Farsi rubare il cuore da Monaco
Negli ultimi anni ho sviluppato la teoria dell'accettazione del target. Ve la enuncio: “Se un individuo/azienda/publisher ti centra in pieno con il target di un suo prodotto, non dimenarti. Sii sportivo, accetta la sconfitta, fai il tuo dovere di consumatore.” Ecco, non starò qua a dimenarmi: Monaco è una figata. Mi è piaciuto dal primo istante, mi ha catturato e ha organizzato un elaborato piano per infiltrarsi nella mia gabbia toracica e rubarmi il cuore. La resistenza è futile. Monaco: What's Yours is Mine ha avuto la classica genesi da gioco indie di un certo spessore, vincendo due premi all'IGF del 2010 con poco più di un prototipo ed entrando poi in una lunga fase di sviluppo e rifinitura. Un po' come FEZ, il gioco di Andy Schatz si è fatto attendere come una star, facendo persino scattare la macchina dell'indiehype (un fenomeno che trovo sempre più pericoloso, a dirla tutta). Il risultato non delude: Monaco è un perfetto esempio del perché è emozionante essere dei videogiocatori nel 2013. Come tutti i giochi migliori degli ultimi tempi, riesce a fare molto partendo da poco. È un'implementazione semplice ma non banale di meccaniche stealth ben note, con una spruzzata di cooperativa e uno stile grafico unico e coraggioso, che nonostante la sua natura fortemente cromatica e stilizzata lascia spazio anche per il carattere e il carisma dei personaggi.
Monaco mi ha intrigato sin dalle prime schermate, calamitando la mia attenzione già dalla schermata di selezione. Gli eroi disponibili non sono altro che gli stereotipi del mondo criminale: si va dalla talpa allo scassinatore, dal gentiluomo alla rossa mozzafiato, dal palo al picchiatore. Tutti i simpatici criminali condividono un set di abilità base, che permette loro di interagire con i vari elementi dei livelli (porte, armi, terminali, etc.), ma eccellono nel loro campo: il palo vede tutte le guardie quando entra in modalità furtiva, il picchiatore può abbattere i nemici senza usare armi, la rossa può attirare le guardie nei cespugli (sì, pensate pure male, è come sembra) e così via. I livelli propongono sfide sempre più complesse, che a seconda dei casi richiedono di fuggire da situazioni improbabili o di infiltrarsi in strutture di massima sicurezza. Per questo, il magico mondo dell'intertron ha deciso che possiamo definire Monaco una versione videoludica di Ocean's Eleven. Ecco, permettetemi di dissentire: è una definizione così approssimativa da essere quasi ingannevole.
Sebbene i protagonisti si dedichino a imprese da fare invidia a Brad Pitt e soci, il gameplay orbita più intorno al concetto di stealth che a quello di pianificazione. Tutti i livelli possono essere completati da soli, usando qualunque personaggio, e non necessitano dell'aiuto di altri giocatori. Dunque lo scopo di Monaco non è organizzare un piano diabolico, bensì analizzare una situazione e capire come gestirla sfruttando le proprie risorse. Visto da quest'ottica, il gameplay è quasi impeccabile: nonostante i personaggi siano un po' sbilanciati, la loro particolarità dà vita a delle sfide sempre frizzanti, rigiocabili più volte, sia per il gusto di provare nuove abilità, sia per quello di cercare percorsi alternativi e metodi più efficaci.
Restando in tema “questo non è Ocean's Eleven”, arriviamo alla cooperativa, che sulla carta doveva essere la caratteristica più importante di Monaco. Dico sulla carta, perché a conti fatti si è rivelata l'aspetto meno riuscito del gioco, per i motivi di cui sopra. Non c'è tanto spazio per la pianificazione e il level design non è pensato per sostenere la potenza di un gruppo di truffaldini esperti. Giocando in quattro e sfruttando le varie abilità, le sfide diventano molto più semplici, forse troppo, e si va a perdere il brivido che si ha in single player. Ci si diverte comunque, e pure tanto, ma siamo chiaramente alle prese con una piccola falla di game design.
Detto questo, Monaco è un gioco eccellente, con uno stile coraggioso e un sistema semplice ma intrigante. Come dico spesso in questi casi, è bello che esista. È l'ennesima riprova del fatto che siamo in una delle fasi più interessanti della storia dei videogiochi e che il futuro, in barba ai disfattisti, ci riserva grandi cose.
Nel consigliarvi di concludere questa recensione con la sigla di Lupin III, vi comunico che ho giocato a Monaco su PC, grazie a un codice Steam ricevuto dallo sviluppatore. Il gioco è disponibile anche su Xbox Live Arcade, ed è in arrivo una versione Mac OS.