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Fare un titolo su Mortal Kombat 1 è difficile tanto quanto valutare Mortal Kombat 1

Premessa metodologica: ho giocato a Mortal Kombat 1 per circa venti ore, versione Steam, sia su PC fisso che su Steam Deck, grazie a un codice fornito da giopep e ricevuto dall’agenzia di PR che segue il gioco. Ho utilizzato per lo più un controller leverless (un simil-hitbox, per la precisione), la mia periferica di riferimento per il mondo dei picchiaduro a incontri. Quella che segue non è certamente una recensione completa - dovrei moltiplicare per dieci quel conteggio delle ore, per capire davvero bene un picchiaduro - ma un’impressione piuttosto strutturata. Credo.

Ci ho provato davvero, con questo Mortal Kombat 1. Quando mi è arrivato il codice di gioco, sono partito con enorme curiosità e uno scetticismo iniziale che però si è tradotto in entusiasmo: quel numero “uno” sembra promettere davvero un nuovo inizio, un “reboot”, un nuovo corso di una serie che è sempre tanto amata dai fan più accaniti ma che nello scenario globale di questo revival dei picchiaduro a incontri poteva essere lasciata un po’ indietro. Nel tempo di Twitch e dei tornei in streaming, tra il solidissimo Street Fighter 6, l’abbacinante Guilty Gear Strive e il futuro Tekken 8, la creatura di Ed Boon rischiava seriamente di restare indietro. 

E all’avvio del gioco, in effetti, sono rimasto quasi a bocca aperta. Rispetto agli scorsi episodi tutti rigorosamente scuri, cupi, “grim” e “dark”, Mortal Kombat 1 esplode istantaneamente in un tripudio di colori bellissimi. Liu Kang, dopo i fatti dell’undicesimo episodio, è ora una semidivinità che ha ricreato l’intero cosmo; e ammetto che l’ha fatto con un gusto sopraffino. Mortal Kombat 1 ha un’identità estetica riuscitissima, per me la migliore - a mani basse - di quanto la serie ha espresso da anni, con delle scelte cromatiche incredibilmente riuscite, specialmente negli stage. Strive avrà il miglior stile da anime fighter, Street Fighter 6 ha l’impatto dei colpi dalla sua, ma Mortal Kombat 1 si porta a casa il primo posto degli sfondi più regali del picchiaduro contemporaneo. 

Il tutorial, come da tradizione recente, è completissimo: consigliato completarlo tutto approfonditamente anche prima dello Story Mode. Guardate poi che colori bellissimi!

Così come sono veramente interessanti le riletture sia estetiche che di gameplay dei vari lottatori, soprattutto quelli più storici, con differenze tutte da gustare (o detestare, Sub Zero è diventato una pippa colossale). Un passo indietro sull’incipit narrativo del gioco è doveroso. Stiamo parlando di Mortal Kombat, in fondo, il gioco che forse più di tutti fa della sua trama uno degli elementi attrattivi per lo zoccolo più duro dei fan. 

Senza troppo incedere nell’undicesimo capitolo del gioco, Liu Kang si ritrova infatti con fenomenali poteri cosmici e ricrea l’universo tutto. Un bel resettone totale che sa di linea temporale alternativa o, come direbbero in Marvel o DC Comics, un componente nuovo di un “Multiverso”. Una nuova realtà in cui Shao non è Khan (imperatore) ma un generale, Sindel è la regina degli Outworld ed è amichevole con i terrestri, Raiden non è più il Dio del Tuono ma un semplice essere umano (che comunque tira fulmini e saette) e Johnny Cage è top tier pure se non tira più bolle di energia. Che roba. Ci sono persino dei crossdressing incredibili, con Scorpion che ha il nome di quello che nei giochi precedenti era Sub-Zero ed è un docile agnellino. Insomma, il gusto per chi segue da tanto tempo i fumetti è proprio quello di una realtà alternativa o, se perdonate il paragone, di un universo Ultimate paragonato a quello Marvel più canonico. Chi segue la serie da tanto tempo si divertirà certamente a scovare le affinità e le divergenze tra questa nuova linea temporale e quelle precedenti, senza disperare più di tanto se questo o quel beniamino ancora non è presente nel nutrito cast di gioco: la possibilità di centellinarli in futuri aggiornamenti e DLC è davvero troppo ghiotta e già ora molte “vecchie versioni” o assenti sono in realtà presentissimi in forma di Kameo.

