Il Pedro di spade 08x03: Andiamo ad Approdo del Re, Beppe
Ogni settimana, Natale "Pedro Sombrero" Ciappina ci illumina con le sue elucubrazioni sul nuovo episodio de Il trono di spade. Chiaramente, trattandosi di analisi sui singoli episodi, evitate di leggerle se non siete aggiornati con le trasmissioni.
Arriva un certo punto, ne La lunga notte, in cui lo spettatore, anche il più cinico, capisce che forse non c’è speranza: Il Trono di Spade è tornato spietato come una volta, come in occasione delle Nozze Rosse, in cui buona parte degli Stark furono trucidati senza battere ciglio; anzi, no, qui è pure peggio. Ad essere potenzialmente spazzata via, in questo caso, sarebbe tutta Grande Inverno. “Non c’è speranza”, urla il Mastino in un momento di lucida crisi; quel momento, a dir il vero, si palesa concretamente quando il Re della Notte fa resuscitare tutti i morti fin lì periti in battaglia. Già in minoranza, l’esercito imbastito da Daenerys e Jon appare definitivamente sopraffatto, schiacciato sia dai nemici che dagli alleati precedentemente deceduti, e che ora tocca affrontare con le spalle al muro. Ed è a questo punto che Il Trono di Spade sorprende, prendendo lo spettatore alla sprovvista dopo un’ora abbondante di tensione e calci in bocca, con un colpo di reni che ha il nome di Arya Stark, l’ennesima donna a risolvere i problemi davanti ai quali gli uomini tutti, Jon Snow in primis, sembravano impotenti. Quella pugnalata che fa esplodere in mille pezzi di ghiaccio il Re della Notte e tutti i suoi sottoposti è come un urlo liberatorio collettivo che unisce tutti gli spettatori. Game of Thrones è, nel suo essere pop, una fra le migliori serie TV della ‘New golden age of television’ e questa terza puntata ne è la prova, con il suo continuo ondeggiare fra dramma, azione e a un certo punto anche horror, quando Arya si nasconde nella biblioteca cercando di sfuggire ai non morti, creando un mix fra tensione e senso di intimità, amplificato poi dalla paura che percorre costantemente tutti gli ottanta minuti di cui si compone La lunga notte.
La paura è infatti uno fra gli elementi centrali di questa puntata, specie per le diverse accezioni in cui essa è declinata: paura del buio, innanzitutto, con le lame fiammeggianti dei dothraki che vengono inesorabilmente inghiottite da una coltre oscura, che non lascia scampo a nulla, fino alla fobia per gli spazi stretti quando il castello viene invaso dai non-morti. È una paura adrenalinica, ma ben diversa rispetto a quella vista di recente in Avengers: Endgame sui grandi schermi; quella a Grande Inverno è una battaglia sporca, in cui l’epica è subordinata a un caos che non domina solo la vista dei partecipanti, ma anche quella degli spettatori stessi. Il riferimento, come si può intuire, riguarda il buio che attraversa buona parte dell’episodio, in cui si strabuzzano continuamente gli occhi in cerca di un elemento rivelatore – ho iniziato a comprendere con cognizione parte di quello che avveniva a schermo solo quando il Re della Notte ha iniziato a far resuscitare i morti, quando cioè l’azione è passata dentro le mura del castello.
Ma a prescindere da ciò, quello che più sorprende è come lo sgomento non provenga da quello che è considerato caratteristico della serie (o almeno lo era nelle prime stagioni), ovvero le morti eccellenti. Ne La lunga notte, a conti fatti, non è morto nessun personaggio centrale: abbiamo detto addio a Theon, una presenza costante in queste otto stagioni, seppur a corrente alternata, a Melisandre, il cui compito sembrava però ormai esaurito, e a Jorah, la cui ora sembrava essere giunta da diverso tempo, ma a parte loro, persino chi non è centrale ai fini della trama ma lo è nel cuore della fanbase (con l’eccezione della piccola Lyanna Mormont, che ha pagato cara la pelle contro un gigante non morto) è riuscito a scamparla, o almeno per il momento. È infatti inevitabile che qualcuno fra Jaime, Tyrion, Brienne, Arya, Jon e via dicendo ci lasci le penne entro la fine della stagione. Ma additare l’assenza di morti eccellenti come indice di poco coraggio è, a fronte di quanto visto e scritto, alquanto ingeneroso.
