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Aiuto, non mi hanno tradotto la mamma! | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Parlare di Mother mi fa sempre un gran piacere: è uno di quei giochi che mi è entrato nel cuore sin dalle prime sessioni, e probabilmente resta a oggi uno dei miei giochi preferiti di sempre.
Sicuramente è un gioco grezzo che dimostra tutti gli sulle spalle, complice una struttura che ti lascia vagare in una mappa senza darti troppi indizi ( e lasciandoti perdere pezzi di trama in giro, così come è difficile trovare i comprimari); ma, ehi! Anche quello è parte del suo fascino.

Mi piace vedere mother come una serie che rappresenta tre fasi della vita umana: l’infanzia (Mother), l’adolescenza (Earthbound) e l’età adulta (Mother 3). Tre opere che si completano senza andare a interferire l’una con l’altra.

La trama nel primo gioco è sì importante, ma il poter perdere degli eventi chiave fa sì che l’esperienza possa risultare a tratti confusionaria, e per certi versi è giusto così. Dopotutto siamo Ninten, un bambino di dodici anni che non si pone poi troppe domande: sa solo distinguere il bene e il male, non le sfumature che ci sono in mezzo.

Ho sempre amato parlare con i cani, e la prima cosa che faccio nei giochi che me ne danno la possibilità è parlare con gli animali per sentire il loro suono. Quando il cane di Mother mi parlò, ricordo che mi gasai tantissimo.

Quando scoprii l’esistenza di questi fantasmagorici JRPG avevo dodici anni, e se la memoria non mi inganna, frequentavo la seconda media. Nintendo non aveva fatto uscire nessuno dei suddetti tre capitoli in Europa, e così ero dovuto andare a caccia sul web per trovare le rom: internet non era come oggi, si navigava nei forum in cerca di consigli su cosa giocare.

E così, trovai Mother.

Essendo abituato a RPG Maker 2000/2003, la grafica in 8 bit non mi spaventava assolutamente e, anzi, venni subito rapito dal mondo di gioco, anche se non avevo completamente capito dove diavolo andare. Fu amore a prima vista, Mother era un gioco che, al di là della tristezza di fondo (si cerca di ridere, ma c’è sempre quella stoccata di malessere cosmico che ti porta sull’orlo del pianto), mi ha sempre divertito e mi mette di buon umore ancora oggi.

Perché è un po’ come la vita vera, ci sono i problemi, quelli veri e grossi da risolvere, ma ci dovrebbe essere sempre tempo per una risata, per uno “stress relief” che ci distenda.
Mother è il mio stress relief, quello a cui spesso e volentieri faccio appello ogni volta che ne ho bisogno: il problema è, che fosse per Nintendo, io Mother non lo avrei mai giocato sino al 2015.

Proprio così: il primo Mother, datato 1989, fu distribuito in occidente per la prima volta ventisei anni dopo, quando io ne avevo ventidue. Il bello è che la traduzione ufficiale era pronta: Nintendo aveva pianificato l’uscita del gioco sul suolo occidentale nel 1991, ma con l’avvento del Super Nintendo decise picche e di non pubblicare più il primo gioco di Shigesato Itoi, pensando che avrebbe in qualche modo fatto concorrenza al lancio della console negli Stati Uniti. La traduzione amatoriale del gioco è certamente interessante, e a conti fatti devo ancora capire se la versione che mi ha iniziato nel 2005 fosse quella con ufficiale o meno.

Non sono uscito fuori di brocca coi conti, tranquilli. Nel 1998, una copia “strana” di Mother in inglese fu messa all’asta, e il codice di gioco venne estratto dalla cartuccia e distribuito su internet; si trattava di una delle copie che sarebbero dovute essere prodotte in massa per l’occidente.

Per moltissimi anni (e a dir la verità ancora oggi non ci sono certezze; perlomeno io, non conoscendo il giapponese, non ho modo di verificare) si è pensato che tutta questa storia fosse una leggenda: dopotutto era il 1998, noi cercavamo Mew sotto il camioncino della M/N Anna di Pokemon Blu e Rosso, figuratevi che cosa ci si sarebbe potuto inventare. E invece, quando uscì per Game Boy Advance (ovviamente, sempre in Giappone) la raccolta con i primi due giochi, si scoprì che era tutto vero: alcune modifiche disposte per la versione occidentale del titolo erano state effettivamente riprese dal port per GBA.

La storia di Nintendo bislacca con le sue non traduzioni della serie di Shigesato Itoi, però, non finisce qui: ormai sono quindici anni che aspettiamo una traduzione ufficiale di Mother 3, e a questo punto non penso arriverà mai. Questo, però, è parte di un discorso più ampio che affronteremo in un altro articolo.

Questo articolo fa parte della Cover Story “Meglio tardi che mai”, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.