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Oltre Alita

Per chi è abbastanza vecchio da ricordarlo, il manga di Alita arrivò in Italia nella seconda ondata dei fumetti giapponesi, dopo che gli apripista Ken il Guerriero, Kimagure Orange Road e Video Girl Ai avevano aperto la strada a questo nuovo genere, inedito fino primi anni Novanta. Alita era un nome del tutto sconosciuto, quando approdò nel nostro paese, e da che ricordo io, è anche stato il primo manga cyberpunk pubblicato in Italia, anche se ai tempi era semplicemente presentato come “fantascienza”. Il nome scelto per l’edizione italiana, Battle Angel Alita, deriva dall’adattamento americano del manga GUNNM di Yukito Kishiro e, per chi se lo sta domandando, il nome GUNNM, pure, è una roba traslitterata male dal neologismo che Kishiro ha inventato per titolare la sua opera. I due caratteri che troneggiano sulla copertina dei suoi volumi sono quello di “pistola”, traslitterato come “GAN”, dalla lettura dell’inglese “gun”, e quello di “sogno, visione”, che invece ha la corretta lettura giapponese “MU”.

Insieme, andrebbero tradotti con un qualcosa tipo “sogni di metallo”, molto più vicino a un Philip K. Dickiano Electric Dreams che al sottotono religioso americano di un “Battle Angel”, che infatti non c’entra una mazza con l’immaginario del fumetto. Da che ricordo, l’unica cosa vagamente angelica in tutto il manga è la singola illustrazione di Alita a gattoni con la parte superiore del corpo robotica, le ali da angelo e il bel culo umano, basta. Tutta la caratterizzazione “Angel” di Alita si basa su quell’unica immagine, usata credo come paginone centrale in un Shonen Jump o giù di lì, un po’ come quando in Italia le sigle dei cartoni animati di basavano sulla trama delle prime due puntate di una serie. E anche se ho sempre preferito il titolo GUNNM a Battle Angel Alita, apprezzo però il nome Alita, perché la “Gally” del fumetto originale nun se po’ proprio senti’, soprattutto in italiano, e pure in giapponese, con quel “gal” che negli anni Novanta faceva tanto esotico ma è invecchiato malissimo, come nome.

Tutte queste cose, però, quando facevo il liceo negli anni Novanta, non le sapevo, e quando Alita uscì, lo acquistai non tanto perché ne avessi sentito parlare, ma semplicemente perché in Italia uscivano in tutto un qualcosa come quattro o cinque testate manga. Tra me e mia sorella, le compravamo tutte, perché ai tempi c’era molto quella cosa del partitismo, che bisognava sostenere il nuovo mercato dei manga in tutti i modi perché era una cosa nuova che capivano in pochi, e alla fin fine eravamo la generazione cresciuta a pane e cartoni giapponesi: quelle cose lì erano molto più nel nostro DNA di Tex o Topolino. Col senno di poi, soprattutto la cosa del partitismo era una sporta di cazzate, e un sacco di manga erano oggettivamente robaccia; robaccia a cui ti ci puoi affezionare, ma robaccia, e negli anni a venire vendetti/buttai/regalai praticamente tutti i manga che avevo in casa. Ma di tutta quella merda che lessi ai tempi, se c’è un singolo manga che ricordo ancora oggi con estremo piacere, che leggo ancora oggi quando ne ho la possibilità e che cito sempre come esempio clamoroso di sci-fi fuori dagli schemi, quel manga è Alita. Non Berserk, non Video Girl Ai, non Dragonball. Tutti bei titoli, ma non come Alita, no.

Sarò romantico ed è senz’altro la nostalgia a parlare, ma credo che la serie originale di Alita sia letteralmente perfetta: ha personaggi interessanti che crescono nel corso della storia, un world building che ancora oggi, dopo più di vent’anni, rimane originale e insuperato, combattimenti ben sceneggiati, storie d’amore che finiscono male e storie d’amore che finiscono bene, personaggi che muoiono… ha pure una parte sportiva! Meglio di così… Certo, è tutto in salsa cyberpunk, per cui, se non piace quella, difficilmente piacerà il resto, ma Alita è e rimane, insieme ad Akira, una fra le punte del cyberpunk giapponese. Quello che mi spiace molto è invece che questa serie stupenda sia tutto sommato poco conosciuta ai più: anche molti amanti di questo genere non hanno mai sentito parlare di GUNNM, nonostante, a ben vedere, sia una serie ancora in corso di pubblicazione. La verità, da un lato, è che negli anni Novanta era difficile comprendere la qualità di una cosa come Alita, perché mancava il background di riferimento degli altri manga: io ne ho colto la grandezza dopo aver letto altre decine di manga di merda. E d’altro canto Alita è davvero TANTO cyberpunk, un genere che nello scorso ventennio è stato oscurato nella cultura pop dal fantasy prima (Il signore degli anelli, Harry Potter) e dalla Marvel poi, e che pertanto è rimasto relativamente di nicchia. Inoltre, non ha le caratteristiche di un prodotto mass market, perché il suo cyberpunk è un misto di far west, space opera e gore, che è tanto diverso da Star Wars quanto da Blade Runner e che scende a molti pochi compromessi, o piace o non piace. Trovo molto interessante che una major hollywoodiana abbia deciso di finanziare un film così “grosso” su Alita, perché significa che non sono l’unico ad averci visto qualcosa di unico nel panorama delle migliaia di manga usciti in Giappone negli ultimi trent’anni. Oddio, è ovvio che non sia piaciuto solo a me, ma quando i tuoi gusti coincidono con quelli di Guillermo del Toro, James Cameron e Robert Rodriguez, beh, fa piacere. Perché in un manga come Alita non ti ci puoi imbattere per caso, è troppo piccolo e sconosciuto perché possa succedere: lo puoi conoscere solo se lo hai letto da ragazzino e te lo sei ricordato per tutta la vita, per quanto era figo! GUNNM è esattamente questo, un fumetto così interessante da rimanerti in testa, se non per la storia, per i disegni, se non per i disegni, per le sue idee uniche: Tiphares, la città discarica, il Panzer Kunst, Marte, Desty Nova, un mondo in cui umani, robot e cyborg sono indistinguibili gli uni dagli altri, e in cui il corpo e “anima” non hanno segreti per la scienza, che insieme al potere rimane l’unica merce di scambio.

