Impiccheranno Yorgos: Il sacrificio del cervo sacro
Un chirurgo è amico di un ragazzino. Un incipit semplice, che può portare a quasi ogni tipo di risvolto narrativo: dalla commedia degli equivoci al drammatico, passando per l’horror, qualcosa di romantico o, perché no, lo snuff. All’inizio sembra tutto possibile, con il buon Colin Farrell (qui in versione Beppe Vessicchio) che vive una vita tra corsie d’ospedale e agio altoborghese, con la bella moglie (Nicole Kidman in ripresa dopo l’overdose da botulino) e i due figli, che vedono lentamente ma inesorabilmente entrare in scena il giovane amico dell’irsuto irlandese.
Enter Yorgos Lanthimos, che con i generi prestabiliti ha deciso di pulirci un po’ tutto: il regista greco mette in scena 121 minuti di asettica tensione, in cui l’arrivo di Barry Keoghan (il soldatino che inquietava un po’ tutti anche in Dunkirk) nelle vite della famiglia Farrell danno il la a una serie inaspettata di rivelazioni, orrore, viscidume e, in buona sostanza, a una vera e propria tragedia greca.
Il sacrificio del cervo sacro, più che essere una rilettura di un’opera di Euripide, è un altro saggio della bravura di Lanthimos nel mettere in scena mondi implausibili e terrorizzanti, che affascinano e ci tengono attaccati alla poltrona per la loro straordinaria credibilità. Ancor più che nel precedente The Lobster (2015), in cui i paradossi, l’incomprensibilità e l’insensatezza dell’amore emergevano quasi a compimento di un film retto da una distopia abbacinante, in The Killing of a Sacred Deer è la normalità di tutto a destabilizzare lo spettatore, dando ai pugni nello stomaco il palcoscenico che meritano, da subito.
Una normalità sottolineata dalla freddezza registica di Lanthimos, che oltre a fare suoi degli stilemi del cinema di Kubrick (l’utilizzo del montaggio, le sottolineature con la musica classica, una fotografia che parla quasi più degli attori), ne eredita anche la totale assenza di empatia per i protagonisti. The Killing of a Sacred Deer ci mette di fronte a dei personaggi che, a loro volta, sono stati messi di fronte a qualcosa di incomprensibile, ineluttabile, un nodo di gordio la cui unica soluzione non fa altro che rivelarci la loro vera natura. Come in una cronaca ai confini della realtà, in questa home invasion psicologica nella quale l’aguzzino non entra (quasi) mai in casa, a noi non resta che vedere come e chi verrà fuori meglio dalla serie di torture, senza neanche avere il sollievo di poter tifare per qualcuno, o avere la rassicurazione che ci sarà davvero una luce alla fine del tunnel.
Di fronte all’impossibilità del tutto, all’incapacità di venire a patti con il proprio passato e il proprio destino, la perfezione dell’agio comincia ben presto a mostrare le imperfezioni dell’umanità più becera, con anche i personaggi apparentemente più innocenti che finiranno per compiere gesti meschini, rivelando aspetti miserabili della loro esistenza. Una discesa lenta e inesorabile che, una volta finita la vicenda, lascerà a tutti una nuova, agghiacciante consapevolezza: convivere con le parole che hanno detto, con le loro azioni disperate e con loro stessi, sarà ben più complicato di venire a patti con il taglio netto con cui hanno reciso il nodo.
Ho visto il film in lingua originale, che è l'unico modo in cui dovreste vedere tutto. YAY tolleranza! Comunque, è nelle sale ora, ennesima vittima della distribuzione Ferretti di cui gode regolarmente l'estate italiana.