Passeggiare a bocca aperta in The Vanishing of Ethan Carter
Fra i problemi di The Vanishing of Ethan Carter c'è una certa dose di coda di paglia, impreziosita da del sano maniavantismo, da un pizzico di spocchia e, forse, anche da una punta di incoerenza. Lo fai partire e ti appare davanti una scritta per avvisarti: "Questo gioco non ti prende per mano come tutti quei videogiochi moderni pensati per gente rincretinita dagli FPS" (potrei stare romanzando un po'). Poi, certo, pochi secondi dopo ti appaiono a schermo le indicazioni da tutorial su come utilizzare gli stra-basilari comandi ma, ehi, non sottilizziamo, non ti stiamo mica guidando per mano. Tanto più che, effettivamente, quando cominci ad esplorare gli incredibilmente belli, ricchi, vivi ambienti creati da The Astronauts, scopri effettivamente un mondo di gioco tutt'altro che lineare. The Vanishing of Ethan Carter non propone un'esplorazione agganciata a dei binari, nonostante i primi passi vengano compiuti proprio sopra a una strada ferrata (e faccio un po' fatica a non vederci Adrian Chmielarz che fa l'occhiolino urlando "META!"). Tutt'altro: puoi avanzare a piacere, ignorare completamente gli enigmi e tirar dritto fino in fondo. Peccato che poi arrivi in fondo e, se ti sei perso qualcosa per strada, il gioco ti tira una righellata proprio sulle dita di quella mano tramite cui non ha voluto guidarti.
The Vanishing of Ethan Carter è sostanzialmente un'avventura basata sull'esplorazione e su un leggero lavoro d'investigazione, che chiede di analizzare a fondo gli ambienti per risolvere una decina di enigmi sparsi in giro. Gran parte di questi puzzle si appoggia sui poteri extrasensoriali del protagonista, capace di unire i puntini delle scene del crimine e ricostruire l'accaduto, ma ci sono anche due o tre variazioni sul tema, una delle quali dà fra l'altro vita a un enigma davvero molto bello. Ora, la libertà di movimento è effettiva: il mondo di gioco (l'ho detto che è bellissimo?) è piuttosto aperto e liberamente esplorabile e, per quanto sia fin troppo evidente il percorso da seguire, è possibile perdersi per strada dei passaggi, ignorare alcune sezioni e, volendo, tornare dopo ad approfondirle. Il problema è che "volendo" non è il termine adatto: il finale di The Vanishing of Ethan Carter non ha la coerenza e il coraggio di assumersi la responsabilità di quella spocchiosetta dichiarazione iniziale e permetterti di concludere le sue vicende ignorandone alcune parti. No, se ti sei perso dei pezzi per strada, devi tornare indietro a recuperarli (sfruttando anche gli spostamenti veloci aggiunti tramite aggiornamento, va detto). Ora, questo non è necessariamente un grosso problema, e magari non è neanche una scelta di design poi così contraddittoria, ma insomma, un po' m'è suonata storta.
Il lato positivo della faccenda sta nel fatto che sto cercando il pelo nell'uovo. Toh, eccovene un altro: stiamo parlando di un gioco dall'esplorazione libera, che non ti vuole tenere per mano e che però si appoggia lo stesso sull'utilizzo dei checkpoint, invece di permettere salvataggi veloci dove si preferisce (e qui mi viene da menzionare la serie di Crysis). Intendiamoci, la cosa non è esageratamente fastidiosa e, tutto sommato, considerando che ogni volta che si compie un progresso significativo nelle investigazioni scatta il salvataggio, può andare benissimo anche così. Però può anche capitare di ritrovarsi ad esplorare gli ambienti per una buona mezz'ora, scovare un paio di cose, dover interrompere la partita e poi scoprire che quella mezz'ora è andata persa. Oh, a me è capitato. Non fa piacere.
Ma insomma, dicevo, i peli nell'uovo. Credo di averli finiti. Anche perché dovrò pur giustificare il voto che ho messo là in fondo, che per un po' ho seriamente pensato di poter mettere anche più alto (ma poi mi sono ricordato della legge Calcaterra, secondo cui, nell'indecisione, è sempre meglio puntare sul voto più basso). L'unica altra critica che mi sento di fare a The Vanishing of Ethan Carter va messa tra virgolette. Facciamolo: "critica". Il primo lavoro del team The Astronauts è, vuole essere e si presenta assolutamente come uno di quei videogiochi narrativi che ultimamente vanno sempre più di moda. Va anche detto che è in realtà molto più "giocoso" di tanti altri, se consideriamo che si basa quasi interamente su una serie di puzzle da affrontare pasticciando con indicatori a schermo, numeri fluttuanti e via dicendo. Non è Dear Esther o Proteus, insomma. Però non è neanche uno sparatutto, un'avventura grafica con centomila enigmi da risolvere o un gioco di ruolo con statistiche che si manifestano in ogni dove.
E quindi, cosa si fa? Si va in giro, si ammirano i (pazzeschi) paesaggi, si esplora ogni centimetro alla ricerca di cose da scoprire, ci si immerge in un'atmosfera da sogno, si risolvono degli enigmi in larga parte molto simili fra loro (ecco, questo, magari, è un po' un limite), si scoprono un paio di puzzle "extra" molto azzeccati e si vive una storia affascinante, toccante e più densa di suggestioni rispetto a quanto possa sembrare a un primo sguardo. Alla fin fine, The Vanishing of Ethan Carter è questa cosa qui. È un gioco indipendente con un motore grafico da urlo, che – pur senza essere poi così pesante – ti permette di gironzolare in un'ambientazione bellissima, roba da star lì tutto il giorno ad ammirarla. È un racconto affascinante, dalle suggestioni lovecraftiane, capace di estrarre dal cilindro qualche bella sorpresa e di condurti (per mano?) a una conclusione emozionante. Ed è anche un'avventura investigativa molto riuscita, nonostante il suo essere certamente esile all'occhio dell'appassionato di avventure grafiche.
Gli enigmi sono tutti molto ben strutturati, soprattutto per il modo in cui riescono nella magica tripletta: sono divertenti da risolvere, molto ben contestualizzati nel mondo di gioco e pure utilizzati meravigliosamente bene per raccontare la storia. Il racconto, poi, si poggia con gran mestiere su tutti gli elementi a disposizione: gli enigmi, come detto, ma anche le classiche "pagine" da leggere sparse in giro, qualche accenno di cutscene e un gran lavoro sulla costruzione degli ambienti, sempre infarciti di piccoli e grandi dettagli che arricchiscono personaggi, racconto e contesto. Ed è tutto abbandonato lì per il giocatore, sparso in giro in un mondo bellissimo e libero. Il bello di The Vanishing of Ethan Carter sta anche soprattutto nel goderselo immergendosi placidamente nelle sue atmosfere, capaci di alternare relax, fascino, inquietudine, ansia, dramma e suggestioni surreali non solo grazie alla (pazzesca) grafica, ma anche tramite la qualità della scrittura e l'eccellente colonna sonora dinamica. E insomma, per carità, può non piacere, possono dar fastidio alcune scelte di design, ma nel complesso Adrianino Chmielarz ha tirato fuori un signor gioco con cui presentare al mondo il suo nuovo studio.
Mi sono immerso nelle valli di The Vanishing of Ethan Carter grazie a un codice Steam fornito dallo sviluppatore. Ho impiegato circa tre ore e mezza per giungere alla conclusione dell'avventura e ho poi passato un'altra decina di minuti gironzolando fra i boschi alla ricerca di un paesaggio che mi convincesse per la mia nuova copertina su Facebook.