Outcast

View Original

Giornalisti... ma niente di serio!

Quando vuoi dare dello stronzo a qualcuno, nel campo della critica videoludica, normalmente gli ricordi che non è davvero un giornalista. Perché, se non sei un vero giornalista, non hai diritto alcuno di spiegare a me, che sto dalla parte dei lettori, come si deve giudicare un gioco. Però è una stupidaggine, un vizio di forma (certo) ma non di sostanza.

Per diventare un giornalista professionista in Italia, essere un pubblicista è persino più facile, occorre svolgere diciotto mesi di praticantato presso una redazione giornalistica e frequentare un corso di almeno quarantacinque ore promossi dal Consiglio Nazionale o dai Consigli Regionali dell’OdG. O, spendendo non pochissimo immagino, frequentare una scuola di giornalismo riconosciuta per un biennio. Con questi requisiti si può quindi sostenere l’esame di idoneità professionale e diamo per scontato che non esistano favoritismi o impedimenti di alcun tipo. Per il praticantato, basta un diploma di media superiore, non serve una laurea.

Tolto l’esame, quindi, il grosso delle persone che vi trovate di fronte a parlarvi di videogiochi, hanno senza ombra di dubbio i requisiti necessari per diventare rispettabili giornalisti. Che ci crediate o meno, sono vent’anni (e più) che scrivono o parlano per testate giornalistiche, che intervistano sviluppatori o publisher, che si informano, che rispettano embarghi e scadenze, mantengono segreti e vi sopportano con pazienza, perché dovrebbero far finta di essere uguali a noi per la semplice mancanza di quell’esame?

E, attenzione, non si tratta e non si è mai trattato di “capirne o meno di videogiochi”, non è mai stato quello il punto. Solo nelle teste bacate dei rincoglioniti di internet (e pure di qualche redattore purtroppo) si tratta di una gara a chi ce l’ha più lungo, al voto più giusto. Quello di cui parliamo, invece, è un professionismo costruito sul campo che ti permette di criticare un prodotto con più strumenti, più angolazioni, più sfumature. Sapere quanta fatica ci vuole per aprire una porta in un videogioco, ti insegna a stemperare i toni quando la realizzazione non è perfetta. Sapere chi hai davanti, un ragazzino nel suo garage piuttosto che una multinazionale con migliaia di dipendenti, ti aiuta a usare i guanti quando necessario. Essere in una redazione, inoltre, amplifica le possibilità a tua disposizione di conoscere e informarti. Di avere una visione molto meno parziale di quella che noi utenti abbiamo comodamente a casa.

Cosa manca allora? Credete davvero che l’etica si insegni in quel corso di due anni? Credete che all’esame possano davvero distinguere tra quello che sarà un giornalista serio alla ricerca della verità e quello disposto a vendersi per una statuetta in edizione limitata? Una grossa fetta della popolazione mondiale è disposta a farsi curare da una pagina Facebook ma un giornalista videoludico è rispettabile solo con un certificato che ormai ha poco senso di esistere?

Impariamo ad ascoltare, a scegliere i migliori, a sentire cosa hanno da dirci questi vecchietti che vivono di videogiochi e vedrete che, Hollow Knight o meno, potremmo persino imparare qualcosa da loro.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata al giornalismo, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.