Old! #158 – Aprile 2006
Old! è esattamente quella stessa rubrica che da vent'anni vedete apparire su tonnellate di riviste o siti di videogiochi. Quella in cui si dice "cosa accadeva, nel mondo dei videogiochi, [inserire a piacere] anni fa?" Esatto, come su Retro Gamer. La facciamo anche noi, grazie a Wikipedia, pescando in giro un po' a caso, perché siamo vecchi nostalgici, perché è comoda per coprire il sabato e perché sì. Ogni settimana, anni Settanta, Ottanta, Novanta e Zero, o come si chiamano. A volte saremo brevissimi, a volte saremo lunghissimi, ogni singola volta si tratterà di una cosa fatta senza impegno, per divertirci assieme a chi legge, e anzi ci piacerebbe se le maestrine in ascolto venissero a dirci "oh, avete dimenticato [inserire a piacere]".
Nel trattare l’aprile del 2006, come per quasi tutti i mesi degli anni 00, ci sarebbero miliardi di videogiochi da menzionare, quindi facciamo un po’ di selezione e limitiamoci a quattro, ché tanto Wikipedia serve anche a questo. Il 7 aprile, per esempio, arriva Tomb Raider Legend, settima uscita nell’interminabile saga delle avventure di Lara Croft, ma soprattutto la prima successiva al disastroso The Angel of Darkness e anche la prima non sviluppata da Core Design. Crystal Dynamics prende infatti in mano la faccenda e ottiene risultati talmente buoni che finirà per realizzare altri due episodi di questa “versione” della serie e occuparsi poi del reboot nel 2013.
Siamo più o meno al decimo anniversario della nascita di Lara Croft e Tomb Raider Legend coglie l’occasione per andare a raccontare le origini del personaggio, ma anche per svecchiare e snellire le meccaniche di gioco. Il risultato non convince tutti i fan di vecchia data ma, come detto, incontra un buon successo e permette di rilanciare un marchio che leggendario a fine anni Novanta ma caduto in disgrazia nella prima metà del decennio successivo. Si tratta fra l’altro anche del primo Tomb Raider a manifestarsi su Xbox 360 e PlayStation 3.
Nello stesso giorno il mercato europeo accoglie Guitar Hero, con cui Red Octane e Harmonix uniscono le forze per buttarla in quel posto a Konami e fare una valanga di soldi producendo la loro versione occidentale e mainstream di Guitar Freaks. Il gioco ricalca le produzioni musicali Konami in maniera piuttosto netta, ma ci aggiunge comunque le trovate giuste, proponendo una tracklist decisamente più nazionalpopolare, basata su trenta cover di pezzi rock pescati fra quattro decenni diversi della storia musicale, e aggiungendo due tasti sul manico del controller, che danno vita a meccaniche decisamente più complesse, soprattutto ai livelli di difficoltà più alti.
Il successo di critica e pubblico è enorme e immediato, Guitar Hero vende come un bastardo e trasforma il filone dei giochi musicali da roba bizzarra di nicchia a fenomeno multimediale senza freni, capace di generare miliardi di profitto con questa sola serie, senza metterci in mezzo imitazioni e concorrenti vari. Anche se poi il tutto imploderà dopo qualche anno, si può comunque considerare Guitar Hero come uno fra i giochi più influenti del decennio, con buona pace di chi ha avuto per primo l’idea ma non ha saputo sfruttarla. In Konami stanno ancora cercando di capire cosa sia successo.
Pochi giorni dopo, il 13 aprile, arriva finalmente anche dalle nostre parti Dragon Quest VIII: Journey of the Cursed King. L’uscita avviene con oltre un anno di ritardo rispetto a quella giapponese, ma tutto sommato ci si può accontentare, se consideriamo che è il primo Dragon Quest ad arrivare in Europa, vent’anni dopo la pubblicazione nipponica del capitolo che diede inizio alla serie. Curiosamente, si tratta anche della prima volta in cui per la versione occidentale di Dragon Quest non viene utilizzato il titolo Dragon Warrior, con cui è fino a questo punto noto in America.
Rispetto alle evoluzioni sempre più lanciate di Final Fantasy, Dragon Quest VIII si distingue per un classicismo quasi esasperato sul piano delle meccaniche e dei cliché narrativi, anche se indubbiamente le novità non mancano. Per esempio, è il primo capitolo della serie a poter vantare un motore grafico interamente 3D, sul quale viene però applicata la tecnica del cel-shading per conservare lo stile visivo dettato dal design in zona Akira Toriyama. Dragon Quest VIII otterrà un notevole successo di critica e pubblico (verrà addirittura votato come il quarto videogioco della storia in una classifica giapponese), ma nonostante questo il capitolo successivo verrà pubblicato su Nintendo DS. Valli a capire.
Il mese si chiude con la pubblicazione nipponica di Mother 3 per Game Boy Advance, purtroppo destinato a non giungere mai in occidente, se non per mezzo di manovre losche e traduzioni apocrife. Alle spalle di questa uscita, comunque, c’è uno sviluppo molto travagliato, iniziato dodici anni prima su Super Famicom e proseguito poi su Nintendo 64 e 64DD, prima della sospensione dei lavori nel 2000 e la ripresa nel 2003, con l’abbandono del previsto motore grafico 3D in favore di una grafica adatta alla console portatile Nintendo. Successivamente il gioco vedrà la luce anche sulla Virtual Console Wii U, ma sempre senza speranze di uscita ufficiale dalle nostre parti.
Mother 3 recupera bene o male il sistema di gioco degli episodi precedenti ma vi aggiunge alcune novità, per esempio in un’inedita meccanica di combo musicali. La storia, ambientata diversi anni dopo quella del secondo episodio, affronta diversi temi tosti e va a costituire, assieme alla realizzazione audiovisiva, l’aspetto più apprezzato da una critica che si dimostra invece un po’ fredda sul fronte del gameplay. Questo non impedisce a Mother 3 di vendere benissimo in patria e diventare oggetto di culto tanto quanto i precedenti episodi, se non ancora di più. Molti lo reputeranno il miglior GdR mai uscito su Game Boy Advance.