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Onimusha: Warlords, un samurai surrogato | Racconti dall’Ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Chi segue il calcio avrà di certo familiarità con il calciomercato. Le squadre di calcio cercano di migliorare i propri risultati ingaggiando i giocatori più talentuosi e più utili al proprio sistema di gioco. Un concetto simile, seppur preso in maniera molto larga, è applicabile anche al mondo dei videogiochi, soprattutto nel periodo attuale: i produttori hardware cercano di acquisire gli studi di maggior talento e l’esclusiva sulle saghe più popolari, tutto questo per spingere le vendite e la diffusione dei loro sistemi di intrattenimento. Nintendo, nel 2001, mise a segno un colpaccio, assicurandosi i futuri capitoli di Resident Evil come esclusiva GameCube. L’accordo – che fece ovviamente imbufalire i neo utenti PlayStation 2 – era vantaggioso da ambo le parti: Nintendo avrebbe avuto un asso nella manica per attirare l’utenza più matura, mentre Capcom avrebbe potuto spingere nuovi titoli come Devil May Cry e Onimusha: Warlords sulla console Sony per “consolare” gli orfani di Resident Evil, dato che si trattava di progetti nati dalla costola della serie a base di zombie.

Personalmente non avevo troppa fiducia né in Devil May Cry né in Onimusha: Warlords, quantomeno come surrogati di Resident Evil: Il primo era troppo action e il secondo, da quel poco che avevo visto, sembrava più simile a un hack 'n' slash che a un survival horror. Inoltre, l’ambientazione del Giappone feudale rischiava di rendere Onimusha una di quelle serie popolari nel Sol Levante ma di scarso appeal in Occidente.

Ho finito per recuperare Onimusha: Warlords solo qualche anno dopo, quando, verso la fine del 2005, lo incrociai a prezzo stracciato in uno dei classici cestoni. In quel periodo il gioco aveva già accumulato tre capitoli ufficiali e vari spin-off, con un quarto titolo in uscita l’anno successivo.

Diedi a Onimusha: Warlords una chance, anche perché, nel caso in cui non mi avesse convinto, il figliol prodigo Resident Evil era tornato all’ovile.

Fortunatamente il gioco si rivelò una bella sorpresa: la trama vedeva coinvolte figure storiche del Giappone feudale mescolate ad elementi fantastici: il signore Nobunaga Oda stringe un patto con i demoni Genma per ottenere una rapida salita al potere, con il prode samurai Samanosuke Akechi pronto a ostacolarlo, aiutato dalla guerriera Kaede. Gli elementi tipici dei Resident Evil c’erano tutti: fondali pre-renderizzati, struttura a corridoio, enigmi basici, la sostituzione tra i personaggi giocabili e persino le erbette curative. Onimusha era più improntato all’azione, con combattimenti all’arma bianca e alcuni lievi elementi da gioco di ruolo, come il potenziamento delle armi e del personaggio, ottenibili tramite le anime dei nemici, che potevano essere assorbite grazie al “guanto degli Oni”.

Un certo numero di anime – che differivano per colore in base all’elemento di appartenenza (fulmine, fuoco e vento) – serviva anche per sbloccare determinate aree all’interno del gioco. I difetti principali del titolo restano sostanzialmente due: nonostante fosse stato presentato all’epoca come un survival horror, di fatto non lo era; Onimusha era assolutamente privo di qualsiasi tipo di tensione e inquietudine. Inoltre, la durata era piuttosto scarsa: circa cinque ore per portare a termine l’avventura, senza particolari incentivi alla rigiocabilità.

Nonostante la fama della serie, Onimusha venne riposto in naftalina al termine dell’era PlayStation 2, per essere rispolverato soltanto un paio di anni fa con una remaster proprio di Warlords, probabilmente pensata per tastare il polso dell’utenza in vista di eventuali nuovi capitoli. Chissà che il 2021 appena iniziato – magari in occasione dei vent’anni del primo episodio – non porti buone nuove in merito.