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Il mezzo miracolo di Pilotwings | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

La serie Pilotwings è forse una delle meno apprezzate nella scuderia Nintendo o, quanto meno, non esattamente la prima che viene in mente quando si pensa ai prodotti della casa di Mario. Per un motivo o per l’altro però, si tratta di un franchise che ha avuto una grandissima importanza per la grande N.

Parando del tutto onestamente devo ammettere che anche per me, tra tutte le serie Nintendo, quella di Pilotwings è sicuramente quella con cui ho avuto meno a che fare in tutta la mia lunga vita di videogiocatore. Come dicevo però, a suo modo, si può dire che dagli anni Novanta in poi, questo brand ha significato molto non solo per Nintendo, ma per i videogiochi in generale.

Perché quest’affermazione? possiamo vedere la cosa da almeno due prospettive diverse.

La prima: il Super Nintendo è indubbiamente una delle console più amate della storia, e per il suo lancio Nintendo aveva bisogno di qualcosa che mostrasse i “muscoli” della console (sì, a quei tempi anche Nintendo puntava sulla forza bruta dal lato hardware). Infatti, tra le svariate capacità grafiche della sua console a 16 bit, sicuramente una delle più importanti e innovative era il famigerato Mode 7 che permetteva di ruotare e distorcere fondali bidimensionali come una texture 3D.

Il primo progetto sviluppato per dare a pubblico e sviluppatori dimostrazione di questa caratteristica (era il 1988) fu “Dragonfly”, una demo dove si pilotava una libellula robotica in grado di sparare. Da questa demo nacque il concept di Pilotwings.

E qui arriviamo alla seconda “chiave di lettura”. Non sono un veterano dei simulatori di volo, quindi potrei dimenticare qualcosa, ma Pilotwings fu certamente uno dei primi, se non appunto addirittura il primo nel suo genere. Seguendo la politica tipicamente nintendiana, il gioco pensato per il lancio del Super Famicom differiva decisamente dai giochi di “aerei” a cui il pubblico fino ad allora era abituato. Un’idea folle! In Pilotwings non si vestivano i panni di un sedicente asso dell’areonautica alla guida di un aereo da guerra, ma si chiedeva “semplicemente” al giocatore di conquistare dei brevetti di volo.

Dimenticatevi quindi appassionanti doghfight, scontri aerei alla Ace Combat (a proposito, qui trovate la riflessione acconcia di Stefano Cappuccelli) e missioni belliche di vario genere (tranne che per l’ultima missione dove si esce leggermente da questa formula, ma ci arriviamo dopo…). In Pilotwings l’obbiettivo del giocatore è padroneggiare diversi tipi di mezzi leggeri, una formula tanto spartana quanto intrigante, soprattutto per un’epoca dove videogioco di aerei era automaticamente sinonimo di sparatutto.

Questo concept affascinante, unito alla sbalorditiva realizzazione tecnica (parliamo pur sempre di un gioco per console del 1990) e al fatto che si trattasse di uno dei giochi di lancio di una delle piattaforme più attese di sempre (facendo un parallelismo odierno, a quei tempi, l’uscita del Super Famicom/Super Nes era un evento forse ancora più catalizzante di quanto potrebbe esserlo oggi il lancio di una PlayStation), resero Pilotwings un vero e proprio successo, nonostante gli altri titoli di lancio della nuova ammiraglia Nintendo fossero nomi del calibro di Super Mario World e F-Zero.

A quei tempi la stampa specializzata, manco a dirlo, si strappò i capelli. E come poteva essere diversamente? il Mode 7 portava su console qualcosa di mai visto prima. Non si trattava di vero e proprio 3D, ma la fluidità e l’efficacia di questa tecnica, per molti versi stupiva tanto quanto i poligoni spogli dei giochi tridimensionali dell’epoca.

Eccoci dunque nei panni di un pilota che deve conquistare diversi brevetti di volo.

Le discipline da padroneggiare sono: biplano, deltaplano, jet-pack e paracadute. Alla fine di ogni prova, ci veniva assegnato un punteggio, ed anche questa idea che oggi appare banale, in realtà spingeva il giocatore a giocare e rigiocare ripetutamente ogni sessione per arrivare ad ottenere dei perfect score in tutti i patentini.

Un gioco tutt’altro che frenetico, dunque. Atmosfere rilassanti sottolineate da musiche perfettamente a tema, dove la difficoltà non era dettata dalla presenza di nemici, ma dall’ottenere punteggi sempre più alti provando e riprovando a non schiantarsi con il deltaplano nel tentativo di passare all’interno di tutti gli anelli sospesi in aria, centrare ogni bersaglio con biplano piuttosto che atterrare nel giusto modo con il Jet-Pack o non spiattellarsi al suolo dopo un lancio con il paracadute.

Conclusa la nostra formazione di pilota, a suggellare l’esperienza di gioco c’era la missione finale alla guida di un elicottero con l’obbiettivo di salvare alcuni ostaggi.

Piccola nota a margine: negli anni a venire Nintendo avrebbe riproposto la formula del simulatore non bellico più o meno sempre con lo stesso spirito di “gioco demo” di lancio, prima su Nintendo 64 e poi su Nintendo 3DS, saltando GameCube (per il quale sarebbe dovuto essere sviluppato da Factor 5) e Wii (dove ne troviamo un assaggio in Wii Sports Resort), ma questa è un’altra storia… .

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata alle gioie del volo, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.