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Loro: il Berlusconi di Sorrentino tra Shakespeare, Welles e il Bagaglino

Due o tre anni fa, quando mi sono finalmente deciso a leggere Il padrino, avevo già visto il film almeno una dozzina di volta e - ovviamente - mi aspettavo di trovare nel romanzo di Puzo più o meno le stesse spezie. Invece, ricordo di essere rimasto spiazzato da parecchie cose, su tutte la discreta quantità di spazio dedicata a Lucy Mancini e Johnny Fontane, due personaggi che nell'opera di Coppola fanno appena in tempo a balenare. Dette divagazioni deviano parecchio dalla rappresentazione della mafia italoamericana in salsa shakespeariana, e soprattutto dalla figura di Don Vito Corleone.

Ecco, tutto il primo quarto dell'ultimo film di Paolo Sorrentino, Loro - o il primo tempo di Loro 1, se proprio ci tenete a tagliare le cose a pezzetti - mi ha fatto un po’ quell’effetto lì. E non che i tentativi di ascesa sociale del traffichino Sergio Morra (Riccardo Scamarcio, che ha imbroccato l’interpretazione della vita) e della sua compagna di pippate Tamara (Euridice Axen) girino male. Tutt’altro. Né si può dire niente a Fabrizio Bentivoglio nei panni (e nella calvizie) del politico Santino Recchia (sorta di Sandro Bondi, con un pizzico di Formigoni), che cerca goffamente di fare le scarpe a Silvione. 

Un po’ meno sul pezzo, forse, c’è la Kira di Kasia Smutniak. L’ape regina un po’ Sabina Began, un po’ Nicole Minetti, che davvero non saprei dire se ci sia o ci faccia (la cagna). Resta che, attraverso il suo personaggio, Sorrentino ha saldato quel vecchio debito con Boris, facendomi ribaltare dal ridere. Quindi, cagna o non cagna, bene così. CONGO DIANA!

Ciononostante, si avverte la mancanza di qualcosa. La messa in scena di certi ambienti brutti e giri loschi funziona; tutte le facce sono al posto giusto. Eppure, c’è squilibrio.

Uno squilibrio che non va confuso con il caos o gli eccessi kitsch di certe sequenze. Quello - piaccia o no - è lo stile di Sorrentino, uno che, se gli gira così, si mette a fare il geometra (penso al taglio generale de Le conseguenze dell’amore, o a certe sequenze de Il divo). Se gli gira cosà, invece, fa il napoletano sfrontato. La butta sul barocco, oppure in locura. Come nella scena con le cicogne o nei party de La Grande Bellezza, il cui spirito emerge a più riprese anche nelle orgette all’ecstasy di Loro (che pure occhieggiano allo Scorsese di The Wolf of Wall Street, con tanto di recitazione off e violazioni della quarta parete).

«Recitazione, copione, intensità e faccia di merda.»

No, lo squilibrio a cui alludo io non dipende tanto dalle bizze stilistiche di Sorrentino. Semmai, è legato all’attesa. L’attesa di una cometa, di un sole attorno a cui far finalmente girare tutti i personaggi che ciondolano in scena.

E, che ve lo dico a fare, ovviamente sto parlando di Silvione.

Da quando compare in scena per la prima volta, per di più vestito in quella maniera lì che non svelo, il Berlusconi interpretato da Toni Servillo esprime una forza di gravità talmente forte che risucchia in un attimo personaggi e spettatori. E magari non rimetterà del tutto in bolla il film, ché Sorrentino, come ho detto, ogni tanto prende e va sbilenco; un po’ per antipatia verso le strutture narrative classiche, un po’ perché si perde e basta.

Però lo cambia da così a così. E mi viene difficile capire quanto il magnetismo dipenda da Servillo, dal personaggio che gli è stato cucito addosso, e quanto dall’aura pop/trash dello stesso Berlusconi (quello vero, intendo).

Nel portare in scena un personaggio così ingombrante e controverso, il regista napoletano sceglie la via più estrema, arrivando addirittura a doppiare il suo Andreotti, che a confronto, con questo Silvione da Bagaglino, pare iperrealista.

L’interpretazione di Servillo è artificiosa e debordante quanto il make up che indossa. Il suo personaggio sembra quasi un oggetto animato calato in mezzo a un film in live action. Eppure, oh, funziona alla grande.

Funziona perché tutti i personaggi in scena ci credono. E a quel punto, dopo un po’, ci ho creduto pure io. Tutta la corte di Silvio adora il suo monarca come se fosse un dio, un’icona. Un’icona strana, grottesca, ma viva. Capace, al momento giusto, di entrare in empatia con lo spettatore; arrivando addirittura a commuoverlo (e stiamo parlando di Berlusconi, lo ricordo). In particolare, quando si specchia nella moglie, Veronica Lario (Elena Sofia Ricci: u-g-u-a-l-e!), probabilmente l’unica persona capace di volergli bene.

Il problema è che il Berlusconi di Loro, a causa di un celato complesso di inferiorità, all’amore preferisce di gran lunga l’ammirazione.