Se volete rivivere il caro vecchio spirito degli arcade, la modalità “Torre” è per voi.

Quei furbacchioni di NetherRealms hanno infatti sapientemente combinato narrazione e gameplay, utilizzando la scusa del multiverso per introdurre una nuova e rivoluzionaria - per la serie - meccanica. I Kameo prima citati sono di fatto degli assistenti, non del tutto dissimili da quelli presenti come Strikers in King Of Fighter 99 o i lottatori in “panchina” dei vari Marvel Vs Capcom o del recente Dragonball FighterZ. Durante il combattimento, è possibile richiamare il proprio Kameo che, a seconda di una combinazione predefinita di pulsanti, compirà un’azione. Bentinesi, non è un “tag game” e anzi i Kameo al momento sono ben separati dai personaggi del roster più canonico. Non solo tra i Kameo ci sono personaggi che non esistono in versione “giocabile”, come Kano e Sonia Blade, ma anche i vari Scorpion e Sub-Zero presenti in forma Kameo sono ben diversi sia per identità che per modello estetico da quelli che è possibile controllare in prima persona nei match. Insomma, il multiverso può prendere strade imprevedibili, ma questa è piuttosto indovinata, sia dal punto di vista “estetico” che da quello di vero e proprio gameplay.

Perché se Mortal Kombat 1 ha comunque meccanicamente un forte ancoraggio alla sua tradizione recente (inclusi i Fatal Blow, le “supermosse” spettacolari in grado di ribaltare l’esito di uno scontro), i Kameo cambiano molto le carte in tavola. Permettono di creare combo più lunghe e dannose del solito, nuovi mixup per confondere l’avversario altrimenti irrealizzabili, persino la possibilità di teletrasportarsi per evitare i contrattacchi avversari, magari dopo un colpo dato a vuoto. Una novità esteticamente appagante per i giocatori più casuali ed esaltante per chi vuole affondare i denti nel training mode e sperimentare - o creare - le combinazioni di combattenti più letali o adatte al proprio stile di gioco. 

Tanto lo sappiamo che siete tutti qui per le fatality.

Io non sono certamente bravo in Mortal Kombat ma al momento insisto nella mia combinazione di Scorpion e Sonia Blade, con lei in grado di effettuare un rapido attacco aereo che mi permette agilmente di combinare la mia combo una volta atterrato. Perché sì, la nuova introduzione di Mortal Kombat 1 è il rinnovato sistema di combo aeree, degne - quasi - di un anime fighter sullo stile di Marvel vs Capcom 3

Chiunque abbia giocato a Mortal Kombat negli scorsi anni saprà quanto le juggle, la possibilità di lanciare verso l’alto l’avversario per tempestarlo di colpi mentre è in aria, siano uno dei trademark dei combattimenti made in NetherRealms. Per gusto della novità e della spettacolarità, le combo aeree sono diventate molto più facili, lunghe, articolate: proprio come in un anime fighter, è quasi sempre possibile saltare e seguire il personaggio lanciato in aria per poi colpirlo di pugni, calci, supermosse e Kameo per estendere l’attacco e fare quanti più danni possibili (o preparare il prossimo “setup”). Facili da implementare, meno da padroneggiare al meglio, le nuove combo aeree aumentano le già tracotanti coreografie degli scontri di Mortal Kombat 1, dove alla pressione di pochi pulsanti i combattenti si dimenano in mille piroette, colpi e movimenti. Insomma, lo spettacolo totale è alla base di Mortal Kombat 1. Mi ha ricordato un po’ Bioware e il suo motto “Press a Button and Something Awesome Happens” alla base di Dragon Age 2 e 3. Che in un picchiaduro ha forse più senso che in un gioco di ruolo occidentale.

Il gioco ovviamente non lesina sull’elemento gore; è possibile sbloccare nuove Brutality utilizzando molto un personaggio è “livellandolo”.

