Outcast

View Original

La Tokyo di Persona 5 Royal? Bella, ma soprattutto comoda!

Nella lunga lista di sòle che ho compilato durante i primi mesi di coviddi, oltre all’ansietta per la salute di genitori, amici, parenti e, ovviamente, per la mia, mi è toccato pure infilare l’assenza di viaggetti.

Viaggetti che per tutta la vita ho sempre praticato con estrema parsimonia, in parte per scarsa attitudine, come ampiamente pubblicizzato qui su Outcast, ma soprattutto, lo confesso, per la smodata fobìa nei confronti degli aeroplani. Fobìa che nel corso degli anni mi ha fatto dire più sì che no a tutta una serie di occasioni e situazioni (un saluto agli amici della GDC).

A cominciare da quel volo Milano-Atene praticato nel lontano ‘93 - e consumatosi nella più totale serenità atmosferica, ci tengo a precisare - stare a bordo di un velivolo mi ha sempre gettato nel panico più totale; sarà per via della manciata di centimetri a separarmi dal vuoto, o per la facce sorridenti degli assistenti di volo e i mille controlli di sicurezza che mi sono sempre puzzati di psicologia inversa, vai a sapere. Resta che non appena il mondo fuori dal finestrino attacca a inclinarsi, partono le fantasie disastrose.

A ogni minimo rumore, così.

- Nota a margine: questa cosa che le campagne pubblicitarie delle compagnie aeree si giochino così spesso la carta della sicurezza in volo, a me, fa salire l’ansia. Avete mai visto uno spot di Trenitalia fare la stessa cosa, anziché spingere ruffianamente sulla qualità dei servizi o sulla comodità? Esatto. Datemi una réclame col comandante sciattone che pulisce il finestrino di gomito perché “Non si vede un cazzo”, e mi farete sereno. -

Tornando a bomba (non quella sugli aerei), poi ci sarebbero tutte le faccende di traverso, tipo attentati e cose così; ma in generale, per quanto mi riguarda, la paura di volare non si è mai sovrapposta necessariamente a quella di crepare, ma ha sempre goduto di una certa autonomia. A venire prima, c’era l’ansia del volo per il volo, diciamo così; per quel trovarsi lì sospeso tra mille rumorini inspiegabili e a tanto così da un elemento privo, letteralmente, di appigli. Mi rendo conto che è tutta una roba mentale e che in caso di naufragio non reggerei quattro bracciate di oceano, eh. Però, insomma, di psicologia siamo pur sempre fatti, e se fino a qualche tempo fa mi avessero proposto una pillola oppure un’iniezione capaci di abbattermi nel sonno dal decollo fino all’atterraggio, risparmiandomi tutte le sensazioni brutte, ci avrei messo la firma*.

Ho usato il tempo al passato perché, in realtà, da un paio d’anni a questa parte - per la precisione dall’estate del 2019 - questa paura è magicamente non dico scomparsa, ma retrocessa a sufficienza da permettermi di volare quasi serenamente. Comunque, senza importunare ogni due per tre gli assistenti di volo per sapere se l’aereo stia precipitando, o scoppiare a piangere istericamente sulla spalla del vicino di posto (chiunque esso sia).

Maledetto Ryuji.

Di conseguenza, passata da poco la quarantina, mi sono finalmente imbarcato nel primo volo intercontinentale con destinazione Giappone, ché è sempre stato un po’ il mio sogno. Lì me la sono goduta talmente ma talmente tanto che, una volta rientrato a casa, ho iniziato a pianificare mille viaggi tra Russia, Vietnam e Transilvania, sempre col vincolo di passare da Tokyo almeno una volta l’anno. Soltanto che poi è arrivata la pandemia e sapete tutti com’è andata a finire.

Per fortuna, assieme al coviddi, dai confini asiatici è emerso pure Persona 5 Royal, che oltre a guadagnarsi il titolo di mio personale GOTY del #2020merda, mi ha levato quella voglia di Giappone che diversamente suka. E come l’ha levata, oh! Non solo mi ha risparmiato la scomodità di un volo lunghissimo come quello dell’anno prima, durante il quale ero stato costretto a calpestare un compostissimo signore giapponese per andare in bagno, ma soprattutto a sopportare per ore il pianto ininterrotto di un pargolo, evidentemente troppo piccolo per stare a bordo (almeno, secondo i mie standard).

La piantina di Persona 5.

Non solo questo, dicevo, ma mi ha anche permesso di trascorrere a Tokyo un intero anno diegetico, da primavera a primavera, e per di più nei panni di un liceale; artifici, questi ultimi, che oltre ad espandere il soggiorno verso zone turisticamente complicate tipo l’estate, mi hanno regalato una piccola rivalsa su quel senso di saudade che, tipicamente, piglia in contropiede certi occidentali in fissa con i manga al loro primo viaggio in Giappone**. Mi riferisco a quella strana idiosincrasia tra la sensazione di conoscere tutto quanto e l’essere totalmente fuori posto o, comunque, non in pari come si vorrebbe. Di aver saltato delle tappe, ecco.

Persona 5 qualcuna di quelle tappe lì a fartele recuperare ci prova, e ce la mette tutta, con il tempo scandito tra scuola, amici e lavoretti; i viaggi in metro, i compiti da fare e le letture attraverso cui è possibile sbloccare nuove zone di quella sua Tokyo tutta impressionista e stilizzata. Lontana dalla precisione millimetrica dei vari Yakuza, raccontata da Fabio Di Felice appena qualche giorno fa, ma non per questo meno ficcante in termini di atmosfera.

Puntella a Harajuku.

Nonostante la lunghezza della campagna e tolti i vari dungeon/palazzi, i luoghi per così dire “civili” di Persona 5 sono relativamente pochi. Eppure, sono densissimi, sia in termini di contenuti che, soprattutto, di simboli. In poche centinaia di metri digitali, gli artisti del gioco sono riusciti a raccogliere l’essenza di Akihabara, Shinjuku o Shibuya, per non parlare della zona di partenza, Yongenjaya, ispirata a quella reale di Sangenjaya e capace di raccontare alla perfezione la vita di quartiere, fra stradine, negozietti e conbini.

La Tokyo riassunta da Atlus si lascia girare in fretta grazie alla metro, tant’è che i vincoli di viaggio non sono quasi mai spaziali, ma temporali, e nella sua ripetitività, finisce per attaccarsi talmente tanto al giocatore da farlo sentire lontano da casa, una volta staccata la spina.

Il mio ostello stava proprio lì dietro, credo.

In questo senso, se proprio devo trovare qualcosa da ridire su Persona 5 Royal, è che dopo avermi accolto nel bel mezzo di una pandemia e messo in condizione di calarmi in una quotidianità più serena - pure al netto di mostri, ombre e divinità impazzite - a un certo punto è finito.

Questo articolo fa parte della Cover Story “Turisti per caso”, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

* Lo so cosa state pensando: “Hai mai provato con - inserire benzodiazepina a caso?”. Sì, le cose legali le ho provate tutte, e pure qualcuna illegale. Una sera, durante una cena ad altra concentrazione di medici, ho addirittura proposto la sfida in questione ma nisba, niet, apparentemente soluzioni semi-magiche non ce ne stanno.

** Ho chiesto in giro.