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L'eroe tragico nelle Coefore, in Edipo Re e nel primo God of War

Il titolo potrebbe sembrare un po' provocatorio, e forse lo è pure: com’è possibile mettere Kratos insieme a Edipo e Oreste? Anzi, riformuliamo: come si può porre il protagonista di un videogioco sullo stesso piano dei personaggi rappresentati dalle parole di Eschilo e Sofocle? Lo si può fare, banalmente, individuando l’isotopia più evidente che intercorre fra questi tre personaggi: quella di essere degli eroi tragici, appunto. Ma prima di approfondire cosa significhi essere degli eroi tragici, va fatta una specificazione: ogni opera va contestualizzata, e God of War non potrà mai essere, in alcun modo, all’altezza delle Baccanti di Euripide; non per questo, però, si possono negare i meriti di una saga che, soprattutto nel suo primissimo capitolo (l’unico che in questo articolo verrà analizzato, per via della sua, più o meno, definita struttura narrativa), è riuscita a cogliere lo spirito della tragedia greca, e reinterpretandolo a modo proprio, rimuovendo ad esempio gli aspetti più politici, meno ludici e ponendo anzi l’accento sulla truculenza presente, ad esempio, nelle già citate Baccanti. Ma come accennato, l’aspetto più propriamente tragico all’interno di God of War sta nel proprio protagonista, Kratos, un personaggio il cui machismo esasperato lo porrebbe idealmente ben lontano da Oreste o Edipo, ma che invece condivide con questi ultimi molto di più che una semplice etichetta di convenienza.

Di preciso, però, cos’è la tragedia? L'idea di tragico esiste dai tempi di Aristotele, ma è solo a partire da Schelling che esiste un concetto filosofico del tragico, che per essere compreso va scisso nelle sue due unità principali: la prima è l’Ananke, traducibile in italiano con il termine ‘necessità’, ed è ciò a cui gli uomini tutti sono assoggettati; qualcosa, insomma, contro cui necessariamente ci si scontra, prima o poi. La seconda è invece la Libertà, concetto che i greci non avevano e che arriva nella modernità con il Cristianesimo, esplicitato al meglio da Sant’Agostino nei suoi scritti riguardanti il ‘libero arbitrio’. Insomma, per Schelling, il tragico deve tenere insieme questi due aspetti, quello di Ananke e quello di Libertà; il tragico è tale proprio perché al suo interno Ananke e Libertà intraprendono, in un rovesciamento, uno scontro d’identità dei contrari, che sono appunto, e rispettivamente, l’identità di rovina e quella di salvezza; il rovesciamento sta ovviamente nelle peripezie che fanno da sfondo a questo scontro – e da qui il termine ‘peripezia’, che deriva proprio da ‘peripeteia’, 'rovesciamento', appunto.

L’esempio più lampante di ciò lo abbiamo nell’Edipo Re di Sofocle, in cui Edipo, per sfuggire alla profezia dell’oracolo di Delfi, fugge da Corinto a Tebe, dove invece questa si compie; il primo God of War presenta una situazione speculare quando Kratos, nonostante l’avvertimento di un oracolo, compie una strage all’interno di un tempio di sacerdoti devoti ad Atena, finendo per uccidere accidentalmente sua moglie e sua figlia, teletrasportate lì proprio da Ares, dio della guerra che tempo prima aveva reso Kratos il proprio flagello. È questa, quindi, la dialettica dei contrari, un continuo scontro d’identità fra Ananke e Libertà dell’eroe.

La Libertà non è però, come già detto, un concetto presente all’interno del mondo della Grecia antica. Quando Oreste uccide la propria madre nelle Coefore, non è spinto solo dalla propria volontà, quanto da quella di Apollo, che ordina al giovane di vendicare la morte del padre Agamennone, ucciso a sua volta da Clitemnestra, moglie di quest’ultimo nonché madre di Oreste; una vicenda che sarà poi oggetto del dibattito centrale, tutto politico, all’interno dell’opera conclusiva dell’Orestea, ovvero le Eumenidi. Allo stesso modo, Kratos non poteva esimersi dal compiere quell’ennesima strage nel tempio di Atena proprio perché guidato dal volere divino; quello stesso divino che gli impedirà di uccidersi, diventando così dio della guerra al termine del primo God of War.

L'Edipo Re girato da Pasolini nel 1967 è fra i tentativi più riusciti di declinare a proprio modo la tragedia e il senso tragico stesso.

