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Se le parole fanno male, un ananas ancor di più.

Meno di novanta minuti. Questa è più o meno la durata di Pineapple, A bittersweet revenge. E se io fossi un insegnante delle medie (per i più pignoli scuola secondaria di primo grado) userei le mie due ore di lezione per farlo giocare alle mie classi. È divertente, è colorato, è breve, è piuttosto facile e non bisogna essere dei pro gamer per terminarlo, ha una colonna sonora rockeggiante che ti entra in testa e non ti lascia più. Ma soprattutto ha un messaggio chiaro e diretto: se il bullismo non va bene, siamo sicuri che la vendetta sia la risposta? E con quali mezzi? Può un ananas essere un’arma? D’altronde, che male può mai fare un ananas?

La prima di una moltitudine di ananas.

Per ammissione degli stessi sviluppatori barcellonesi Patrones Y Escondites, “l'idea originale è nata da un post su Reddit più di dieci anni fa. Un utente anonimo ha condiviso una storia di vendetta su un nuovo ragazzo a scuola che viene molestato da un bullo per mesi. Un giorno decide di porre fine a tutto ciò acquistando un ananas. Quindi inizia a posizionare segretamente ananas negli spazi personali del bullo, facendolo impazzire. Questa storia ha risuonato con noi a causa delle nostre esperienze con il bullismo e nel modo in cui utilizzava l'umorismo per affrontare un problema serio. Presentava anche un dilemma morale: cercare vendetta rischia di trasformare te stesso in un prepotente.”

Il nostro “povero” avatar con una sfilza di molestie che ha dovuto subire.

Nel gioco vestiamo i panni di un* adolescente (il nostro personaggio non ha una sessualità specifica e l’escamotage grafico che hanno utilizzato gli sviluppatori è stato quello di coprire il viso con un adesivo della frutta con su scritto “Don’t panic, it’s organic”) appena trasferit* in una nuova scuola dove viene subito pres* di mira e bullizzat* da colei che verrà rinominata semplicemente “the witch”, che nella scena iniziale costringe la vittima a mettere in bocca un lecca lecca prima intinto nella candida acqua del WC scolastico. Le angherie continueranno per mesi, fino a quando la vittima, dopo aver pedinato e appuntato su un quaderno tutti gli spostamenti e le abitudini della strega, decide di mettere in scena la sua vendetta. Comincia a piazzare ananas freschi nei luoghi più inaspettati e a sabotare la sua vita.

Per mettere in atto la vendetta serve organizzazione. Niente di meglio che un quaderno pieno di appunti.

Il primo posto che viene in mente è il classico armadietto della palestra. Per fare ciò, prima di tutto bisogna non farsi vedere dagli altri studenti, approcciandosi con una piccola fase stealth. Poi dedurre la combinazione del lucchetto: qui entra in gioco il nostro quaderno degli appunti e spulciando tra le varie informazioni raccolte, dobbiamo capire quali numeri ha impostato la strega. Ecco fatto, il primo scherzo è stato portato a termine. Ora non resta che aspettare di vedere la faccia della bulla quando, aprendo lo sportello, si troverà davanti un bel ananas. Alla fine di questa scenetta, compaiono gli scagnozzi della strega (denominati Monobrow e Bleached blonde), che cantano un motivetto ska che riepiloga lo scherzo. Questo, in breve, è il loop di gameplay del gioco. Cambiano le ambientazioni, le deduzioni e i minigiochi in stile WarioWare, ma il fine è sempre lo stesso: piazzare l’ananas per far perdere il senno alla strega. Dopo nove di questi scherzi, potete immaginare lo stato mentale della bulla, che da carnefice si trasforma in vittima.

Forse la parte più riuscita e memorabile del gioco sono proprio le canzoncine che cantano questi due tizi.

Pineapple, a Bittersweet Revenge, più che un videogioco. è un giocattolo. È un giocattolo divertente e colorato, che utilizza un segno grafico volutamente imperfetto, sgangherato, quasi abbozzato, come fossero scarabocchi di un adolescente. Lo stesso dicasi per la colonna sonora, che sembra registrata in uno scantinato da un gruppetto alle prime armi. Oserei definirlo un progetto DIY (fai-da-te), nel senso che si evince un approccio anticonformista, punk e artigianale, che utilizza in maniera grezza e umoristica il mezzo videoludico per lanciare però un messaggio forte. D’altronde, credo che gli sviluppatori avessero bene in mente il target a cui aspiravano: farsi giocare da preadolescenti e adolescenti, che magari si riconosceranno in una delle due parti. Non sarà certo un videogioco a far scomparire i bulli da scuola (soprattutto ora che il bullismo è diventato anche e soprattutto cyber) ma io, se fossi un professore, un paio delle mie ore le dedicherei a far piazzare ananas. Non si sa mai.