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Kami-sama no Memo-chō: loli detective

Eros e Thanatos. Romanzi d’amore e gialli.
Se esistano generi narrativi di maggior fortuna nella storia dell’Umanità, io non saprei dire.

Sicuramente l’epoca contemporanea, con le infinite possibilità di diffusione e rappresentazione ne è diventata il pascolo ideale. Ogni media ha prodotto, trasposto, reinterpretato storie di questi generi e ogni nazione ha prodotto un suo stile influenzando e venendo influenzata a ciclo continuo e sfornando libri, fumetti, serie televisive e film.

Come ho accennato nel mio primo articolo di questa cover story, la detective story è stata il mio primo contatto con la letteratura di genere e sicuramente il genere con cui tutt’ora intrattengo rapporti proficui soprattutto grazie ai “giallisti politici” nostrani (Carlotto, Carofiglio e Perissinotto), mentre la fantascienza ha ormai poco da dirmi dopo la scomparsa di Douglas Adams, ed il fantasy dopo avermi fatto conoscere Patricia McKillip e Carolyn J. Cherryh ha mollato il colpo.

Inoltre, negli stessi anni in cui divoravo Doyle, Christie e Westlake in televisione non sembrava passasse minuto senza un detective sullo schermo: repliche infinite di Perry Mason, Quincy, Colombo, Magnum P.I., Simon & Simon, Hardcastle & McCormick, Remington Steele, Riptide mi saturavano letteralmente delle più diverse filosofie di svelamento della verità, restaurazione dell’ordine (o sua sovversione, nel caso di Colombo, proletario sputtanatore di privilegiati) e dei diversi approcci all’indagine: dalla ricostruzione procedurale, al far parlare i morti, i motori, i pugni, le armi, i dati per annegati in quello che al tempo non era un mare inquinato e melmoso ma un oceano sconfinato da affrontare con miseri e complicati strumenti di navigazione maneggiati da specialisti visionari.

Questo per dire che l’idea del detective anomalo, del prodigio incompreso e incomprensibile, l’avevo interiorizzata fin dalla primissima giovinezza così come il fatto che solo semidei come Sherlock Holmes potessero arrivare a soluzioni pulite e matematiche, mentre la risoluzione di ogni mistero non era mai veramente pulita e priva di malinconia.

Così non ebbi nessun problema ad entrare in sintonia con Kami-sama no Memo-chō (Il blocco appunti di dio) e la premessa bizzarra di una lolita dall’età non dichiarata che dalla sua stanza stracolma di peluche, lattine di Dokupe (pseudo marca ispirata alla tremenda Dr Pepper che i giapponesi hanno adorato per decenni) e computer, guida una squadra di NEET (not in education, employment or training - ovvero disoccupati volontari, una bestemmia nella operosa società giapponese) per risolvere casi commissionatigli da diversi committenti.

La trovavo in realtà un’idea assolutamente prevedibile: nella loro bulimia mediatica i giapponesi avevano avuto investigatori di ogni genere, collocazione storica, professione primaria, specie ed età. Figuriamoci se dopo Detective Conan potevano non pensare ad una investigatrice dall’aspetto poco più che infantile inasprendo il contrasto tra l’innocenza maliziosa dell’apparenza con la crudezza delle situazioni narrate.
E infatti l’anime Kamimemo (abbreviazione con cui verrà indicato dai fan) nel suo anno di uscita (2011) si contenderà i telespettatori con altre due serie di identica ispirazione (Gosick e The Mystic Archives of Dantalian) rimanendone inspiegabilmente offuscato.

Dico “inspiegabilmente” perché dei tre è l’unico che io abbia seguito fino alla fine con enorme partecipazione mentre gli altri due mi hanno rapidamente annoiato fino alle lacrime.

Laddove infatti Gosick e Dantalian si giocavano tutto sul fascino della loli-detective rappresentata come una “principessa di ghiaccio”, altezzosa e arrogante ma anche mostruosamente priva di senso pratico e comica nelle sue manie di reclusa, destinata a sciogliersi per il riluttante “assistente” reclutato a forza; Kamimemo pur non rinnegando questa caratterizzazione banale non trascurava quegli altri due dettagli da niente che fanno il successo di una serie: sceneggiatura e cast.

