ perché la storia ci dice che guardare indietro ai giochi della passata generazione ci restituisce sempre immagini più sgradevoli di quelle che ci suggerivano i ricordi. Non credo però che l’elemento tecnico possa davvero essere preso come metro di paragone e di scelta per la prossima generazione di console, dal momento che la storia ha insegnato a Microsoft e (soprattutto) Sony quanto le disparità hardware possano segnare l’arco di vita delle loro macchine, tanto che ci stiamo dirigendo verso un’altra accoppiata molto simile tra di loro. La vera discriminante, insomma, sarà come quello stesso hardware farà girare i videogiochi esclusivi.

Perché, certo, una generazione di console è animata dai videogiochi che ci girano sopra… Ma c’è un ma. Con l’andare degli anni mi è sempre più chiaro che l’offerta dei grandi publisher si sia solidificata intorno a degli stilemi ben riconoscibili e che, di fatto, tutti abbiamo interiorizzato e imparato ad amare o a odiare. Per intenderci, escludendo dal computo le straordinarie idee che vengono fuori dal mondo indie, e che comunque nel quadro generale delle esclusive non ci interessano, visto che tendono sempre a legarsi solo temporaneamente alle console, negli ultimi vent’anni (a stare stretti) i generi si sono cementificati sempre di più, e raramente si incontra qualcosa di davvero rivoluzionario. Certo, un action può reinventarsi giocando con la regia, un profondo tattico a turni può diventare interessante abbattendo il livello di ingresso, un gioco di ruolo può rimettere la narrazione e l’interpretazione al centro della struttura ludica, uno sparatutto può diventare più interessante spostando più in là le coperture e gli orizzonti… ma, di base, se non vi piace un genere, difficilmente un cambiamento nelle meccaniche o nella presentazione vi farà cambiare idea. 

Questa immagine sta qui perché A volevo rispondere subito alle obiezioni e B perché l’ha fatto davvero, di cambiare l’autore.

A maggior ragione se pensiamo che i costi di sviluppo medi per un videogioco moderno hanno segnato la morte della creatività e dell’improvvisazione. Non sto esprimendo giudizi, sto solo ripetendo quello che ho già detto diverse volte nel tempo e che, con gli anni, dovrebbe essere diventato sempre più evidente: il ritorno del cliente, la sua fidelizzazione, si basa su dei nomi e su dei marchi che a loro volta sono legati a doppio filo alle meccaniche e agli stilemi riconoscibili di cui sopra. E un po’ per non sconvolgere l’utenza (che mai come oggi tende a esprimersi quando qualcosa non va come vuole), un po’ perché inevitabilmente l’innovazione richiede costosi investimenti (in termini creativi, monetari, di risorse in generale…), è difficile che le esclusive proprietarie saranno in grado di spostare gli equilibri verso l’una o l’altra console. Anche perché ormai siamo a quattro o cinque generazioni di console (parlo solo di Sony e Microsoft) con un grande numero franchise affermati, e l’utenza in grado di cimentarsi nella spesa per un nuovo hardware conosce i suoi gusti e sa dove troverà gli amici che condividono quei gusti, per giocare assieme.

Notare che non ho detto “l’utenza è matura”.

Al netto dei prezzi, che ancora non conosciamo e che ovviamente compongono una bella discriminante nel successo o nel fallimento di un prodotto, credo quindi che le esclusive maggiormente in grado di spostare l’equilibrio dell’utenza verso PlayStation 5 o Xbox siano i servizi. E non parlo necessariamente della componente online “social”, fatta di lista amici e gioco cooperativo, che reputo legata a doppio filo con la componente di prezzo, quanto più quelli legati alla fruizione dei videogiochi che quelle console le animano.

Microsoft, dopo essersi resa conto di essere partita malissimo, ha passato il ciclo di vita di Xbox One nel tentativo di redimersi, accantonando TV TV TV SPORTS TV CALLOFDUTY per rimettere i videogiochi al centro, e arrivando per prima a offrire al largo pubblico un piano in abbonamento in cui, a fronte di una spesa mensile, si può avere accesso a un catalogo gigantesco di giochi che include, tra gli altri, anche gli ultimissimi titoli esclusivi, già al day one. Pensate che svolta: avete Xbox One o Xbox Series X e volete giocare Halo: Infinite al lancio? Invece di sganciare 70 euro, vi fate un mese di Game Pass a 10 euro e potete giocarci. E questo vale per tutte le esclusive di Microsoft, da Gears of War ai vari Forza Motorsport/Horizon, fino ad arrivare a tutta la produzione di quegli studi indipendenti che sono stati fagocitati negli anni e che, sebbene fino a oggi abbiano pubblicato i loro prodotti su tutte le piattaforme esistenti (penso a Hellblade di Ninja Theory per dirne uno), a partire dalla prossima generazione usciranno in esclusiva su Xbox ed eventualmente su PC, sempre attraverso l’applicazione Xbox, sempre inclusi nell’abbonamento Game Pass (a meno di accordi particolari, anche se nell’ecosistema PC l’utilizzo di un’applicazione piuttosto che un’altra non dovrebbe rappresentare un problema, a meno che non siate tra quelli che odiano l’Epic Games Store). Sony, imbattibile per tutto il ciclo di vita di PlayStation 4, ha vivacchiato con i giochi inclusi nel PlayStation Plus e ha cominciato, come anche Microsoft, a strizzare l’occhio al gioco in streaming, conscia che l’exploit delle console “di mezzo”, a cui abbiamo assistito con PlayStation 4 Pro e Xbox One X, potrebbe trasformarsi in una transizione totale verso il cloud gaming.

