eXistenZ #35 – Gameloading: Rise of the Indies
eXistenZ è la nostra rubrica in cui si chiacchiera del rapporto fra videogiochi e cinema, infilandoci in mezzo anche po' qualsiasi altra cosa ci passi per la testa e sia anche solo vagamente attinente. Si chiama eXistenZ perché quell'altro film di Cronenberg ce lo siamo bruciato e perché a dirla tutta è questo quello che parla proprio di videogiochi.
Sono passati tre anni dall'uscita di Indie Game: The Movie e la domanda è lecita: c'è bisogno di un altro documentario che racconti la scena dello sviluppo indipendente seguendo le vicende di alcuni studi specifici, dando voce a qualche guest star e buttando nel mix un po' di emozione? I registi australiani Anna Brady e Lester Francois pensano di sì e, al loro primo lungometraggio, hanno tirato fuori questo Gameloading: Rise of the Indies, un'ora e mezza di chiacchiere e informazioni assemblate girando per il mondo e visitando tanti diversi contesti che punteggiano la scena. E la risposta alla domanda sta proprio lì: sì, ce n'è sempre bisogno, se c'è qualcosa di nuovo e interessante da dire, magari secondo una prospettiva un po' diversa.
E la prospettiva è in effetti abbastanza diversa da quella che ci hanno regalato Lisanne Pajot e James Swirsky quando questa versione di Outcast era appena nata e ancora eravamo tutti capaci di sognare e volerci bene. All'epoca, qui, era tutta campagna. Oggi è tutto smog. Ma sto divagando. Il punto è che Gameloading è un film decisamente meno emotivo rispetto a quello con cui inevitabilmente si finisce per paragonarlo, nonostante qualche picco in questo senso si manifesti comunque, per esempio quando Rami Ismail di Vlambeer racconta di quel brutto affare del clone di Ridiculous Fishing, o in quel passaggio che ci mostra i creatori di The Stanley Parable reagire all'apparizione delle prime recensioni, fra il delirio di Rock, Paper, Shotgun e il 10 di Destructoid. O ancora, la sincera emozione negli occhi di Richard Hofmeier che racconta le reazioni al suo Cart Life, la parentesi dedicata a Ryan Green e al suo That Dragon Cancer, creato per affrontare e condividere la tragica esperienza del ritrovarsi un figlio malato di cancro terminale. Sono bei momenti, forti e riusciti, ma non sta lì, o comunque non solo lì, il quid del film, così come sicuramente non sta in quella ricerca estetica un po' fighetta che caratterizzava Indie Game: The Movie. Quindi, insomma, finiamola coi paragoni. Sigla!
Il viaggio di Gameloading: Rise of the Indies è proprio un viaggio letterale, seppur raccontato in maniera un po' scombinata, perché i suoi autori hanno cercato di mostrare le mille manifestazioni mondiali di ciò che oggi è, ed è diventato, lo sviluppo indipendente. Si parte dal dettaglio lasciando la parola a Davey Wreden, che racconta di aver ideato The Stanley Parable camminando nel corridoio di casa sua e pensando a come avrebbe potuto interagire con un narratore che commentava la cosa, spiegando del suo desiderio di giocare con il rapporto fra giocatore e narratore, pasticciando con aspettative e cliché. Ma la sua esperienza personale viene utilizzata come punto di partenza per allargare il discorso, andando appunto a parlare dell'evoluzione del videogioco tanto quanto dei meccanismi di sviluppo.
Quando Wreden era un ragazzino, amava il videogioco in quanto via di fuga, ma crescendo ha finito per perdere quest'esigenza e ha iniziato a desiderare anche qualcosa d'altro. E proprio su questa faccenda, sul bello della versatilità che è propria del videogioco moderno, si concentra buona parte del documentario, col risultato inevitabile che l'internet ha scatenato la pioggia di sterco. Figuriamoci, c'è anche Zoe Quinn che accenna a quel che ha dovuto subire, lo sterco era inevitabile. Ma tant'è, Gameloading fa un discorso ampio, tira in mezzo nomi storici del settore come John Romero, Tom Hall e Don Daglow, ma anche stelline attuali come Mike Bithell, e finisce inevitabilmente a paragonare l'epoca moderna con quella che fu.
Ai vecchi tempi non c'erano scuole, non c'erano manuali, c'eri tu con la tua voglia di imparare, interpretare e creare. E Gameloading ne parla rievocando il modo in cui il giovane Bill Budge creò da solo un'azienda, programmando Raster Blaster e Pinball Construction Set, infilandoli in bustine e portandoli nei negozi. Si parla poi dell'evoluzione del videogioco con la grande distribuzione: l'arrivo delle console e l'allargamento del mercato segarono le gambe a quella che di fondo era una scena indipendente e l'esplosione della distribuzione digitale e la democratizzazione dei mezzi di sviluppo hanno poi permesso un ritorno in grande stile della creatività personale. Ed è un bene. Dai, diciamocelo, che è un bene. Mica si può vivere di soli Assassin's Creed e Call of Duty, per quanto belli siano.
Insomma, Gameloading: Rise of the Indies è un bel viaggio ricco e interessante, che penso parli una lingua intellegibile anche per chi il videogioco non lo segue e non lo conosce a menadito. Si toccano vari argomenti, si parla tanto di mercato e giochi quanto di persone alle loro spalle. E si viaggia per il mondo, raccontando quel meraviglioso delirio di umanità che sono le più diverse fiere di settore, ma anche la necessità di reinventarsi continuamente ed emergere, riuscire a farsi conoscere in un mercato indipendente diventato all'improvviso affollatissimo, e la forza di una comunità viva, vibrante e strettamente interconnessa.
È una comunità che raggiunge forse la sua massima espressione in iniziative veraci come le Game Jam e l'Indie Megabooth, e non è un caso se quell'assurdità della Train Jam percorre gran parte del documentario andando a dettarne il ritmo. Un viaggio da cinquantadue ore, organizzato da quella pazzerella di Adriel Wallick, per condurre una mandria di sviluppatori da Chicago a San Francisco, col compito di sviluppare giochi lungo tutta la sua durata, in una spedizione che li avrebbe condotti alla Game Developers Conference 2015. E non è probabilmente un caso neanche il fatto che il documentario vada a concludersi proprio parlando della fiera più bella del pianeta, quella che tutti gli anni andiamo a seguire un po' da intrusi. Insomma, Gameloading: Rise of the Indies è un gran bel documentario. Per tornare al paragone iniziale, non ha forse l'interesse per la ricerca estetica e il creare un forte impeto narrativo che aveva Indie Game: The Movie, ma è comunque molto interessante, ricco di spunti e pieno di cose da dire. Se vi interessa l'argomento, dategli una chance.
Mi sono guardato Gameloading: Rise of the Indies grazie a una copia per la stampa. Il film è disponibile sul sito ufficiale e attraverso svariati altri mezzi di distribuzione, compresi iTunes, Steam e gli store delle solite console. Può essere acquistato nella sua versione base da 9,99 euro o nel pacchetto che include alcuni degli extra realizzati per la campagna Kickstarter, fra colonna sonora e altro (19,97 euro). Audio e sottotitoli, almeno per il momento, sono solo in lingua inglese.