Invece di rifugiarsi in comode trame fantasy con delitti della camera chiusa spiegabili tramite McGuffin legati alla magicabula, i casi indagati erano legati alle varie piaghe della società giapponese contemporanea: prostituzione liceale, infiltrazioni mafiose, tossicodipendenza giovanile e, ovviamente, disagio adolescenziale che si trasforma in rifiuto feroce delle “carriere” imposte dalla buona società. La loro risoluzione non sempre era “pulita” e, senza chiaramente dare sfogo a feroci denunce, ricordava che queste cose esistono e nel suo mostrare come eroi un gruppetto di “scarti della società” e l’inflessibile giovane capo di una “famiglia” di ex-teppisti in qualche modo un giudizio lo suggeriva.

Anche perché è impossibile non empatizzare per i personaggi. Nonostante quello che ho detto prima, sarebbe disonesto negare il fascino della NEET-detective Alice che apparentemente aderisce perfettamente al canone: altezzosa, pomposa nel parlare, egocentrica, infantile. Mano a mano però si rivela essere, coerentemente, una bambina di genio e sensibilità fuori dalla norma che ha dovuto diventare una reclusa per limitare e mediare l’aggressione del dolore altrui alla sua empatia enorme. E non tanto per difendere se stessa ma, come sarà appena suggerito nel finale, per difendere gli altri da cosa potrebbe succedere se tale genio e sensibilità venissero usati come armi per punire chi ha oltrepassato una linea che non andava oltrepassata.

Se straordinaria è la protagonista, altrettanto straordinaria è la squadra di “Archie Goodwin” al servizio di questa pucciosissima Nero Wolfe. Abbiamo Tetsu, orgoglioso NEET carico di muscoli e positività, giocatore d’azzardo dalle insospettabili abilità diplomatiche che lo rendono simpatico ai tutori dell’ordine e malviventi; “Il Maggiore”, studente universitario dall’aspetto ragazzesco, otaku militare e maniaco della telesorveglianza; Hiro, svagato gigolo che palleggia a suo rischio e pericolo mezze dozzine d’amanti che lo riforniscono delle informazioni più svariate; e il protagonista-alter ego dello spettatore: Narumi, un “normale studente giapponese” divenuto cinico ed apatico per la protratta mancanza di contatti umani duraturi causata dai continui trasferimenti di città in città dovuti al lavoro di un padre assente.

Si aggiungono al cast la apparentemente svagata Ayaka, ciarliera nuova compagna di classe di Narumi e causa del suo coinvolgimento con la “Agenzia di Investigazioni NEET”; “Il Quarto”, boss di famiglia di quasi-yakuza, impareggiabile tanto come picchiatore quanto come sarto e Min, proprietaria del Ramen-ya Hanamaru, autodichiarata tutrice di Alice e presenza storica nella lista di Donne Che Sposerei Subito Non Fosse Che Mi Rovesciano a Cartoni Appena Mi Propongo (DCSSNFCMRCAMP per brevità).

Ah, no?

In dodici puntate J.C. Staff conferma di meritare la sua posizione tra gli studi di produzione più blasonati del Giappone in quanto riesce a palleggiarsi questo cast con tempi di narrazione perfetti dando a ciascuno una caratterizzazione forte e la giusta profondità, facendoteli interiorizzare e amare anche grazie ad un doppiaggio privo di sbavature e una colonna sonora di ottimo livello, così quando la mazzata arriva… beh, arriva.
Perché la mazzata arriva e non è per nulla dolce.

Il suono della mazzata

Tirando le somme, Kamimemo si merita ampiamente il suo posto in questa cover story e si sarebbe meritato anche una presenza negli streaming legali in Italia. Purtroppo non è accaduto e, quindi, dovrete rivolgervi ad altri mezzi per procurarvelo. Cosa che vi consiglio di fare.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata ai detective, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.