Facendo un passo di lato, le prime chiacchiere legate alla retrocompatibilità con il software delle generazioni precedenti sembrano promettenti, nonostante la mancanza di dettagli specifici da parte di Sony e Microsoft (e detto che credo sia una caratteristica che incide più sulle vendite iniziali delle console più che sul computo totale). Gli annunci di EA e CD Projekt RED riguardo alla possibilità di “aggiornare” un gioco acquistato per PlayStation 4 o Xbox One alla versione per la generazione successiva sono stati accolti con sollievo dal pubblico. Microsoft ha addirittura dato un nome a questa possibilità, “spacciandola” come un vero e proprio servizio a sé grazie al quale fruire al meglio di un catalogo di giochi usciti più o meno a cavallo della nuova generazione di console quando, di nuovo, agli utenti PC è sempre bastato comprare il gioco su Steam per trovarlo ottimizzato disponibile a prescindere sull’hardware del momento. Comunque, per carità, se questi servizi possono portare civiltà e progresso nel mondo dei videogiochi, ben venga, non ce n’è mai abbastanza.

A questo proposito, dal momento che non è ancora chiaro come e se evolverà l’offerta PlayStation e se arriverà una risposta al Game Pass di Microsoft, non è nemmeno da ignorare il fatto che è impossibile toccare l’argomento online e cloud senza parlare di chi, di fatto, ha nel cloud la sua raison d'être. Google Stadia è partito con modalità beta/early access lo scorso novembre, e avrebbe dovuto raggiungere le più ampie masse intorno al periodo in cui il mondo si è trovato paralizzato da un virus invisibile. Nonostante i più classici dei problemi di early adoption e la sfortuna generale, legata sia ai peccati di gioventù che al periodo storico, è innegabile che l’idea alla base del servizio di Mountain View sia estremamente appetibile: il giocatore non deve comprare nulla a parte il gioco e, se non ce l’ha già, un Chromecast (o un pacchetto di Chromecast più joypad) per fruirne sulla TV. Nessun abbonamento, a meno che tu non voglia vedere tutto in 4K HDR o voglia beneficiare di sconti e giochi inclusi nell’abbonamento, analogamente a quanto succede con Game Pass e PlayStation Plus. A patto di avere una connessione veloce e stabile (e bene attenti: più prima che poi bisognerà tenere conto di questa variabile anche per giocare con PlayStation e Xbox), quello di Stadia è un concept vincente, che può rivelarsi ancora più vincente se comunicato a dovere quando sarà il momento di dover sborsare (molto?) più di 300 euro per le nuove console da mettere in bella mostra sotto la TV. A quel punto, all’uomo della strada a cui interessa solo comprare FIFA ogni anno, potrebbe convenire comprare davvero solo FIFA ogni anno, invece che la console, l’abbonamento con cui giocare online con gli amici, i nuovi joypad per le nuove console, eccetera.

In questo senso, lasciatemi dire, la scelta di Microsoft di rendere i controller One compatibili con la nuova Xbox è veramente all’insegna della civiltà (foto via YouTube).

Insomma, la mia sensazione è che questa volta, ancor più dei titoli in esclusiva, a determinare quale produttore arriverà per primo nei salotti delle grandi masse (del resto sappiamo che i meccanismi di early adoption colpiscono solo gli invasati che non si fanno tutte queste seghe mentali, ma COMPRANO COMPRANO COMPRANO) sarà chi offrirà di più… o chi offrirà meglio, soprattutto in ottica futura. In attesa di scoprire se e come Sony vorrà rimodulare i suoi abbonamenti online, possiamo solo ipotizzare quale sarà la formula che avrà la meglio: il modello à la Netflix, che propone un’offerta sicuramente ricca, capace di soddisfare i più diversi tipi di palati e addirittura rintuzzare la curiosità dei più scafati, come succede con Game Pass; il modello incentrato sull’acquisto del gioco a prescindere dallo schermo di fruizione proposto da Stadia, o una nuova via che ci farà dimenticare del tutto il concetto di esclusiva come lo conosciamo ora. Del resto, avrà ancora senso parlare di esclusiva quando non ci sarà più una console su cui farla girare?

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata alle esclusive, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.