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I segreti di Germs Nerawareta Machi

Conoscete Germs Nerawareta Machi?

Le circostanze suggeriscono che no, non ne avete mai sentito parlare. Questo videogioco infatti è stato distribuito solo in Giappone, in poche copie, verso la fine del ciclo di vita di PlayStation - era il 1999. Io l’ho scoperto molto dopo, quando mi sono imbattuto in questo tweet del 29 gennaio, che annunciava una patch inglese.

Dopo mi sono messo a cercare informazioni a riguardo, ma non sono andato molto lontano. La quantità di nozioni sul titolo in mio possesso è limitata quanto la scala cromatica della città in-game. Se questo è un rabbit hole, non è poi così profondo. Provo a sistematizzare.

Estetica.

La cover art di Germs è una delle ragioni per cui ha raccolto intorno a sé una nicchia di cultori: mostrava un serie di corpi nudi risucchiati da un punto centrale, senza il titolo, ma con il logo di PS1. Grazie a Fandom, possiamo dare un’occhiata alle altre grafiche che rivestivano la confezione e a un manuale di istruzioni dispiegabile con la mappa del limitato open world su un lato. All’interno della custodia, si trovava anche una cartolina, con sole scritte.

Perché uso i verbi al passato (mostrava, rivestivano, trovava)? L’unica copia di Germs in vendita su ebay.com si trova in Giappone e costa 9mila dollari, quindi è come se per me non esistesse.

Trama

Ambientato in una cittadina senza nome, che però ha una toponomastica inglese, Germs è la storia di un reporter che inizia a indagare su alcuni strani accadimenti. Un ex compagno di classe gli dice che qualcosa non quadra alla centrale elettrica; in un’occasione sei testimoni hanno avvistato una luce nel cielo. Sono indizi di qualcosa di più grande.

La frase che apre il gioco è questa: “Life is water, slowly you surface to the sea”. I dialoghi, per il resto del tempo ordinari, diventano occasionalmente evocativi, come in questo caso: “I lived here all my life but I get lost everyday”.

Gameplay

Germs Nerawareta Machi appartiene a uno dei generi di maggior successo su PS1: il survival horror. Questi videogiochi avevano il vantaggio di adattarsi ai limiti della console in questione, pur trattenendo la loro efficacia, anzi sfruttando quei limiti a proprio vantaggio: ad esempio, gli sfondi pre renderizzati erano sia belli da vedere, sia “leggeri” per l’hardware, e alimentavano la tensione nel giocatore con l’idea di quello che si trovava fuori dall’inquadratura.

In Germs, l’open world (se così possiamo chiamarlo) è gestito faticosamente, soprattutto a causa di una mappa (quella in-game) poco chiara. Dipende sia da una mancanza di risoluzione della mappa, sia da un’assenza di punti di riferimento all’interno della città. Credo sia per questo che gli sviluppatori hanno inserito una bussola e delle frecce rosse puntate in direzione delle zone d’interesse. Il che ci porta al prossimo paragrafetto, che è dedicato a…

Estetica (del gioco).

Gli esterni di Germs sono in bianco e nero, fatta eccezione per alcuni dettagli. Su internet, si discute sul fatto che sia una scelta artistica. Per alcuni invece aiuterebbe a migliorare la leggibilità, quindi l’orientamento. Oppure si tratta del modo di risolvere una questione tecnica: alleggerendo un open world su PS1.

Fonti di ispirazione

Spaziano da L'invasione degli ultracorpi a Tetsuo, passando per X-Files (c’è un personaggio che ha lo stesso cognome di Dana Scully), David Lynch e David Cronenberg. “The game has an unsettling mix of science-fiction, body-horror and surrealism”, si legge sulla striminzita pagina Wikipedia, che contiene un unico link, questo. È in giapponese, e porta al sito della casa di produzione e distribuzione. È stato aggiornato l’ultima volta nel 2005. Il che mi porta giusto giusto alla mia conclusione.

Naomi Scully, tanto per non sbagliare.

Germs è un gioco di cui non sappiamo NULLA.

In giro non ho trovato diari di produzione o interviste a chi ci ha lavorato, su YouTube i risultati sono limitati a una manciata di video di gameplay, pochi anche i tweet, quasi tutti con la stessa immagine (la cover art). I risultati di Google in italiano riempiono soltanto un paio di pagine e perfino l’utente che ha scritto su Reddit di essersi incaricato della traduzione dal giapponese è stato sospeso.

Germs sembra non esistere, oppure sembra arrivato dal nulla e sparito nel nulla, esserci stato soltanto per un istante lasciando come traccia principale la sua bellissima copertina e qualche brandello di informazione.

Pensate ai videogiochi di oggi: è lo stesso marketing a distribuire i dietro le quinte della lavorazione, a volte gli sviluppatori interagiscono direttamente con i videogiocatori, sicuramente con i giornalisti, mentre su YouTube ci sono unboxing di ogni edizione fisica e di gadget, artbook, etc. Le proprietà intellettuali più celebri, poi, vengono passate ai raggi X. Sappiamo tutto, o siamo nelle condizioni di sapere tutto su un videogioco odierno.

Con la sua estetica rarefatta, che aggiunge all’aria sinistra, facendo di questo non un titolo del passato, ma un incubo decomposto venuto dalla nostra infanzia/adolescenza, Germs è come quei libri maledetti delle storie horror. I protagonisti li trovano in cantina senza sapere chi li ha scritti, da dove arrivano e perché sono lì, ma la scelta migliore sarebbe quella di non aprirli. Così, il silenzio che circonda quel poco che sappiamo su Nerawareta Machi alimenta un fascino maledetto che suggerisce di adorarlo da lontano e di starne alla larga.

Poi, se non volete, c’è pur sempre ‘sto gameplay qui sotto.

Questo articolo fa parte della Cover Story “I migliori spaventi della nostra vita”, che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.