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Di quella volta che Lucas mi sfilò le avventure da sotto il culo | Racconti dall’ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

«Siamo nel paese della mafia e mi domandi perché lui può entrare e tu no?»

Fu a partire da quella risposta sputatami in faccia da un buttafuori più di ventisette anni fa che ho iniziato a odiare ferocemente le esclusive. In effetti, è possibile che sia stato uno dei momenti più formativi di tutta la mia adolescenza; una scintilla che mi ha reso totalmente intollerante – ma al limite dell’autismo – verso le discriminazioni.

Con questo non voglio vendermi per un campione di giustizia o altro, ché resto pur sempre un cagasotto. Però, insomma, diciamo che se nel corso degli anni avessi tenuto la bocca chiusa quel paio di volte in più, probabilmente mi sarei fatto un servizio migliore.

Tipo quella volta.

Venendo invece ai videogiochi, la proverbiale goccia del vaso eccetera è filtrata nel luglio del 1993 attraverso le pagine di un TGM dove, tra una serie di anteprime e la rece di Day of the Tentacle firmata dall’Auletta (novantasette-per-cento) saltò fuori che la produzione delle avventure LucasArts per Amiga era morta, finita, kaputt.

Cioè, magari la cosa era già uscita nei mesi precedenti, ma io ne presi atto soltanto in quel momento.

Intanto, la rece è questa.

Ed è stato brutto, bruttissimo, perché io il piccì non ce l’avevo e, a dirla tutta, non ero granché tagliato nemmeno per l’Amiga. Son sempre stato più tipo da cazzatine giapponesi, sapete, soltanto che i miei compagni sfoggiavano tutti il 16 bit Commodore e mi avevano promesso i dischetti piratati con l’X-Copy Pro, mi avevano. E per qualche tempo li ho piratati pure io, ‘sti benedetti giochini, ricavandone i soldi per la miscela e le sigarettine: vedi le cattive compagnie? E pensare che volevo soltanto giocare a Street Fighter 2 e Super Mario World in santa pace, mica a CosoBlows, Zool e Superfrog e non è vero che erano belli uguale come dicevano quei cacciaballe di TGM (certo, non erano nemmeno lammerda, ma in guerra e in carestia ogni buco è galleria).

Per quanto quello di Commodore fosse il computer più consoloso sulla piazza, come dire, non era una console, e l’unica cosa davvero buona che ne ricavai furono le avventure grafiche.

Cruise for a corpse, Future Wars, The Colonel's Bequest, Beneath a Steel Sky, ma soprattutto i capolavoroni della Lucas(Film Games, Arts poi, da qui in avanti soltanto Lucas) tipo Monkey Island 2: LeChuck's Revenge. Quello mi faceva davvero impazzire nella gloria dei suoi undici floppy, che prima di passare all’hard disk rappresentavano un discreto dito in culo.

Comodissimo.

Mi faceva impazzire, dicevo, al punto da avere la colonna sonora registrata su musicassetta - in qualità merdosa anche per gli standard dell’epoca – in modo da potermela sparare nel Walkman e in motoretta. Al punto che dopo averlo finito svariate volte in versione “Voglio tutto! Tutti i puzzle!” presi a infilare certi speedrun nella modalità for dummies dandomi ogni volta obiettivi sempre più sparati in stile allenamento a Street Fighter II senza pugno/senza calci/senza mani.

Mi piaceva molto anche Indiana Jones and the Fate of Atlantis eh, ma un filo meno. I dischi erano sempre undici e fin qui OK, ma da una parte la trovata delle tre modalità di gioco mi disuniva il design. Dall’altra puoi metterci tutti gli oricalchi e le fruste che vuoi, ma scendere in passerella subito dopo Monkey Island 2 ha un prezzo che, nel mio caso, si tradusse in un atto d’amore meno intenso. Di quelli che alla fine magari non ti appicci subito la sigaretta per la soddisfazione ma ti rifugi nelle coccole per dartela a bere.

A proposito di coccole, qui ricordo un'orgia di caricamenti e rallentamenti incredibile.

Peccato, perché se avessi saputo che quello sarebbe stato il mio ultimo giro di giostra Lucas speso su Amiga, forse mi sarei impegnato di più. In effetti, se avessi saputo che quello sarebbe stato il mio ultimo giro di giostra Lucas di tutti gli anni Novanta mi sarei impegnato parecchio di più, perché se vi aspettate una specie di lieto fine con l’arrivo di un 486 o – santo cielo - un Pentium, siete fuori strada.

Purtroppo per voi ma soprattutto per me, da quel momento in avanti il resto del repertorio finii per consumarlo ben oltre la golden age di un genere che, al suo apice, aveva incarnato l’apoteosi tecnica dei videogiochi su PC.

Se parliamo di avventure grafiche, tutta la seconda metà degli anni Novanta l’ho spesa a gestire l’elaborazione del lutto. Senz’altro c’è stata la negazione (“forse Grim Fandango lo convertono su SNES”) seguita dalla rabbia (“ma figurati se, cazzo”). Per un periodo ho cercato di venire a patti con la faccenda, finendo inevitabilmente per scivolare in depressione ogni volta che entravo in un negozio di videogiochi, e mentre ero sul punto di raggiungere l’accettazione (“The Curse of Monkey Island è apocrifo”) hanno iniziato a infilare i CD-ROM con i classici Lucas pure negli cestoni degli Autogrill.

Quando montai il mio primo piccì e, più o meno contemporaneamente, tali Ludvig Strigeus e Vincent Hamm regalarono al mondo il loro ScummVM, questo era già scollinato nel secondo millennio. Nonostante avessi installato il prodigioso emulatore persino su PSP - impraticabile, non fatelo mai - la voglia non era la stessa di qualche anno prima. Soprattutto, la mia bulimia per le avventure grafiche doveva sgomitare con un’altra passione altrettanto fatale: il porno su internet (Continua…).

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata alle esclusive, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.