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Final Fantasy X e l'estate del 2002 | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

I JRPG sono un genere anacronistico sotto molti punti di vista; insomma, i giochi di ruolo giapponesi si sono evoluti veramente poco nel giro di quarant’anni, specialmente quelli che mantengono una struttura a turni. Eppure, su di me hanno sempre esercitato un certo fascino.

Sono cresciuto durante la seconda metà degli anni Novanta, un’epoca d’oro per questo genere: tra Final Fantasy VII, Xenogears e Final Fantasy IX ( No, Final Fantasy VIII non lo prendo in considerazione) era un periodo eccellente per approcciarsi al genere.
Ricordo che il settimo capitolo lo giocai con degli amici più grandi e un vocabolario a fianco, in un non meglio precisato anno dei Duemila; ero piccolo, avrò avuto massimo sette anni, dunque tiè, facciamo che era il 2001 e lo prendiamo per buono. Tuttavia, ho iniziato a giocare e a provare l’ebrezza di finire i JRPG da solo in epoca PlayStation 2, escludendo ovviamente i vari Pokémon.

Scavando nei meandri della mia giovane memoria, mi sono ricordato che Final Fantasy X è stato il primo gioco della serie che abbia mai completato da solo. Non lo presi all’uscita: nel 2002 avevo otto anni, e chi me li dava a me i soldi per comprare i videogiochi? Nessuno. Tuttavia avevo un padre appassionato, che amava Gran Turismo e gli FPS ispirati alla Seconda Guerra Mondiale, che io invece ho sempre odiato. Ho sempre preferito seguire una storia abbastanza lineare: in un certo senso, apprezzavo l’idea di essere davanti a una sorta di romanzo interattivo; a qualcosa che in qualche modo nutrisse la mia fantasia.

Final Fantasy X propone un mondo post apocalittico degno di essere visto. Gli insediamenti umani che lo popolano sono strani, e in tutto il gioco c’è una connotazione quasi sacra all’acqua: e non tanto a livello di racconto, ma proprio in termini di design delle aree. Tutto sommato l’ho sempre trovato un gioco molto estivo; vuoi per il Blitzball, vuoi per i rituali sull’acqua.

Le mie risorse per i videogiochi erano dunque le mance dei nonni, e avevo anche una discreta fortuna: i miei bisnonni erano ancora in vita, e al di là del piacere di frequentarli, le paghette erano praticamente doppie. Così le mettevo da parte e ci compravo i giochi.

Final Fantasy X lo acquistai usato e lo giocai tutto d’un fiato, e sebbene abbia avuto diverse difficoltà nel finirlo, per l’epoca aveva una grafica importante in grado davvero di sbalordire.

Tidus, non vorrei dirtelo, ma a far le capriole sott’acqua son capace anche io.

Oltre a quello, le cutscene erano interamente doppiate, così come il novanta per cento dei dialoghi: una bella botta che avvicinava molto questo gioco, per certi versi, al cinema. Il primo impatto col blitzball, poi, mi è rimasto a fuoco nella memoria: una regia per l’epoca impensabile, uno sport fantastico che già iniziava a farti entrare nell’atmosfera particolare del gioco.

All’epoca, tra l’altro, mi ero trasferito da poco in un’altra regione abbandonando gli amici, e la faccenda di Tidus trasportato in un’altra dimensione mi faceva empatizzare moltissimo con lui, al netto degli anni di differenza. In generale, il rapporto che si poteva sviluppare col cast dei personaggi, specialmente con Yuna, mi piacque moltissimo, anche se dopo un po’ iniziai a odiare il carattere del protagonista. All’epoca non ero in grado di mettere a fuoco la ragione della mia antipatia, ma trovavo insopportabile la terribile risata del doppiatore.

A otto anni ero un romanticone, e anche se non afferravo tutto lo spettro del sentimento, percepivo l’amore come una cosa un po’ platonica, come l’aggrapparsi a qualcosa che si ha paura di perdere. Nel gioco apprezzai molto tutto questo.

Inoltre, sempre in quel periodo frequentavo il catechismo in vista della prima comunione, e tutto quell’andare contro la chiesa in Final Fantasy X mi piaceva, e figuratevi quanto mi faceva riflettere il fatto che una religione volesse sacrificare una ragazzina per salvare - apparentemente - delle persone. Tra l’altro, su MTV andava in onda Neon Genesis Evangelion e mi domandavo spesso il senso di tutta quella farsa chiamata “religione”, anche se fino ai quattordici anni mi sono tenuto i dubbi per me perché oh, mi regalavano le cose.

Ricordo l’estate del 2002 come una stagione molto torrida durante la quale, tuttavia, soffrii pochissimo il caldo in via di un trasferimento ai piedi del Terminillo. Di notte dormivo addirittura col piumino. Eppure, il gioco mi restituì fin da subito un feeling estivo, non tanto per le tematiche, quanto per l’importanza dell’acqua: uno dei nemici è letteralmente una balena incazzata, Yuna faceva i rituali vicino a qualcosa che somigliava al mare, e il Blitzball era una palla a mano giocata sott’acqua. Insieme al primo Metal Gear Solid, Final Fantasy X divenne uno di quei giochi da praticare rigorosamente in estate.

Crescendo però, qualcosa del mio rapporto con Final Fantasy X si è rotto.

Ho scoperto altri giochi, ho finito titoli più vecchi e più nuovi, e ripescai Grandia II per Dreamcast. Ricordo che una decina di anni fa ci furono alcune polemiche che paragonavano i due titoli da vicino e, sommariamente penso che sì, siano effettivamente simili.

Ricalcano un po’ gli stessi tagli della trama, ma li portano avanti in maniera sufficientemente diversa per cui non penso che Final Fantasy X sia una copia carbone del titolo uscito per Dreamcast.

Ryudo con questi commenti mi ha fatto ridere più di una volta, e penso che in generale sia stato scritto meglio di Tidus.

Ho finito per preferirgli Grandia II fondamentalmente per due motivi: ero abbastanza grande per apprezzare una caratterizzazione dei personaggi più convincente, e trovo il sistema di sviluppo dei personaggi tutto sommato migliore, dal momento che riesce a diversificare ogni singolo personaggio sul campo di battaglia.

In effetti, ancora non ne ho parlato, ma ho sempre odiato la sferografia: per molti, uno dei migliori skill tree di sempre, per me una cavolata immane; troppo complicata e alla fine poco varia negli esiti perché, non prendiamoci in giro, gli attacchi fisici in Final Fantasy X erano veramente troppo forti, e andavano a sbilanciare un sistema di battaglia altrimenti ottimo e migliore dell’ATB: infatti, qui non c’è nessuna fretta nello scegliere una mossa, ma si ha l’opportunità di ritardare il turno dell’avversario. Questo genera un meccanismo tattico e molto interessante, poco valorizzato negli altri Final Fantasy.

Sebbene nell’ultimo playthrough ho preferito Wakka a Rikku (specialmente nella prima parte di gioco), questo è stato il mio team standard per molto tempo. Lili con la sfera che gli consente di lanciare due incantesimi e danni apeiron è letalissima, ma alla fin fine non penso che serva in questo gioco. Trovo che gli attacchi fisici siano decisamente più tosti delle magie: impressione mia?

Sebbene oggi preferisca Grandia II a Final Fantasy X per la costruzione dei personaggi (sia lato trama, che per lo skill tree) e in via di un battle system più coraggioso, ogni volta che ripenso alle mie avventure in compagnia di Tidus e compagni non posso che essere felice. Ho amato alla follia anche Final Fantasy X-2. Ma questa è un’altra storia della quale, magari, vi parlerò in futuro.