Intendiamoci, però: Kameo e combo aeree sono integrazioni e non rivoluzioni copernicane. Mortal Kombat 1 è pur sempre un Mortal Kombat, con le già citate juggle, ma anche il movimento non sempre fluidissimo dei suoi lottatori, il dash block per renderlo un po’ più scorrevole e il sistema tutto strampalato di parate e schivate. Incluso il fatto che è possibile schivare un attacco stando abbassati ma non abbassati mentre si para. Mai accettato, mai accetterò.

Ma soprattutto è pur sempre un Mortal Kombat con il suo ritmo di gioco basato sul “attacca tu per venti secondi che poi rispondo io per altri venti” e il suo “dial combo system”, quel meccanismo per me un po’ straniante in cui bisogna immettere molto rapidamente la sequenza di pulsanti e il personaggio poi va avanti “da sé” a completare il tutto. Senza entrare nei tecnicismi, se in molti altri picchiaduro come Street Fighter le stringhe di attacchi si basano sul tempismo e sul “cancellare” un pulsante in un altro in determinate finestre temporali, in Mortal Kombat molte combo si basano invece sul mettere dentro gli input più velocemente possibile: sarà poi il personaggio a schermo a fare il tutto nel tempismo giusto. Da qui il nome “dial combo system”, perché ricorda un po’ quello che si faceva con i tasti numerici dei telefoni di casa di una volta. Non che manchino delle finestre temporali in cui cancellare un attacco “normale” in una “special” (per dire, da un pugno alle sfere di fuoco di Liu Kang), ma il grosso funziona come detto poco su.

Anche i Kameo sono in parte da sbloccare, sia nella modalità Invasione che invece giocando online contro altri giocatori.

E qui è puramente una questione di gusti personali. A me non fa impazzire e preferirò probabilmente sempre lo stile Capcom: è una questione di abitudini, di memoria muscolare e di ritmo di gioco più congeniale. Certo è che la combinazione tra il ritmo “naturale” di Mortal Kombat e l’introduzione dei Kameo/assist va contro tutti coloro che odiano il dover subire combo troppo lunghe. Ma tant’è, è una scelta chiara di design e per quanto possa piacere o meno, penso sia giusto avere giochi che propongano una loro forte identità.

Devo dire che però più passo il tempo su Mortal Kombat 1 e più mi rendo conto che personalmente mi diverto davvero tanto in training mode e molto poco nel resto. 

La possibilità di creare nuove cose grazie ai Kameo è dannatamente intrigante. Non solo la già citata Sonia Blade che, dopo una combo aerea, trattiene il personaggio in aria abbastanza da permettere al mio Scorpion di atterrare e continuare la combo, magari chiudendola con una special che mi fa cambiare lato di gioco e uscire dall’angolo; ma anche Goro che - senza citare i “plus on block” e i “minus on block”, che se no mi perdo tre dei quattro lettori di questo articolo - riesce a rendere molto più sicuri attacchi altrimenti rischiosi se parati, o il già accennato Motaro, che addirittura teletrasporta il giocatore lontano da situazioni scomode. O Jax che con un suo pugno “unblockable” permette la creazione di situazioni in cui l’avversario è costretto istantaneamente a prendere una decisione, pena il beccarsi ingenti danni sulla capoccia. Insomma, c’è tanto da sperimentare e proprio per questo tanto con cui “rompere il gioco”. Perché intendiamoci, se NetherRealms non è mai stata maestra di bilanciamento nei suoi giochi - ho ancora gli incubi notturni se ripenso al primo Injustice - il mantra di Mortal Kombat 1 è “permettiamo a chiunque di fare cose folli”. Non è una scelta perfetta, perché di fronte a un Baraka che in coppia con Cyrax è sia fortissimo che facile da usare, abbiamo invece un Sub-Zero decisamente problematico e scarso con ogni comprimario al suo fianco. Ma il regno dei cosiddetti “mid tier”, il parco dei personaggi né troppo forti né troppo scarsi, mi è sembrato ben nutrito in questo Mortal Kombat 1 e si spera che NetherRealms sia già pronta ad appianare picchi troppo alti e valli troppo profonde nel bilanciamento del suo roster. 

