Outcast

View Original

La paura fa 1994

Alla ricezione dell’argomento della nuova cover story mensile, ovvero “I migliori spaventi della nostra vita”, ho subito recepito questo messaggio dritto nel mio cervello, facendomi balenare in mente uno di quei prodotti d’intrattenimento che più mi traumatizzò da piccolo, ovvero DOOM.

Io appena letto l’oggetto dell’email di Giopep.

E voi direte, e che c’entra la paura con un gioco come DOOM (per essere più specifici, per me si trattò direttamente di DOOM II: Hell on Earth, da qui il titolo), un’avventura in cui impersonavi un marine spaziale, ipertrofico e supercazzuto, lanciato in una missione apparentemente suicida per sfidare le forze degli inferi dove però, sin dal primo istante, apparivi nettamente superiore a qualsiasi nemico? Quello “di paura” era il terzo capitolo!

Signori miei, cercate di mettervi nei panni di un bambino di appena otto anni, abituato a Commodore 64, Master System e Mega Drive, a tutti quei platform con protagonisti animali antropomorfi o direttamente ripresi dai cartoni animati, e mettetegli in mano un gioco in prima persona, con una grafica (per l’epoca) fin troppo realistica e immersiva, aggiungetevi una bella cucchiaiata di demoni ultra aggressivi, una spolverata di violenza gratuita mai vista prima, mescolate il tutto e il gioco è fatto, un vero Inferno in Terra! Su Personal Computer poi, per renderlo ancora più adulto, serio e “professionale”.

So che molti di voi adesso staranno sorridendo, o addirittura ridendo (soprattutto pensando alle carneficine compiute ai tempi), ma vi giuro che per me in quegli anni quest’esperienza fu traumatizzante, segnando pure il mio futuro trascorso con i giochi in prima persona, mai veramente apprezzati (anche se, devo dire, uscendo or ora dall’esperienza di Metroid Prime Remastered, a trent’anni di distanza questo mio deficit sembra ormai totalmente risolto).

Non che fossi vergine da esperienze truculente, alla fine i giochi splatteroni e brutali li giocavo eccome e mi divertivano come Bart e Lisa mentre guardano con Grattachecca & Fichetto, amavo Splatter House, Mortal Kombat, RoboCop Versus The Terminator e di lì a poco sarebbe arrivato pure Carmageddon, ma DOOM II aveva qualcosa in più, quell’adrenalina che mi devastava, agitandomi e impaurendomi a tal punto da farmi quasi abbandonare la tastiera.

Di certo non aiutava la soundtrack, dato che il primo livello si apriva con Running from Evil di Robert Caskin Prince III (aka Bobby Prince), una cavalcata che ricorda molto Hangar 18 dei Megadeth, capace di trasmettere un ritmo talmente serrato da agitarmi ben oltre il dovuto (e al tempo al massimo arrivavo ad ascoltare gli 883 o Fivelandia 12).

I bei momenti divertenti di RoboCop Versus the Terminator.

Ma torniamo a noi, al secondo capitolo della saga che rivoluzionò il mondo dei videogiochi. Accendo il mio Pentium75 nuovo fiammante, attendo l’interminabile caricamento di Windows 3.1, faccio partire DOOM2.exe, via di “New Game”, seleziono la difficoltà su “Hey Not Too Rough”, attendo il caricamento del primo stage con la schermata che si “scioglie” ed eccomi qui, ad iniziare il mio calvario. Ricordo come se fosse oggi stesso entrare in quella maledetta stanza, dove due nemici di spalle ti attendevano e io, armato di pistoletta, cercavo di colpirli agitandomi senza senso.

Fino a quando scoprii che subito dietro alle mie spalle c’era l’arma che più mi fece sentire al sicuro, LA MOTOSEGA! E allora via a maciullare tutti i nemici che mi si paravano davanti, verso la fine del livello che non ne potevo già più. Sembra strano, ma benché totalmente terrorizzato continuavo a giocare, come a voler dimostrare a me stesso di poter affrontare la mia paura, o forse anche perché mia madre non voleva che avessi a che fare con materiale troppo violento (ricordo ancora la sua diffida nei confronti de L’Uomo tigre e Ken il guerriero).

Non riuscivo mai a finirlo, o meglio, proseguire oltre il secondo livello. La tensione era troppa, l’agitazione era troppa, ero talmente condizionato che il terrore travalicava la mia capacità di razionalizzare.

Immagini adatte ai bambini.

Arrivò l’estate successiva, quella del 1995 insieme AMMIOCUGGINO Davide, quello capace di spendere quindicimila Lire per finire Midnight Wanderers, e fianco a fianco, come in una terapia d’urto riuscii ad affrontare quella paura maledetta. Seduti allo stesso tavolo di plastica, nel garage della casa in montagna dove da Milano suo padre portava il PC Fisso (monitor incluso perché i portatili da gaming all’epoca manco ce li si immaginava) passammo pomeriggi interi a tentare di arrivare a quella maledetta "Icona del Peccato".

E niente, dopo decine di tentativi, trenta stage e innumerevoli mottarelli, arrivammo all’ultimo livello passando per quel portale composto da “faccette brutte”, venendo così teletrasportati nello stanzone finale, quello tutto a gradoni, davanti alla testa da caprone della Icon of Sin per colpirla all’infinito. Alla fine cedette e fummo i vincitori, e tutti esaltati ci apparì davanti la schermata con il finale della storia, che giustamente essendo un walltext in inglese nessuno dei due capii cosa ci fosse scritto…

Ma non c’importava, oramai ci sentivamo dei fighi, io nove e lui undici anni, ci demmo la mano come Arnold Schwarzenegger e Carl Weathers in Predator nel segno di un’impresa senza precedenti!

Altro che Ringo people.

Questo è il racconto di quello che ritengo come uno dei più grandi spaventi della mia vita, questo, insieme al finale di Marcellino pane e vino, ma questa è un’altra storia che racconterò in un altro momento, o forse no.

Ma ci tenevo a raccontare un pezzo di vita vissuta da un’angolazione che troppe volte non viene presa in considerazione, forse perché, come scrivevo all’inizio, sono proprio le esperienze più inaspettate a darci i ricordi più vividi.

Ah dimenticavo, non crediate che i cheat non li usassimo, ovvio che iddqd.

Questo articolo fa parte della Cover Story “I migliori spaventi della nostra vita”, che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.