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Paper Mario e l'etica del capitalismo | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Vent’anni anni di Paper Mario. Almeno per i giapponesi. Per noi europei un po’ meno, ma comunque un sacco di tempo da quando lo giocai per la prima volta, e ancora di più da quando mi venne negato.

Facciamo un bel po’ di passi indietro: sempre in tema amarcord Bacoli (da dove sto scrivendo in questo momento, per inciso) parecchie estati fa ero, come molti ragazzini del mio paese, intento a compiere lavoretti per racimolare qualche soldino.

Solitamente le mie spese si esaurivano tra coin-op come Metal Slug X, Point Blank o Street Fighter II (quello base, mai arrivato il Super nell’unica sala giochi di Bacoli) e riviste di videogiochi. Proprio su una di queste, un bel giorno, incrocia una roba familiare e strana al tempo stesso. C’era Mario, era 2D, ma con gli sfondi tridimensionali e blocchettosi. Il gioco in questione girava su Nintendo 64, tutti dicevano richiamasse quel Super Mario RPG che ancora non avevo giocato ma - ehi - aveva nel titolo le parole “Super” e “Mario”, probabilmente le mie preferite dell’epoca. E insomma, volevo ‘sto Paper Mario perché quegli screenshot su carta mi sembravano fighissimi. Penso ci siamo passati un po’ tutti.

Mario e Gombaario come me e mio padre le strade di Napoli.

E quindi giù di buona lena a sgobbare e sudare, sgobbare e racimolare, e mettere da parte. A suon di monetine e banconote di piccolo taglio.

Prima che gridiate al lavoro minorile, erano soprattutto piccoli favori a vicini ricompensati con qualche spicciolo, solo aggravati dalla calura tipica di un’estate in provincia di Napoli. E insomma, dopo qualche settimana qualche soldino da parte lo avevo messo, pronto a spenderlo alla prima occasione buona.

Questa si presentò un bel pomeriggio sotto le festività natalizie del 2001, mentre accompagnavo mio padre durante le commissioni di fine anno in giro per Napoli.

Ovviamente il mio era un viaggio piuttosto interessato: uno dei suoi fornitori si trovava nei pressi di un negozio di videogiochi - ora negozio di telefonia - tra i più forniti della zona (anche se per anni non aveva mai avuto Banjo-Kazooie, ma quella forse è un’altra storia per un altro ospizio). Sapevo che nella strada tra il fornitore e il parcheggio avremmo incrociato lo spaccio di giochini in questione, che per la cronaca era il mio preferito dopo quello con le robe di importazione vicino al liceo Umberto I. Chissà se è ancora aperto, o se è diventato un negozio di telefonia?

Prima o poi ci farò un libro, sulle peripezie di mio padre per regalarmi Banjo-Kazooie.

E insomma, come un rapace sulla preda, dopo le commissioni mi gettai sulla vetrina che tra mille lucine natalizie mostrava lo scatolo di cartone con il Mario di cartone. «Dai papà, entriamo nel negozio!», e così fu. Pochi minuti di girovagare da finto tonto per poi gettare la zampata: «Padre, prendo quel gioco e lo pago io, che lo so che il tuo regalo per me è già sotto l'albero».

Ero pronto, tronfio, con la mia mazzetta di banconote tutte stropicciate. Un Natale con i fiocchi, insomma: tra Paper Mario e magari anche un’altro gioco regalatomi da mio padre. E soprattutto il primo di tanti videogame comprati con il frutto del mio lavoro. La prima vittoria del capitalismo insomma.

E invece no. 

Il valore del risparmio.

Con mano ancora più rapida della mia, mio padre mi bloccò il polso dicendo: «Ti ho già regalato un gioco, lo troverai sotto l’albero. Non mi va che spendi tutti i tuoi soldi così, devi sempre avere qualche cosa da parte». Un accenno di obiezione e una chiusura, lapidaria: «Non insistere. Devi imparare anche a risparmiare».

Non era il caso di fare scenate o piagnistei, anche se forse avrei voluto un po’ urlare e certamente un vaffanculo, pur se soffocato, mi sarà scappato. Rimesso a me stesso, tornai a casa da mio fratello e pigiai per l’ennesima volta i tasti di Donkey Kong 64, la cui canzone iniziale ammalia i bambini come la celeberrima sirena omerica.

MRC: Multi-Racing Championship. Ma anche l’anagramma di RCM.

Sconfitto dentro, attesi il Natale. Non avevo molte risorse per spostarmi dalla provincia alla città se non gli affari di mio padre, ergo non potevo procurarmi Paper Mario di nascosto. Il videogioco sotto l’albero si scoprì essere un fetido racing chiamato MRC: Multi-Racing Championship. Non mi frega se a voi piace, continuo a odiarlo tutt’ora e penso continuerò per molto tempo.

La riscossa arrivò, ma molti anni dopo e a GameCube inoltrato. Prima di Paper Mario: Il portale millenario ma dopo aver recuperato - su emulatore - quel gran bel pezzo di software di Super Mario RPG. Dolorosamente giocato su tastiera, per aumentarne il piacere. Neanche a dirlo, Paper Mario era bellissimo. Lo è ancora adesso.