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L'ombra dello scorpione, un capolavoro mai così attuale

Scrivere qualcosa riguardo L’Ombra Dello Scorpione in questo periodo storico è particolarmente strano. E non parlo solo dell’epidemia di Covid-19, che ha praticamente fermato il mondo e ad oggi, mentre scrivo, ha fatto 380 mila morti, ma mi riferisco anche  a quanto sta avvenendo negli Stati Uniti, una rivolta sociale per l’omicidio di George Floyd da parte di un agente di polizia, evento che sta mettendo a ferro e fuoco il territorio americano, con scene che sarebbero perfette per un romanzo distopico di King.

L’ombra dello scorpione, (in originaleThe Stand, titolo che mi è sempre piaciuto tantissimo) è, per quanto mi riguarda, il romanzo migliore uscito dalle mente di Stephen King. Io sono un grande fan dell’autore di Portland e posso dire di aver letto molto della sua produzione (sicuramente non tutto) e The Stand è rimasto, negli anni, al vertice assoluto delle mie preferenze.

Come spero chi sta leggendo sappia, L’ombra dello scorpione racconta di un’epidemia mortale che colpisce in pochi giorni tutti gli Stati Uniti ( e probabilmente tutto il mondo), epidemia generata da un agente patogeno, sfuggito accidentalmente al controllo dei militari in un laboratorio segreto. Se tutto questo non vi fa scorrere un brivido lungo la schiena, visto quanto accaduto negli ultimi tre mesi sul nostro pianeta, è meglio specificare che, nel libro, il virus che miete milioni e milioni di vittime è una variante dell’influenza.

Ma questo è solo l’incipit di una storia incredibile, una storia di guerra tra il bene e il male, tra due fazioni, una rappresentata quasi per caso da una anzianissima donna afroamericana, Mother Abagail, e l’altra capeggiata da Randall Flagg, un essere demoniaco, anzi, forse il diavolo fatto persona, che con il suo potere di persuasione e la sua cattiveria più pura che mai, unisce a sé i più disperati, quelli che, nel caos più totale dettato dal virus, vogliono una rivincita verso la vita, quelli a cui non interessa il bene comune ma solo il proprio.

Pensare al racconto di King e vedere gli scontri negli States fa diventare quel brivido provato prima un vero e proprio attacco d’ansia, come se mi stessi rendendo conto che lo scontro tra il bene e il male non è solo un’affascinante trama, ma è diventato oggi, ora, una cosa più che concreta.

L’ombra dello scorpione esce nel 1978, è il quarto romanzo firmato King (sarebbe il quinto, ma Ossessione, del ‘77, è pubblicato sotto lo pseudonimo di Richard Bachman), e riesce a raccogliere praticamente tutti i temi principali che poi King userà nella sua estremamente prolifica carriera. Innanzitutto, il male, la sua provenienza. King, spesso e volentieri, non spiega da dove venga la malvagità delle persone. Anche nell’ultimo lavoro uscito pochi giorni fa, Se scorre il sangue, parla del male come un uccello, “Un grande uccello grigio e maleodorante, che vola qua e là, un po’ dappertutto”, che fa diventare malvagie le persone e quando il male ha compiuto il suo piano se ne va, solitamente lasciando dietro di sé morte e dolore.

Randall Flagg è il male. Nessuno sa chi sia, nessuno sa perché abbia certi poteri (anche se molti immaginano che sia il demonio) ma lui è lì, potente, spietato, in preda ad una furia cieca che, nei momenti in cui viene messo alla prova, si scatena senza pietà.

Un altro grande cavallo di battaglia dell’autore di Shining è il roster dei protagonisti. L’ombra dello scorpione beneficia di un numero di personaggi esorbitante, tutti delineati benissimo, caratterizzati con una precisione e una cura che difficilmente, una volta conosciuti, abbandoneranno la testa del lettore. Come Donald “Pattumiera” Elbert, uno psicopatico piromane delineato in tutta la sua follia, o Stuart Redman, uno fra i primi ad accorgersi di essere immuni al virus, che riesce a fuggire dall’ospedale militare in cui è rinchiuso; persona con le sue ovvie paure e timori ma pronta a fare di tutto per permettere alla nuova comunità di reagire e rinascere.

E poi c’è l’America, il paese raccontato da King; qui tutta l’America, dalle grandi città (la parte ambientata a New York, con protagonista Larry Underwood, è veramente bellissima) alla provincia, dove tutto, ormai, sembra vecchio di millenni, a causa dell’abbandono delle case, delle auto, a causa del virus. Centinaia, migliaia di auto ferme sulle strade con ancora le persone dentro, forse speranzose di sfuggire al contagio, senza corrente, con negozi che, invece di essere saccheggiati, rimangono a disposizione, come fermi in una bolla del tempo, per i pochi sopravvissuti. Un mondo quasi alieno ma terribilmente simile, per molti versi, alle immagini che fino a pochi giorni fa vedevamo in televisione sia in italia che in giro per il mondo: negozi chiusi , strade deserte, chi era in giro con mascherina o peggio. 

L’ombra dello scorpione rimane, dopo quarantadue anni, non solo  un romanzo pazzesco, ma un’opera da da leggere e assaporare. Certo, è una lettura impegnativa, ma personalmente ritengo che non aver vissuto le avventure di Nadine, di Glen o di Nadine, solo alcuni fra i protagonisti del libro, voglia dire essersi persi un pezzo molto grosso di cultura contemporanea. 

Per altro, negli ultimi tempi, sembra che il cinema e soprattutto la televisione abbiano riscoperto King: oltre ai due IT per il grande schermo e al recente The Outsider, prodotto da HBO, è in fase di produzione proprio in questo periodo una miniserie della CBS tratta da L’ombra Dello Scorpione, con un cast assolutamente interessante (James Marsden, Amber Heard, Whoopi Goldberg e un inaspettato Marilyn Manson), che spero dia il giusto tributo al capolavoro di King. Certo, il romanzo era già stato portato sul piccolo schermo nel 1994 e il risultato non era tremendo, per quel poco che mi ricordo, ma erano altri tempi, probabilmente non pronti ad uno script del genere. Una cosa, però, me la ricordo benissimo: la bellissima sequenza iniziale, con Don’t Fear The Reaper dei Blue Öyster Cult.

Questo articolo fa parte della Cover Story (post)apocalittica, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.