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Tutte le falsità di Italia ‘90 | Racconti dall’ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Allora, mi rendo perfettamente conto che il titolo suona *leggermente* clickbait, ma dovete capire che da una settimana ho in testa di buttare giù questo pezzo tutto lirico e nostalgico su quanto è stata bella l’estate di Italia ‘90 con la Nannini e Bennato e le giostra di colori e il vento che accarezza le bandiere e Schillaci e i primi baci ma la verità è che, a grattare sotto la nostalgia, non si fanno mai grandi affari.

Assecondando l’abitudine tutta italiana di affettare l’esistenza per coppe del mondo, fino a qualche giorno fa concepivo fermamente quello del ‘90 come IL mondiale - inteso della vita, nello specifico la mia - attorno al quale avevo consumato il grosso delle esperienze iniziatiche che segnano il passaggio tra l’infanzia e l’adolescenza. Parlo di motorini, giochini, ragazzine e le prime serate con gli amici a tirare tardi con le partite e le pizze e cose così.

Ricordavo, o credevo di ricordare, anche un inizio estate scoppiettante, buttato giù a birrette tra i bar di Pietra Ligure, dove ero solito passare parte delle vacanze estive.

Ancora, avevo in mente questa bottega di pizza al trancio che due tizi simpatici e capelloni (e drogati, diceva sempre mia mamma, convinta di farmeli andare di traverso) avevano aperto dietro casa mia proprio in occasione della competizione calcistica, e dove si andava a prendere una teglia di diavola buonissima tra il primo e il secondo tempo, per poi trattenere il fiato fino al fischio del novantesimo - o dei supplementari, o dei rigori – ed eventualmente lanciarci tutti sul lungolago in motoretta con le bandiere e l’armamentario della vittoria.

A seguire, pomeriggio al baretto a commentare Schillaci e Baggio davanti a Final Fight, o in qualche scantinato a farsi il culo su Heroes' Quest, a tutt’oggi la cosa più simile a un gioco di ruolo sword & sorcery che abbia mai bazzicato, con il sottofondo dei R.E.M.

Ricordavo, infine, questo fighissimo giochino di Italia ‘90 intitolato senza troppa fantasia Italy 1990 e spacciatomi per ufficiale dal tizio baffuto che somigliava sinistramente al cannibale di Milwaukee ma, soprattutto, gestiva l’area videogiochi in quel tempio diddio che era il Mantovani Giocattoli.

Agevolo copertina dal gusto discutibile.

Mille e passa partite sul Commodore 64 assieme a mio fratello per fare il verso a quelle della nazionale in tivvù, ché c’erano i nomi veri e le maglie e gli stadi e un sacco di cose. Si vedeva dall’alto, Italy 1990, e a livello di balistica afferiva alla categoria della palla incollata al piede che Dino Dini aveva già reso obsoleta qualche mese prima. Non di meno, era figo, o almeno mi pareva. Tipo che se me lo aveste domandato ieri, avrei detto che era meglio di Microprose Soccer, tiè.

Il punto è che, fino a qualche giorno fa, avevo in testa una matassa di ricordi tutti incasinati, su quell’estate del ‘90, forse per colpa della canzoncina delle notti magiche e della nostalgia o che ne so. Soltanto che mano a mano che li filavo per fare il punto della situazione, ‘sti ricordi, il discorso diventava sempre meno stilnovista e sempre più meh, e alla fine del giro, a quel mondiale, non era rimasto attaccato quasi nulla (men che meno la coppa, ma quello si sapeva).

Cominciamo dalle basi: le fregnacce rituali da passaggio di età. In effetti, nell’estate del 1990, di anni ne avevo soltanto dodici - ma andavo per i tredici - ergo niente seratissime con gli amici in motorino, baretti e men che meno limonare. Pomeriggio in bici se diceva bene e pedalare (alla lettera).

A farci davvero caso, non era proprio un gran momento, quello, così sospeso tra i divieti dell’infanzia che calzavano sempre più stretti e la voglia di arrivare almeno ai quattordici per entrare sgommando nella sala giochi dei grandi.

In effetti, mi sa che nell’estate del 1990 mi sono abbastanza rotto il cazzo, perché, tornando alle serate di Pietra Ligure, al baretto di sera avevo cominciato ad andarci l’anno successivo, quando mia cugina si era sacrificata agli autoctoni. Di conseguenza, i primi gol di Schillaci il gran visir eccetera me li sono sparati sprofondato tra i divani moquettati della sala TV della pensione Jolly Roger, probabilmente fantasticando sulla cameriera poco più che ventenne che all’ora di cena mi aveva chiesto se preferissi - del pollo - «petto o coscia?».

Anche i tizi simpa della pizzeria non erano ancora attivi, nel 1990, e posso dirlo con discreta certezza perché, anche se il locale è chiuso da anni per robe di droga, l’insegna c’è ancora e sfoggia un neon frantumato con su scritto “Pizzeria USA ‘94”. Al massimo, la ruota del dopo partita era quella gommosa che cuocevano senza legna alla bocciofila, e a tenermi compagnia durante l’intervallo erano mio fratello e i mie genitori. A seguire, naturalmente, nessuna sbandierata esplosiva; al massimo un dopo-partita davanti alla microscopica tivù che avevamo all’epoca, con le sparate di Maurizio Mosca e le russate di mio padre.

Riguardo a Hero Quest, è arrivato effettivamente in estate, sì, ma quella di due anni dopo. La stessa di Euro ‘92 senza Italia, ché ci avevano sbattuto fuori prima i russi, e comunque di sottofondo ai dadi non c’erano i R.E.M., ma gli 883.

E il giochino dei mondiali sul Commodore? Quello l’ho fatto girare oggi dopo, fai, trent’anni dall’ultima volta, e effettivamente meglio di Microprose Soccer col fischio.

Sviluppato dai ragazzi di Tiertex e uscito con addosso il marchio dell’infamia di U.S. Gold, Italy 1990 - noto anche con l’alias World Class Soccer - si beccò un 66% regalato su Zzap64! e non andò tanto più in là tra le penne delle altre riviste dell’epoca. Colpa, immagino, della ridottissima porzione di campo inquadrata e soprattutto di una meccanica non propriamente entusiasmante. Mi sa che all’epoca mi piaceva solo perché rompevo le ossa a mio fratello, ammesso che sia vero.

A guardarlo così non fa nemmeno schifo, eh.

Quindi, insomma, davvero non un gran mondiale per il sottoscritto, quello del 1990. Migliore di quello messicano di quattro anni prima e grazie al cazzo, visto che lì avevo la varicella, e forse l’ultimo passato in famiglia prima di prendere il volo con gli amici. Sicuramente l’ultimo che ho passato in compagnia di mio zio, in effetti, ché ricordo di aver visto la finale per il terzo posto proprio a casa sua, con quella chiosa bellissima tra i nostri e gli inglesi.

Questa chiosa qui.

Lui aveva appena compiuto quarant’anni - due meno di me mentre scrivo - e se ne sarebbe andato all’improvviso soltanto due estati dopo. Non per fare lo svenevole, ma all’epoca era uno dei pochi adulti che consideravo ancora un ragazzo, nonostante fosse già sposato e tutto. Forse perché si sparava i filmacci con gli acchiappafantasmi che piacevano a me, chi lo sa, o magari perché anche lui aveva in casa il Commodore 64 e amava i videogiochi. Tranne Italy 1990, ecco. Quello gli faceva cagarissimo.

Questo articolo fa parte della Cover Story pallonara, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.