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L’autoesotismo ai tempi del Covid-19: Gloria a Panau! | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

giopep: Come va la quarantena? :D Ma soprattutto, mi sono accorto che è caduto il decennale di Panau. Potrebbe essere un motivo per farti tornare a scrivere? :D

Fotone: Nammerda fatta di dolore, noia e solitudine. Da tre settimane Myriam è andata a vivere da una collega (per non contagiarmi, l’ospedale qui è Covid-only) e io ho un paio di costole incrinate per una caduta in bici (prima del decretone). 

giopep: Effiga.

Fotone: Ho fatto 3/4 giorni di Animal Crossing, ma lo stavo vivendo come una condanna nella condanna che già è la quarantena, e prima che mi cascasse il cazzo ho passato lo Switch a Myriam (lasciandoglielo in un’apposita zona decontaminata). A ‘sto punto meglio morire a Panau. 

Trasferimento causa assoluta urgenza. Non serve neppure l’autocertificazione.

Un arcipelago tutto matto chiarisce perfettamente il mito ormai sdoganato dell’autoesotismo ai tempi del Coronavirus. 

Panau è una terra estrema, polimorfa, che vive di sublimi contrasti. Primitiva e lussureggiante, moderna e selvaggia, alterna paesaggi incontaminati a strutture architettoniche all’avanguardia, che superano visibilmente lo sfarzo del Ryugyong Hotel di Pyongyang. 

Panau è persino meglio dell’Abruzzo (che da par suo è già meglio di Animal Crossing), e sul piano paesaggistico e su quello sociale. Il suo territorio è più che euforico. Tutto in esso è facile, innocente, esplosivo. Ogni detonazione attentamente orchestrata è specializzata e in tal modo glorificata, promossa nello stesso tempo al rango di spettacolo gustoso, gioioso. Le continue esplosioni che scandiscono le giornate non costituiscono di certo un procedimento d’irresponsabilità. Non sono un mezzo per negare o rovesciare quel pazzo mondo simil-malese, bensì per assolverlo e beatificarlo. La magia di Panau è infatti di ordine muscolare, essenzialmente bellico, chiamato a promuovere incessantemente il ricorso alle armi e a gesti sempre duri ma giusti.  Tutto ciò spiega perfettamente la sua natura totalizzante e rassicurante. 

A Panau i treni arrivano in orario.

Privato d’ogni impellenza globalizzante, respinto nella lontananza improbabile di una distopia paradisiaca, disincarnato dal lusso stesso della pace, l’arcipelago di Panau è sempre pronto per sublimare nell’abile operazione di un distanziamento virtuale e virtuoso. Panau rivela così la sua giustificazione più profonda in un mirabile autoesotismo antipandemico.

Dopotutto, dinanzi al virus, Panau ha due sole condotte, ambedue di eradicazione coatta: riconoscerlo come nemico dell’ordine costituito e dunque fucilarlo in piazza (colpire un ceppo virulento per educarne cento), o ridurlo a puro riflesso simulato, mortificando il suo tasso di letalità a colpi di mortaio. 

Chieti, vista dall’alto.

L’arcipelago di Panau non può non essere l’unico refugium possibile in questi tempi di profonda crisi e incertezza. E così, un Dpcm dopo l’altro, vivo questi paesaggi tanto singolari, li assimilo, li sento lievitare nella mia fantasia in un rincorrersi di sensazioni. Panau potrebbe sembrare uno spettacolo barbaro e chiassoso: invece è una cerimonia profondamente religiosa. Occorre solo conoscerne il significato. 

Davvero, io c’ho provato con Animal Crossing, per rinascere e ritrovarmi a Covid-Island. E devo ammettere anche che inizialmente ero preso bene: zero erbacce, tantissime sogliole e tutti quegli appuntamenti quotidiani che mi restituivano un certo senso di appartenenza. Epperò niente, dopo quattro giorni di lavori forzati in quarantena, mi sono ricordato di avere una postazione di guida in salotto, senza moglie.  

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata all’escapismo, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.