Questo è, più o meno, quello che ci ha lasciato sulla pelle La lunga notte. Ma sono tante altre le considerazioni da fare a mente fredda su ciò che questo episodio ha reso in modo ancor più lampante. Su tutto, le capacità da condottieri di Jon e Daenerys, in teoria i più accreditati a sedere sul trono di spade. Andiamo per ordine; Jon Snow: il suo contributo alla battaglia è innegabile (con la spada o a cavallo di Rhaegal) ma, sinceramente, chiunque si aspettava qualcosa in più da lui. Nelle due battaglie da lui condotte, questa e quella contro Ramsey, è stato in entrambi i casi salvato dalle sorelle: prima da Sansa, e in quest’ultimo caso da Arya. Certo, è sempre partito da una posizione di netto svantaggio numerico, ma in nessuna occasione si è mai capito quale fosse, di preciso, il suo piano d’azione. Contro i Bolton è stato schiacciato senza avere alcuna contromossa e a Grande Inverno è sembrano più titubante dei suoi sottoposti; emblematica la scena in cui cerca di colpire alla schiena il Re della Notte: avanza, rallenta, accelera il passo, poi rallenta di nuovo e infine, quando ormai è troppo tardi, si ferma. Certo, il piano di utilizzare Bran come esca ha funzionato, ma è stata un’idea di quest’ultimo, non di Jon, che anziché cercare di proteggere il fratello, è andato a zonzo per Grande Inverno per buona parte del tempo, tanto da non cogliere il segnale di incendiare la trincea al momento opportuno; a salvarlo, come già detto, ci ha pensato di nuovo una sua sorella, Arya, che, come ha fatto Sansa in passato, non lo ha nemmeno consultato, passando direttamente ai fatti. Il giudizio su Daenerys dev’essere, almeno in questo caso, meno severo. Ha fatto quello che poteva, sacrificando per una causa superiore gran parte del proprio esercito, rischiando di perdere entrambi i suoi due rimanenti draghi. Anche se avallare la scelta di mandare al macello tutti i dothraki, a rischio estinzione dopo questo episodio, non è stata di certo lungimirante; c’è infatti ancora un’altra battaglia da vincere, da affrontare anche in questo caso in inferiorità numerica.
Conti alla mano, grazie alla solita operosità degli utenti di Reddit, l’esercito di Daenerys contava, almeno prima della battaglia di Grande Inverno, circa centomila dothraki (una stima a mio modo di vedere un po’ esagerata, ma tant’è) e ottomila immacolati, a cui andavano sommati diecimila uomini, fra bruti e gente del nord, e altri diecimila guerrieri della Valle (quelli sotto gli ordini degli Arryn, per intenderci). Dopo lo scontro contro i non morti, è probabile che la quasi totalità di quei centomila dothraki non esista più, mentre gran parte degli immacolati è morta coprendo la ritirata degli alleati dentro le mura del castello. Le perdite sono state però ingenti anche fra gli Arryn e fra la gente del Nord. A essere molto generosi, saranno rimasti meno di quindicimila uomini in totale – a cui vanno aggiunti due draghi, le cui condizioni fisiche sono tuttavia da verificare. Fra le fila dell’esercito di Cersei, si possono invece contare circa diecimila guerrieri dei Lannister, trentamila combattenti sotto gli ordini di Euron Greyjoy (a cui vanno sommate le novecento navi che porta in dote), più i ventimila della Compagnia dorata – con annessi elefanti, ovviamente. L’esercito di Cersei è insomma almeno tre volte più numeroso rispetto a quello di Daenerys.
