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Librodrome # 26 – 1999: MBF e l'innovazione tecnoludica

Attenzione. Ogni due settimane, in questa rubrica si parla di cultura. Niente di strepitoso, o che ci farà mai vincere il Pulitzer, ma è meglio avvertire, perché sappiamo che siete persone impressionabili. E tratteremo anche dei libri. Sì, quelle cose che all’Ikea utilizzano per rendere più accattivanti le Billy. E anche le Expedit.

Matteo Bittanti Filosofo.

Sbuffate pure quanto vi pare, ma la realtà è questa: Matteo Bittanti è Cavaliere Jedi delle innovazioni tecnoludiche e veggente dei nuovi scenari interattivi. È il più autorevole e prolifico studioso italiano del videogioco (beninteso come medium culturale), oggi ricercatore accademico in forza allo Stanford Humanities Lab della Stanford University, docente di Game Studies e Advanced Visual Studies presso il California College of the Arts di San Francisco e Oakland, autore del progetto di critica open-sourcevideoludica.game culture e, assieme a Gianni Canova, è ideatore e curatore della serie Ludologica, Videogames d'Autore. Ha scritto su Zzap! (ma soprattutto altrove) e curato numerosi libri e saggi sui videogiochi. È evidentemente uno, trino e ubiquo, ha più o meno il corpo à la Bruce Lee e sembra proprio in forma. Vive a San Francisco e ne va ben fiero (io e giopep, invece, c'andiamo annualmente con la postale che parte da Giulianova).

Un libro consunto.

Prima d'ogni altra cosa, però, bisogna attribuirgli il merito di aver confezionato, in tempi ancora molto poco sospetti, il volume L'innovazione tecnoludica: l'era dei videogiochi simbolici (1958-1984), che allora non aveva eguali per temi trattati e che oggi non potete acquistare da nessuna parte, eccezion fatta per eBay o i vecchi mercatini analogici dell'usato. Se esista in PDF, non ne ho idea. Io ce l'ho originale, fatevelo prestare da qualcuno. Per la cronaca: coi miei occhi, ho visto Braunluis regalarne una copia a Peppe Saso!

Che senso, ha, dunque, recensire oggi un libro del 1999 che non è in commercio, e in fondo non lo è mai stato, visto che "usciva" come allegato a un qualche numero di 100% Super Console PlayStation? Nessuno? Probabile.

Se non altro, quel volumetto edito da Jackson Libri fornì a tutti i lettori/giocatori, per la prima volta e in maniera squisitamente gratuita e inattesa, come Kultura piovuta dal cielo, gli strumenti del videogiocare, intesi come quei necessari e imprescindibili tool di sviluppo per un migliore approccio al medium e per mettere in piedi una critica nuova, capace di prendere le distanze da una mera indagine degli aspetti tecnologici ed estetici connessi al videogioco. L'innovazione tecnoludica: l'era dei videogiochi simbolici (1958-1984) era, in buona sostanza, un pregevole strumento per ragionare sulla rilevanza culturale, ideologica ed estetica dei videogiochi: 232 incomprensibili pagine d'amore per il tecnoludico, firmate MBF, che allora pochissimi ebbero l'ardire di leggere, e quelli che lo fecero non ci capirono un granché (ma non lo ammetteranno mai).

Strumenti di comprensione.

L'innovazione tecnoludica: l'era dei videogiochi simbolici (1958-1984) è un testo seminale (nel senso letterale del termine), che pose le fondamenta per la nascita di Ludologica - che oggi cerca di ingaggiare un discorso a trecento sessanta gradi con la cultura, usando il videogioco come punto di partenza e punto di arrivo - e tutta una serie di game studies.

"La critica videoludica tradizionale, supportata da un'industria ostile a una riflessione in grado di trascendere le più crasse banalizzazioni, è rigorosamente autoreferenziale. Nel recensire il gaming digitale la critica trascura le complesse reti sociali, culturali ed economiche che rendono possibile il suo manifestarsi. Comprendere il testo videoludico significa anche tenere conto del contesto nel quale emerge, considerare le dinamiche sociali che innesca. Prestare attenzioni alle componenti culturali e politiche, senza feticizzare la techné e ridurre l'analisi a un punteggio."

Questo, Bittanti, lo sapeva già dal 1999. Io no, ad esempio.