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Old! #140 – Dicembre 1985

Old! è esattamente quella stessa rubrica che da vent'anni vedete apparire su tonnellate di riviste o siti di videogiochi. Quella in cui si dice "cosa accadeva, nel mondo dei videogiochi, [inserire a piacere] anni fa?" Esatto, come su Retro Gamer. La facciamo anche noi, grazie a Wikipedia, pescando in giro un po' a caso, perché siamo vecchi nostalgici, perché è comoda per coprire il sabato e perché sì. Ogni settimana, anni Settanta, Ottanta, Novanta e Zero, o come si chiamano. A volte saremo brevissimi, a volte saremo lunghissimi, ogni singola volta si tratterà di una cosa fatta senza impegno, per divertirci assieme a chi legge, e anzi ci piacerebbe se le maestrine in ascolto venissero a dirci "oh, avete dimenticato [inserire a piacere]".

A dicembre del 1985 si sfreccia in alto nel cielo in due giochi la cui importanza storica non è proprio la stessa. Sky Kid è uno sparatutto a scorrimento orizzontale pubblicato da Namco e basato sul solito hardware Namco Pac-Land. Primo gioco Namco a offrire il multiplayer per due giocatori, Sky Kid pone al controllo di Red Baron e Blue Max, due giovani piloti di biplani impegnati in battaglia. Il setup base prevede un tasto per l'utilizzo delle mitragliatrici e uno per l'esecuzione di giri della morte, ma lungo i livelli è necessario recuperare anche delle pratiche bombe, necessarie per il completamento delle ventuno missioni. L'utilizzo della manovra di loop, fra l'altro, è legato alla scoperta di segreti che si dividono fra guest star dell'universo Namco e ballerine in abiti succinti.

Sky Kid fa parte del rilancio di Namco sul mercato americano dopo il termine delle partnership con Midway e Atari, ma anche in seguito al famoso crash del 1983. Pur non riscuotendo un clamoroso successo, segnerà in maniera forte, sul piano stilistico e produttivo, il nuovo trend della casa nipponica. Il gioco godrà fra l'altro di un seguito nel 1986, tale Sky Kid Deluxe, e rimarrà abbastanza nel cuore dell'azienda, perlomeno a giudicare dal quantitativo di omaggi e apparizioni che si vedranno nei decenni successivi in giochi di ogni tipo. La conversione per NES, fra l'altro, apparirà su tutte le Virtual Console Nintendo.

Il vero pezzo da novanta, comunque, è Space Harrier. Nientemeno. Ambientato nella Fantasy Zone (sì, quella) è uno dei primi giochi arcade basati su una tecnologia classificabile come “16 bit” ed è uno fra i tanti parti degli anni d'oro del grande Real di Yu Suzuki. La scheda utilizzata è la stessa del precedente Hang-On e propone una grafica bidimensionale concepita e strutturata come se dovesse essere poligonale, in 3D effettivo. Cosa voglia dire non lo so, sto parafrasando. Oltre ad essere uno fra i primi esempi di sparatutto 3D in terza persona (certo, su binari), Space Harrier introduce anche l'utilizzo di una cloche analogica per la gestione dei movimenti, che registra quindi il livello d'inclinazione per determinare la rapidità degli spostamenti (e abbiamo pure voci digitalizzate e cabinati “full” con seggiola avvolgente, venghino siori venghino!).

Ma di che si tratta? Oddio, davvero devo spiegarvelo? Beh, è un gioco in cui si svolazza in giro con un cannone sotto all'ascella e si spara a tutto quello che si muove, mentre delle scacchiere ci scorrono sotto i piedi. O qualcosa del genere. Accolto come il secondo avvento del messia, Space Harrier segnerà a fuoco generi, vite e carriere, godrà di conversioni su ogni formato possibile e immaginabile (tipo anche su 32X) e si beccherà perfino una recensione di Babich quando arriverà il momento per cui il gioco è nato: l'uscita su Nintendo 3DS. Seguiranno nuovi episodi, spin-off, crossover e diavolerie assortite.