Purtroppo, fuori dal training mode quelle caratteristiche dei vari Mortal Kombat che non ho mai davvero apprezzato vengono a galla. Ma questo è, ripeto, una questione di gusti. Il ritmo sempre un po’ sbilenco degli scontri, la ricerca continua della cosa più “rotta”, l’attacco medio che avanza come filosofia di vita e di successo. Insomma, capisco che Mortal Kombat 1 possa piacere a molti e credo che delle sue qualità indubbie le abbia, ma non è esattamente il picchiaduro “per me”. Aggiungiamo un’infrastruttura online non eccellente e probabilmente non al passo coi tempi ed ecco la ricetta del picchiaduro a cui dedicherò certamente altro tempo, ma che altrettanto certamente metterò da parte per tornare a dedicarmi a Street Fighter 6 o Strive.

E non me ne vogliano i fan della serie che spesso aspettano Mortal Kombat per questo, ma io le modalità single player di Mortal Kombat 1 non le ho proprio apprezzate. Scalata alle torri a parte, che corrisponde pedissequamente agli arcade mode di antica memoria dei vari Mortal Kombat, ancora con i personaggi prerendizzati, sia lo Story Mode che l’inedita modalità Invasione hanno dei gran bei problemi. 

Partiamo da quest’ultima arrivata. L’idea di avere una sorta di “Arcade mode” espanso, con tanto di mappa che ricorda Super Mario Bros. 3, ricca di sfide e sbloccabili, di per sé è intrigante. Ma la macchinosità della struttura, la lentezza del procedimento rispetto all'immediatezza della risoluzione degli scontri, l’articolazione in mille sottomenù, la presenza di alcuni fastidiosi paywall... tutto concorre a creare solo una grande sensazione di noia che soppianta rapidamente lo sfizio di provare una nuova modalità e anche la gradita idea, ancora una volta, di legarla alla trama del gioco. Perché nonostante siano attività decisamente collaterali se non parallele a quelle del “canon” raccontato nello Story Mode, l’idea di avere altri universi paralleli da visitare con personaggi alternativi è veramente simpatica e denota una certa cura, anche nelle scene raccontate tramite illustrazioni statiche ma di grande impatto. Un vero peccato, insomma. Ad aggiungere sale alle ferite, la sostanziale impossibilità di risolvere alcune sfide proposte senza un controller tradizionale. I Mortal Kombat recenti sono pensati essenzialmente per i joypad e l’uso di controller alternativi - come il mio, senza alcuna leva - si sa che può in parte complicare le cose; al contempo, l’aver relegato l’uso di determinati Talismani - oggetti presenti solo nella modalità Invasione, in grado di sbloccare particolari poteri in battaglia - all’inclinazione dello stick destro è letale, ancor più perché non è possibile rimappare quel controllo negli invece ricchissimi menu di personalizzazione del gioco. Una grave svista non tanto per me, quanto per la diffusione sempre maggiore di questi controller sì di nicchia, ma comunque utilizzati dagli appassionati del genere.

Volete un personaggio facile da usare, forte e con mosse abbastanza abusabili? Baraka fa per voi. Qui immortalato in una Brutality.

E che dire dello story mode? Come direbbe qualcuno, ha indubbiamente dei “grandi valori produttivi”. L’enfasi sui filmati - che non si sa perché vanno a 30 fps mentre tutto il gioco va a 60, ma vabbé - è incredibile, risaltando non solo le espressioni ma la gran cura riposta nei modelli dei personaggi; la scoperta continua di come Liu Kang ha rimodellato il mondo a sua volontà è veramente una chicca, poi. Ritrovare volti storici e noti ma sotto nuove vesti, motivazioni, origini è forse uno dei motivi di maggiore attrattiva, così come veder nascere nuove alleanze o rivalità. Il lavoro è tanto, si vede e lo si apprezza pure. Al contempo, è proprio lo Story Mode che mi ha fatto porre una forte e al momento ancora non risolta domanda: ma per chi è pensato davvero, questo Mortal Kombat 1?