È un problema insormontabile? Certo che no, per due principali motivi: 1) è probabile che qualche altro schieramento venga a dar man forte alla Targaryen; prima che Euron attuasse un colpo di Stato alle Isole del Ferro, Yara Greyjoy, che aveva appena giurato fedeltà a Daenerys, era diretta a Dorne, per rimpolpare le proprie fila di nuovi soldati grazie all’apporto dei Martell, di cui non va dimenticata la faida con i Lannister; proprio nelle scorse puntate, Yara ha fatto ritorno a casa, quindi è probabile che i circa quindicimila soldati conteggiati poc’anzi aumentino, e anche di molto. 2) Daenerys ha i draghi e, come abbiamo visto nella quarta puntata della scorsa stagione, si tratta di un’arma in grado di spazzar via anche l’esercito più numeroso con il minimo apporto. Aegon Targaryen, grazie a tre draghi, riuscì a riunire tutto Westeros sotto il suo vessillo, a dispetto di un esercito formato da appena milleseicento soldati. Tuttavia, Cersei non è affatto una sprovveduta, ed è probabile che ad Approdo del Re si sia costruita una sorta di catena di montaggio, per mettere in piedi almeno un centinaio di quelle balestre giganti che proprio nella scorsa stagione hanno mostrato quanto letali possano essere per un drago; e questa potrebbe non essere l’unica contromisura di Cersei, come suggeriscono alcuni su Reddit.
Appunti sparsi:
Dov’è stato, Bran, per tutto quel tempo in cui è rimasto con gli occhi all’insù? Intuitivamente, si potrebbe dire che, attraverso i corvi, abbia attirato il Re della Notte fino a lui. Però è riduttivo pensare che per tutti quei minuti, mentre Theon cercava di colpire qualunque cosa gli capitasse a tiro con le sue frecce infuocate, Bran stesse facendo solo quello.
Che fine ha fatto Spettro, il metalupo di Jon riapparso dopo stagioni di assenza? L’ultima volta l’abbiamo visto cavalcare insieme ai dothraki in direzione dell’ignoto. Ne sono usciti vivi in pochi, e fra questi non sembrava esserci lui.
RIP Melisandre. Ti saremo sempre grati per aver incendiato la trincea, facendo aumentare la luminosità dell’episodio altrimenti più buio di tutti i tempi.
Durante l’assedio nella cripta, Sansa e Tyrion si sono scambiati parole al miele. È sufficiente per creare una nuova coppia? Direi di no, o almeno, non come coppia canonica; certo, sarebbe interessante vedere entrambi, in modo congiunto, ai vertici di posizioni apicali.
Cleganebowl is coming.
Sta arrivando, o dovrebbe, pure Bronn. È un mercenario, e non sembra si sia fatto troppi scrupoli ad accettare il compito affidatogli da Cersei, ovvero di uccidere entrambi i fratelli Lannister, Tyrion e anche l’amico Jaime, in caso entrambi riuscissero a sopravvivere alla battaglia.
Più sotto, fra gli approfondimenti, c’è un bel pezzo di The Ringer al riguardo ma, per farla breve, la faccenda del Re della Notte si conclude qui? Il suo unico scopo era ammazzare Bran e gettare il mondo nel caos? Davvero? Cioè, dopo tutto questo casino, ci si aspettava qualcosa in più, che so, qualche obiettivo segreto. E invece no, voleva solo uccidere il Corvo con tre occhi e amen.
Approfondimenti:
RIP, Night King. We Wish We Had Learned Your Secrets. (leggi l’articolo su The Ringer)
Everything You Need to Know—and More—About the Crypts of Winterfell on ‘Game of Thrones’ (leggi l’articolo su The Ringer)
How Arya's major moment at the Battle of Winterfell was foreshadowed last season (leggi l’articolo su Insider)
Melisandre’s return to Game of Thrones, explained (leggi l’articolo su Vox)