La prima serie di Alita è davvero eccezionale, consigliata a chiunque sia anche solo un minimo interessato al genere. Davvero non mi vengono in mente nei o punti morti, livello altissimo dall’inizio alla fine. Le altre serie? Beh, ricordo che all’uscita di Last Order, avvenuta ben cinque anni dopo la conclusione del manga originale, Kishiro, nell’introduzione, precisò che quella serie costituiva una storia “alternativa” di Alita, perché infatti non è compatibile con il finale della serie originale, che per fortuna rimane intonsa nella sua perfezione. Last Order, in sé, offre un sacco di spunti interessanti, perché la prima serie di Alita spiega relativamente poco delle vicende che precedono l’arrivo della ragazza sulla terra, e ancora meno della città orbitale gemella di Tiphares e di tutto il resto del sistema solare. Il manga originale spiega bene quello che serve ai fini della storia e a mio parere fa anche bene a focalizzarsi appunto sulle vicende in essere, un po’ come in un film come Mad Max: Fury Road, non serve spiegare come Immortan Joe abbia messo su il suo impero, perché non è quello il punto. Alita fa un po’ quella cosa lì, ma Kishiro, chiaramente, aveva un sacco di idee in testa e non ha resistito a metterle tutte in Last Order prima e in Mars Chronicles poi. Personalmente, sono contento di aver letto Last Order, che per altro è durato quattordici anni, contro i soli cinque della serie originale: ci ho trovato un sacco di belle trovate e alcune sequenze d’azione davvero ben fatte. Ne consiglierei la lettura? Assolutamente no.

Last Order pare la versione fan fiction dell’Alita originale, con delle parti molto belle che potrebbero essere parte del lore ufficiale, ma in mezzo a un sacco di cazzate senza senso e di gare a chi ce l’ha più lungo. È divertente, ma molto gratuito e strapieno di cose che non c’entrano una mazza. In Last Order, Kishiro è riuscito a metterci cose come: vampiri (quelli che succhiano il sangue), lo storyline che unisce il mondo di Alita e il nostro, la versione super sayan di Alita, la versione super sayan gatto di Alita, l’internet della galassia, i venusiani (mi pare) che mangiano i bambini, i marziani (sempre mi pare) che, invece, i bambini li usano come soldati, più parole in tedesco del primo e secondo anno di lingua al liceo, il tutto annaffiato da una serie di tornei di arti marziali spaziali che anche no, da sempre il minimo comune denominatore dei manga d’azione giapponesi. Insomma, di cadute di stile, Last Order ne ha tante tante tante, d’altronde è anche dura inventarsi cose nuove per quattordici anni e, probabilmente, la qualità altalenante è anche stata la ragione per cui la serie, nonostante la lunghezza ragguardevole, non ha più fatto parlare molto di sé, perlomeno al di fuori dei circoli di appassionati.

E dopo Last Order, Kishiro, evidentemente non ancora soddisfatto dei neologismi in lingua tedesca introdotti in Alita, si è lanciato in Mars Chronicles, che, lo ammetto, è un manga davvero originale e interamente ambientato su di un pianeta Marte come non se ne sono mai visti da nessuna parte, tanto che vale la pena di leggerlo solo per il setting. La cosa che mi indispone di più di questa serie, almeno fin dove sono arrivato a leggerla (sono indietro di qualche numero), è che da un lato Alita è per fortuna lasciata un po’ da parte per dare spazio ad altri personaggi (e ha tipo due anni), ma dall’altra, quando la tira in ballo, se ne esce con delle cose agghiaccianti… Nel complesso, è meglio di Last Order e, a voler essere positivi, Mars Chronicles è un manga che consiglierei, ma che si muove davvero pericolosamente vicino al baratro.

Insomma, la morale della storia è che Battle Angel Alita è un manga impressionante e Yukito Kishiro non è riuscito a mantenere i seguiti allo stesso livello, ma spero proprio che Robert Rodriguez abbia saputo rendere onore a questa storia con il film. Dai trailer, mi pare che abbia messo un po’ troppa carne sul fuoco, perché dei quattro archi del fumetto (la città discarica, il motorball, agente di tiphares e finale), tutti piuttosto corposi, ne copre almeno due, e solo l’assenza di Desty Nova, che è troppo importante e “cinematografico” per non mettercelo, mi fa pensare che l’adattamento non punti a coprire tutta la prima serie, ma solo una parte. In generale il fatto che cerchi di fare così tanto mi fa un sacco paura, ma sono fiducioso.

Andrò probabilmente a vedere Alita - Angelo della battaglia fra un paio di settimane: non vedo l’ora e senz’altro farò del mio meglio per atteggiarmi da quello che “la conosceva prima che diventasse famosa”.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata ad Alita e alla fantascienza giapponese moderna, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.