Il trono di spade è stato il meglio che potessimo desiderare
Se c’è qualcosa di cui non possiamo fare a meno, specie in questo mondo perennemente interconnesso, è l’interessarci a quello che fa tendenza, anche solo per darne un giudizio frettoloso; e com’è ormai abbastanza chiaro, in questa ampia ed eterogenea categoria, oggi riconducibile soprattutto ai trending topic di Twitter e che ha come unica costante quella della volubilità generale, Il trono di spade è riuscito a imporsi all’attenzione di chiunque, facendo così tendenza ad ogni sua nuova stagione. Negli ultimi tre, quattro, cinque anni, anche chi se n’è sempre tenuto distante è finito per restarne spesso invischiato, sin dentro le viscere di una narrazione che ha da tempo superato il concetto di popolare, diventando qualcosa di così grosso da non poter lasciare indifferenti. Non si spiegherebbero altrimenti gli ascolti, le discussioni e tutto quello che, puntualmente, è andato ad alimentare parte del dibattito pubblico ogni volta che sopraggiungevano i titoli di coda.
Your browser doesn't support HTML5 audio
Dall’esterno, prima di guardare Il trono di spade, mi è sempre sembrato strano che il fantasy, di norma considerato un genere respingente da parte del grande pubblico, riuscisse in questa operazione. Ma guardando Game of Thrones, più del sesso e delle morti in abbondanza, quello che mi è apparso chiaro è che di fantasy, in fin dei conti, non ce ne stava mica; o meglio, c’era, ma confinato, letteralmente. Che fossero i draghi di Daenerys o gli estranei oltre la barriera, tutto quel che di buono o cattivo si trovasse a Westeros era originato da mani umane, mentre il soprannaturale stava fuori, più come un monito che come una minaccia. Ed è forse per questo che a gettare nello sgomento tanti, me compreso, più che la morte di Ned Stark (la prima in ordine di tempo a spiazzare lo spettatore), sia stata la scena del parto di Melisandre, quella in cui, per la prima volta ne Il trono di spade, accade qualcosa di inspiegabile: se ogni eccidio precedente poteva ricondursi alle manovre in carne ed ossa dei Lannister, con la morte di Renly Baratheon, a farsi carnefice era qualcosa di non umano; qualcosa, appunto, di alieno e dunque inspiegabile.
In Game of Thrones, insomma, la marginalizzazione di quel fantasy che ne dovrebbe essere la colonna portante fa trasformare quello stesso elemento fantastico in qualcosa di diverso, quasi metafisico, teologico seppur non necessariamente tale, un extracorporeo che dà tutt’altro spessore alle vicende, incredibilmente umane, che vedono coinvolti i protagonisti nel gioco dei troni. Si tratta di due elementi, il fantastico e il politico, opposti ma speculari, e che più che essere un mix di generi, trasformano l’intera narrazione in un perfetto equilibrio fra epica e dramma – e il momento che meglio cristallizza quanto scritto è da ricondursi principalmente alle Nozze Rosse, l’evento non a caso più iconico della serie, in cui a lasciarci le penne sono quasi tutti gli Stark, cioè quelli fin lì presentati in apparenza come i veri protagonisti della storia.
Questo, unito a un cast di interpreti eccezionali e a un budget che ha via via permesso agli showrunner di imprimere maggiore forza alla rappresentazione visiva e sonora, ha portato la serie a imporsi come un prodotto di cultura alta, un esponente di spicco fra il catalogo di HBO, una serie che cioè non ha nulla da invidiare ad altri prodotti della stessa emittente, la quale tuttavia non aveva mai raggiunto un successo di pubblico così elevato e capillare. Ad allargare il bacino d’utenza, e a far guadagnare a Game of Thrones un pubblico sempre più ampio, hanno certamente contribuito momenti altissimi come la Battaglia dei bastardi o l’esplosione del tempio di Baelor; ma anche l’apporto di situazioni da road movie fra Arya e il Mastino, le occhiate sensuali di Margaery Tyrell o l’esplosione della testa di Oberyn Martell hanno di certo portato la serie all’attenzione di un pubblico che altrimenti non avrebbe raggiunto i diciannove milioni di telespettatori, nei soli Stati Uniti, che si sono toccati con l’episodio conclusivo.
A detta di molti, sarebbe stato proprio questo allargamento, che con gli anni e le stagioni si sarebbe fatto sempre più incisivo, ad abbassare il livello generale della serie, appiattendo il tutto – unitamente alla mancanza del supporto dei libri di Martin, da cui attingere per la sceneggiatura delle puntate, a partire soprattutto dalla sesta stagione. Però, che dire allora di momenti ricchi di pathos come la distruzione di Aspra Dimora o il sacrificio di Hodor? Imputare un certo abbassamento nella scrittura del Il torno di spade, che pure c’è stato seppur in maniera nemmeno così evidente, unicamente alle trovate narrative di Benioff e Weiss, gli sceneggiatori della serie, sarebbe infatti ingeneroso, come lo sarebbe anche impuntarsi contro sketch e liaisons in fin dei conti necessari ad allentare il ritmo in una narrazione altrimenti troppo gravosa. Il vero problema di Game of Thrones, semmai, è da ricondursi all’eccessiva frettolosità nella progressione che ha caratterizzato la serie nelle sue ultime due stagioni, non a caso le meno apprezzate dai fan, facendola incappare in scivoloni e in evoluzioni caratteriali che avrebbero necessitato forse di un po’ di puntate in più, prima di poter essere metabolizzati dagli spettatori.
Tuttavia, arrivati alla chiusura di un cerchio che ci ha tenuto compagnia per quasi un decennio, sarebbe miope concentrarsi su ciò che non c’è stato – ignorando tutta quella grandissima parte che, invece, ci ha emozionato, fatto piangere e incazzare durante tutto questo tempo. Specie per quella che è, anche più di quanto lo sia stata Lost, la serie TV evento del ventunesimo secolo; lo show che cioè rimarrà più di tutti nelle pagine della storia televisiva di questo tempo. Arrivati alla fine, è stato semplicemente bello avervi assistito dal vivo, settimana dopo settimana, stagione dopo stagione, specie in un’epoca in cui il binge watching sembra essere diventato l’unica fruizione possibile.
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a Il trono di spade e al fantasy lercio, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.