Per Schelling, se vogliamo parlare di Libertà, bisogna però parlare della libertà che deve avere un soggetto per potersi opporre – basti pensare al concetto di Dio, che comprende a sé il bene, sì, ma anche la possibilità di scegliere il male. Se vogliamo parlare di Libertà, dobbiamo dunque pensare a qualcosa che gli si opponga; per Schelling, solo l'arte ha la capacità di rappresentare questa lotta, ed è proprio nella misura in cui la libertà viene sconfitta che avviene una celebrazione della libertà; nella tragedia, appunto. Ancora: l’elemento tragico non consiste affatto, come invece si potrebbe pensare, nella fine luttuosa subìta dall’eroe; piuttosto, la tragedia sta nel fatto che il lutto arrivi nel momento di massima gloria: un po’ come quando Edipo, dopo essere diventato re di Tebe, scopre di aver giaciuto con la propria madre naturale, finendo poi per accecarsi, in una sorta di catartica punizione fisica. Ma anche come quando Kratos, consacratosi come personale arma di distruzione di massa di Ares, uccide moglie e figlia; un evento che, come per Edipo, finisce per ripercuotersi sulla dimensione corporea dell’eroe, con le ceneri delle proprie care appena decedute che vanno a depositarsi sulla sua pelle, facendolo così diventare il Fantasma di Sparta.

Dunque, come ha sottolineato più volte Szondy riprendendo Schelling, il senso del tragico sta qui, in questa lotta fra eroe e destino. Schelling che in seguito riprenderà in mano l’argomento del tragico, affinandone diverse spigolature: l’essenza del tragico non consiste infatti nella sottomissione della libertà al fato, bensì a una sottomissione reciproca, una compenetrazione fra l'una e l'altra. Con le dovute differenze del caso, visto che si parla di un poema epico e non di una tragedia, è un po’ come quello che accade a Odisseo lungo tutta l’opera che lo vede protagonista, e in cui lotta per far sì che egli possa finalmente ritornare a casa. Si tratta di una considerazione che Schelling riprende da Aristotele, il quale, seppur dedicandosi ad analisi sceniche della tragedia piuttosto che strettamente filosofiche, notò come l’eroe tragico fosse qualcuno nel quale ci si potesse identificare: un uomo intermedio, né buono né cattivo per natura; ecco, quando un uomo del genere vive peripezie che lo mettono in mezzo alla dialettica dei contrari, è qui che si manifesta il sentimento di tragico, presente per via di una colpa indeterminata, una sventura della quale l’eroe non ne è consapevole; colpa che poi diventa, va da sé, Ananke, mostrando così l’ineluttabilità del fato.

Copincollo da WikipediaOreste perseguitato dalle Erinni, dipinto di William-Adolphe Bouguereau, 1862, Norfolk (Virginia), Chrysler Collection.

Chi ha anche solo lontanamente presente la figura di Kratos potrebbe però storcere il naso. Sì, magari Edipo ed Oreste potrebbero, in modo generale, essere etichettati come figure intermedie, né buone né cattive, e dunque dalla facile identificazione, ma il violento Kratos, invece? Magari sembrerà una forzatura, per certi versi anche semplicistica, ma quest’ultimo aspetto, nel caso di God of War, viene totalmente soppiantato dall’impianto ludico, che per certi versi accelera e amplifica a dismisura il processo di identificazione, che in questo caso viene veicolato direttamente dal pad, con tutto quello che ne consegue dall’immaginario contemporaneo, che di sangue e botte non è affatto esente in tutti i suoi ambiti. La colpa indeterminata, invece, lega senza dubbi sia Oreste che Kratos che Edipo: tutti degli eroi inconsapevolmente colpevoli – di delitti che peraltro, dettaglio non indifferente nella cultura greca dell’epoca, riguardano l’uccisione di un proprio consanguineo – che danno così vita al sentimento di tragico, che c'è quando è presente una colpa indeterminata, una sventura della quale l'eroe non è, appunto, consapevole. Di nuovo: colpa che diventa poi Ananke, mostrando così l'ineluttabilità del fato.

Arrivati a questo punto, Edipo, Oreste e Kratos non ne erano più consapevoli, ed è per questo che Libertà e Ananke vanno a compenetrarsi: l'eroe viene sottomesso, ma rivendicando il proprio libero arbitrio, per quello che è lo spirito della tragedia greca. Tutto ciò non ci lascia affatto devastati, ma anzi purificati, traducendo le passioni in virtù. L’ira di Kratos, paradossalmente, potrebbe essere a tal proposito indicativa. Ma tornando a Schelling, questa dialettica fra Libertà e Ananke a cosa porta? All'Ananke che perde il suo lato oggettivo, facendo guadagnare la Libertà in universalità. Dicevamo, l'eroe tragico come un incolpevole colpevole. Come Kratos, anche.

Diverse fra le argomentazioni sulla questione del tragico derivano dagli appunti raccolti durante le lezioni di Estetica filosofica del professor Carlo Gentili, presso l'Università di Bologna. Gentili ha pubblicato, insieme a Gianluca Garelli, Il tragico, libro edito Il Mulino in cui tali concetti vengono approfonditi, andando a ricostruire le varie evoluzioni dall’età idealistica fino ai più recenti sviluppi novecenteschi. Come al solito, se lo acquistate tramite il link qua sopra, una piccola percentuale di quanto speso va a noi, senza sovrapprezzi per voi.

Questo articolo fa parte della Cover Story su God of War, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.