Faccio focus momentaneo proprio nello svolgimento dello Story Mode. Come appena detto, il più gran valore in una storia da classico action movie di seconda categoria (come da tradizione della serie, intendiamoci) è il gioco di rimandi e rimaneggiamenti di cui su. Vedere Shao non più tiranno ma “semplice” generale, Raiden che acquisisce i poteri del tuono dopo un lungo allenamento e un magico amuleto, Johnny Cage attore in disgrazia e verso la bancarotta, Baraka che fa il giro e diventa “buono”.. insomma, si ha la stessa sensazione di quando si legge uno di quei mega “What If” con cui la Marvel fumettistica ha stuzzicato i suoi fan più dediti. Ma ciò tradisce di fatto la sua natura di nuovo punto di partenza della serie, un “universo di Mortal Kombat tutto rivoluzionato”, come dice il sito internet del gioco. E allora, per accogliere anche chi magari approda alla serie per la prima volta o ritorna dopo tanto tempo, fa quello che i “numeri uno” delle serie a fumetti Marvel e DC fanno da ormai troppi anni: infarciscono il tutto di spiegoni insopportabili, didascalici e fuori dalla grazia di ogni scrittore decente. Lo Story Mode è tutto così: una situazione scatenante, un interludio di pippozzi per raccontare il contesto a tutti ma proprio tutti tutti e poi scena che porta a un combattimento. Sequenza che può durare anche svariati minuti, per poi risolversi in uno scontro spesso privo di mordente che dura pochi secondi e fa ripartire il circo. E mentre la trama del gioco prosegue in questo modo, il giocatore assiste agli interminabili dialoghi e passa da un lottatore all’altro, imparando probabilmente tanto della lore del gioco ma senza poter apprezzare minimamente il sistema di combattimento o approfondire maggiormente la conoscenza del personaggio stesso. Perché gli scontri durano come già detto poco, la CPU avversaria è spesso imbarazzantemente scarsa (fate salto e calcio, ripetete, profit) e la presenza di Kameo spesso pensati appositamente per lo Story Mode ma non presenti altrove è certamente tematica, ma può finire soltanto per dare il via a cattive abitudini. Ogni volta che ho dedicato anche sessioni di più ore allo Story Mode, la domanda “ma a che serve questa cosa?” me la sono sempre chiesta. E ogni volta trovo risposte solo ambigue o definitive. A meno che vogliamo accettare la risposta “Perché è Mortal Kombat, ha sempre avuto uno story mode” come risposta di per sé esaustiva. Tautologica, ma esaustiva.

La possibilità di personalizzare esteticamente il proprio lottatore preferito è quanto strutturalmente irrilevante quanto in realtà godereccia.

Non dico che dovesse avere qualcosa di assolutamente diverso dal resto del gioco classico come il World Tour di Street Fighter 6, modalità che personalmente aborro e che se - come quanto dichiarato da Capcom - serve ad avvicinare i neofiti al gioco e fargli comprendere le meccaniche, secondo me fallisce miseramente su tutta la linea. Ma nel 2023, avere dei filmati lunghissimi tra uno scontro di mezzo minuto e l’altro mi sembra comunque criticabile. 

Può piacere e può esaltare. Per carità. Così come può piacere la modalità Invasione. Così come grammatica e ritmo tutti suoi del sistema di combattimento. Ma nella mia prova, approfondita per quanto mi riesce ma certamente non del tutto esaustiva sul fronte competitivo, non ho ancora ben capito la finalità di questo “rilancio” della serie rappresentata da gioco e il titolo di Mortal Kombat 1

Un gioco con colori magnifici e alcune animazioni ancora tremende, un sistema di combattimento rinnovato e decisamente scosso dai Kameo che resta fedele a se stesso, forse troppo, pur provando nuove soluzioni. Qualcosa che tenta di avvicinare nuovi fan ma che forse è davvero godibile solo da chi la serie la ama da sempre visceralmente - lato Story Mode - o da chi è pronto ad affrontare più ore di allenamento che di vere e proprie battaglie - lato competitivo - per approfondire a dovere tutte le combinazioni tra lottatori e Kameo.

Un gioco che mi intriga, anche dopo tutte queste ore. Ma che non so dire in tutta onestà se mi abbia ancora convinto.