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Ion Fury - Come get some!

Le “operazioni nostalgia” non sono di certo una novità. Remake, seguiti spirituali, o semplici lifting alla grafica di giochi un tempo gloriosi ma ormai vecchi sono all’ordine del giorno. Ion Fury, un tempo Ion Maiden, rientra appieno in questa categoria, ma lo fa senza cercare di modernizzare il suo aspetto grafico. In realtà, usa esplicitamente il Build Engine, lo stesso che ci ha regalato capolavori come Duke Nukem 3D, ma il punto è come lo usa.

E il gunplay.

E, in generale, la badassery della protagonista.

Funziona tutto. A partire dall’engine. Nel 1996 sarebbe sembrato semplicemente incredibile poter utilizzare il motore di Duke Nukem per poter fare le cose che oggi fa Ion Fury. Si tratta di una tecnologia vecchia portata alla massima, possibile espressione moderna. E quale espressione!

La storia, come è normale in questo genere di giochi, non è che sia propriamente materiale da Oscar. La protagonista, Shelly, è a capo di una task force della GDF ed è impegnata a cercare di procurarsi una ubriacatura epocale, quando la città viene attaccata da uno scienziato pazzo e la sua armata composta da cyborg e mostruosità assortite. Il compito di Shelly sarà di sistemare le cose con l’uso del giusto quantitativo di violenza, esplosioni, e budella sparse in giro.

La fanciulla ha un ampio arsenale di armi ad aiutarla, e ciascuna di queste armi ha un proprio spazio. È facile, negli sparatutto di questo tipo, che la pistola iniziale venga dimenticata dopo i primi minuti di gioco perché le altre armi sono oggettivamente migliori, ma non è il caso in Ion Fury. Il bilanciamento è tale che ogni pezzo dell’equipaggiamento ha un suo margine ben preciso, e la pistola, con i colpi automatici e rapidi, rappresenta in realtà un ottimo strumento per gestire bersagli difficili da colpire o creare scene degne di un western di Eastwood o, per metterla in termini più recenti, delle prodezze con il revolver sfoggiate da Stallone ne I mercenari.

Ogni strumento di morte in Ion Fury è dotato di due modalità di fuoco distinte. Queste possono essere munizioni differenti, come nel caso del fucile a pompa che diventa un lanciagranate, o metodi di fuoco propriamente alternativi. Ogni arma è divertente da usare e, come ho detto, sono tutte perfettamente bilanciate.

Se devo trovare un difetto da questo punto di vista, è che manca una vera e propria arma finale. In Duke Nukem 3D c’era il Devastator, in Doom il BFG9000, quasi ogni sparatutto arcade ha la sua “arma finale”, ma in Ion Fury non ho identificato nessuno strumento all’altezza dell’etichetta. Non è davvero una tragedia, ma avrei preferito che, anche solo per gli ultimi livelli, al giocatore fosse fornita un’arma per lasciarsi andare allo spirito distruttivo.

La costruzione dei livelli l’ho trovata in linea con ciò che andava di moda all’epoca dei classici del passato, ma con una “ripassata” di taglio moderno che rende alcune cose più semplici da comprendere. I percorsi non sono particolarmente labirintici, e mantengono una loro logica architettonica.

In definitiva, siamo di fronte a un’operazione completamente riuscita? No. Sfortunatamente no. I nemici tendono a ripetersi un po’ e non sono particolarmente memorabili, le armi non fanno mai sentire il giocatore una reale macchina di morte e in generale non ho provato, giocando a Ion Fury, le stesse emozioni fornite dagli sparatutto a cui chiaramente si ispira. Si tratta di un prodotto ben fatto, messo insieme con professionalità e competenza, ma gli manca quella manciata di carisma in più che l’avrebbero reso un peso massimo del genere. Rimane comunque un gioco che vale la pena provare, ma l’esperienza è sicuramente meno grandiosa di quanto poteva essere.

Un’ultima considerazione sui livelli di difficoltà. Il più basso è in effetti facile. Wanton Carnage è il livello di difficoltà con cui consiglierei a chiunque di affrontare il gioco: si tratta del livello “medio”, ma in confronto agli sparatutto usciti sul mercato negli ultimi anni è un’esperienza molto più ardua e punitiva. Ultra Viscera, il terzo tra i quattro livelli disponibili, è estremamente difficile, e costringe ad avanzare facendo estrema attenzione a ogni passo.

Ho sbloccato il gioco grazie a un codice fornito dallo sviluppatore, procedendo poi a terminare l’avventura e salvare il pianeta dalla minaccia tecnorganica in circa una quindicina di ore di gioco. Ho provato le due difficoltà intermedie, con quella più alta che in realtà è effettivamente molto difficile, come ho già scritto poco sopra.