Dentro di lui si agitano i fantasmi di Charles Foster Kane e di certi motivi shakespeariani. Ma a smaniare per salire a galla sono soprattutto i tratti di alcuni personaggi dello stesso Sorrentino; uomini incapaci di venire a patti con il passato e le sue innocenze, ma soprattutto con l’invecchiamento.

In questo caso, più che a un’evoluzione, siamo di fronte a una distopia di Jep Gambardella o di Titta Di Girolamo. E se il primo, per ingannare il tempo, ha scelto di rifugiarsi nel solipsismo di una Roma immobile e fiabesca, mentre il secondo è stato esiliato in un non-luogo, il Berlusconi di Servillo ha preferito vendere l’anima. È un uomo talmente smanioso di perpetuarsi nel futuro, da finire - per assurdo - bloccato in un limbo artificiale completamente fuori giro.

C’è in ballo pure qualche trancio del divo Giulio, con cui Silvione condivide la tragedia di possedere le doti “sbagliate”. L’Andreotti del film vorrebbe essere ricordato soprattutto come un uomo colto; qui Berlusconi si immagina grande statista, mentre è “solo” un abilissimo venditore e un eccellente bugiardo. L’Italia ci casca, ma non Veronica, che nonostante le bizze, rivela al marito di essergli stata accanto una vita intera per amore. Ma come ho ben scritto, a Silvio l’amore non basta. E quando sacrificherà anche l’ultimo scrigno della sua innocenza giovanile, finirà in pasto al circo di avvoltoi che gli ronza attorno.

Non ho idea di quanto sia realistica la rappresentazione del complicato rapporto tra Silvio e la moglie Veronica, e nemmeno mi interessa. Resta comunque una fra le cose migliori di tutto il film.

L’unico altro personaggio in scena che sembra relazionarsi a Berlusconi con un po’ di sincerità è la ventenne Stella, interpretata dalla bravissima Alice Pagani. La giovane, esattamente come Elisa ne La grande bellezza, aderisce all’archetipo della ragazza incontaminata tanto caro a Fellini.

Stella è l’unico personaggio che si slancia davvero verso il futuro; l’unico sprazzo di umanità in un mondo devastato dalle sofisticazioni. A modo suo, si fa carico anche del punto di vista dello spettatore (perlomeno dello spettatore “normale”; ché se il film lo guarda, chessò, Briatore, si fa tutto un altro viaggio).

Insomma, Loro è pienamente un film di Sorrentino, nel bene e nel male. E tutto sommato, credo abbia senso considerarlo un film politico fino a un certo punto. Certo, i fatti sono quelli che sono, si parla di quel pezzetto della vita di Berlusconi tra il 2006 e il 2010, puntellato da scandali e casini vari. Però, la messa in scena è tutto fuorché realistica. Quel vecchio signore abbronzato e afflitto da sindrome di Peter Pan non è Silvio Berlusconi, ma un personaggio astratto. Perlomeno, sufficientemente astratto da meritare un po’ d'indulgenza.

Poi, vai a sapere, potrebbe incidentalmente combaciare col vero Silvio Berlusconi. Non credo, non so, e tutto sommato, in merito al film, non ha importanza.

Stella, interpretata da Alice Pagani, è l'unico personaggio in grado di avvicinare il Berlusconi di Sorrentino a qualcosa di simile a una catarsi.

Sorrentino giudica poco, non insiste sui tasti della politica ma dipinge un uomo solo, immerso in un’esistenza surreale. In un mondo sospeso tra le pretese futuriste e gli eccessi kitsch, ma che sotto sotto puzza di vecchio quanto il vulcano meccanico che ogni tanto fa capolino.

La corte di Berlusconi non è troppo diversa dal gruppo di radical chic debosciati che ronzano attorno a Jep. La sua Sardegna è una sorta di Isola che non c’è. Un luogo artificiale dove un gruppo di anziani vampirizza delle escort bramando la loro giovinezza, più che le loro grazie.

Paradossalmente, in un film così fortemente visivo e pieno di eccessi (e squilibri) estetici, le parti uscite meglio sono quelle più recitate e intime; da dramma borghese.

Di nuovo: le conversazioni tra Silvio e la moglie Veronica, ma anche la chiacchierata con l’amico di una vita, Fedele Confalonieri (Mattia Sbragia), o quella con Mike Bongiorno (Ugo Pagliai). In particolare, a quest’ultimo Silvio non riesce a perdonare la capacità di accettare la vecchiaia con serenità. «La tua mente, Mike, è piena di ricordi, la mia di progetti». E il bello è che Sorrentino è quasi riuscito a farmi provare un poco di dispiacere per tutti quei progetti irrisolti. E pure per (il suo) Berlusconi. Pensa te!

Ho scelto di guardare i due episodi di Loro - mandati in sala a distanza di un mese l’uno dall’altro - in un’unica serata, di fila. Personalmente, trovo che questo sia l’unico modo per avvicinarsi a un film del genere. Diversamente, gli squilibri emergono più profondamente dei pregi, condannando un po’ tutta l’opera. Insomma, se lo chiedete a me, le due parti non sono unità autosufficienti, ecco. Ah, dimenticavo, riguardo la compassione per il Berlusca:

«A zoccolè, io mica so' comunista così, sa! So' comunista così!!»