Il Piccolo Principe dei videogiochi si chiama Incoboto
Per meno di tre euro, dentro Incoboto c'è davvero parecchio gameplay. Ci sono principalmente la morte, la vita e la speranza che possa esistere ancora un domani, oltre a tutto un immaginario videoludico che rimanda a certe dinamiche di Ico e tal altre logiche di Portal (parola di Dene Carter, ex membro di Lionhead e direttore creativo di Fable), all'etica di World of Goo e alle note dolenti di Superbrothers: Sword & Sworcery Ep. I suoi mondi, del resto, sono sferici come quelli di Super Mario Galaxy e per giocarci basta un solo dito, proprio come in Metal Gear Solid 4: Guns of the Patriots. Non ultimo, il voto che sta in fondo a questa recensione è appena inferiore a quello di Fez. Come si dice tra giovani, insomma, Incoboto "è tanta roba". Fatelo subito vostro e amatelo con estrema passione e una punta di dolore, come Antoine de Saint-Exupéry fece con Consuelo Suncín-Sandoval Zeceña de Gómez.
Il protagonista di Incoboto è un piccolissimo bambino di nome Inco che vive su un pianeta deserto, perché i suoi genitori sono morti. Non appena stringe amicizia con il piccolo sole di nome Helios, i due partono assieme all'avventura, perlustrando a suon di enigmi ambientali un universo che sta morendo, disseminato di reminescenze dall'oltretomba e televisori che riproducono la strana storia che una misteriosa "Corporazione" ha disseminato in giro. Inco si controlla con pochi tocchi sullo schermo: si sposta a sinistra e a destra lungo pianeti minuscoli e salta con un tap o uno swipe del dito (quest'ultimo non risulta preciso e sensibile nella misura in cui sarebbe stato lecito desiderare). Il piccolo pianeta natale, comunque, serve da tutorial per apprendere le meccaniche basilari del gioco, sino a trovarsi di fronte a complessi stage con pulsanti da attivare, piattaforme da spostare, interruttori da azionare nella corretta sequenza per creare condizioni specifiche, campi gravitazionali, jetpack e oggetti da spingere o tirare per creare un certo percorso: l'obiettivo di Incoboto è quello di raccogliere i frammenti di stelle sparsi nel corso dei numerosi ed esigenti stage, per sbloccare l'accesso a quelli successivi. Altrimenti si torna indietro (backtracking), per spremersi ancor più forte le meningi e raccogliere con sforzo (la difficoltà è elevata, ma non porta mai allo scoramento) quel che s'era precedentemente tralasciato, ovvero il nutrimento di Helios.
Incoboto non dispensa solamente sommo appagamento proprio dei migliori puzzle game, ma una strana amalgama di fortissime emozioni e un briciolo di malinconia, che derivano soprattutto dalla storia pregevolmente narrata e dal design oltremodo raffinato (firmato Fluttermind e decisamente sopra la media dei giochetti per iPad), oltre che dall'evocativa e persistente colonna sonora, in grado di sospendere l'azione in un'atmosfera eterea, onirica, impalpabile, propria dell'altrove videoludico più triste e poetico si possa desiderare. Il risultato è un concentrato di pura sinestesia, da vivere intensamente e custodire gelosamente tra i più bei ricordi videoludici di sempre. Dà ristoro alle coscienze, salvando il mondo.