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Pixel Game Maker MV: Prima o poi tutti ci passano. L’importante è arrivare fino in fondo!

Da vent’anni insegno game design. Ho iniziato a insegnarlo prima ancora di capire come funzionasse, probabilmente per testardaggine o perché non c’era nessun altro disposto a farlo. Con il tempo, però, ho acquisito una certa padronanza dell’argomento ( e daje… ) e sono riuscito a mettere insieme una mole di contenuti e pratiche che dà vita a corsi di livello base e avanzato strutturati su più semestri. Ma c’è sempre un limite che tende a scoraggiare gli studenti meno determinati: il codice.

Un numero sorprendente di persone che inizia a creare un gioco non lo completerà mai. La parte più difficile dello sviluppo non è nelle prime fasi concettuali. Avere l’idea per un gioco è la parte più facile di tutto il processo. Basta mettersi nel mood giusto e trovare gli stimoli appropriati che, nel giro di pochi minuti, le idee cominciano a sgorgare senza controllo. Ma da sole, le idee non valgono molto. Tuttavia, non importa quanto ci si sforzi nel fare ricerche o scrivere pagine e pagine di documentazione (sempre necessarie per non perdere il filo, eh!), un gioco esiste solo quando ci si può giocare. E, per quanto incoraggi gli allievi a partire sempre da carta e penna per creare velocemente i prototipi che definiscono i loop principali del gioco come sistema (gestione delle risorse, movimento dei personaggi, potenza di fuoco delle armi e così via), ad un certo punto occorre passare davanti a uno schermo.

Ai bei tempi (metà anni Ottanta), se non volevi studiare il BASIC, c’era solo Shoot’Em-Up Construction Kit (meglio noto con l’acronimo SEUCK) sviluppato da Sensible Software, che consentiva tramite il joystick di modificare gli sprite, gli sfondi e le meccaniche di semplici sparatutto a scorrimento (anche multiplayer). Con gli anni, questa pratica si è diffusa grazie agli editor di livello messi a disposizione da alcune volonterose software house (a cominciare da id Software, e poi Valve ed Epic), che permettevano agli appassionati di aggiungere nuovi contenuti al proprio gioco preferito e, successivamente, offrivano la possibilità di esportare il proprio prodotto come file eseguibile. Visto che questo articolo non parla della storia degli engine di gioco, basti ricordare che da questo originario spirito di condivisione sono nati editor potenti e versatili come Unreal Engine e Unity3D, usati oggi per la creazione di prodotti commerciali.

Parliamo di engine incredibili, disponibili con licenza gratuita, su cui esiste tantissima documentazione: ma lo scoglio è sempre lì, a un certo punto arriva il codice. E proprio per ovviare a questo ostacolo, sono nati nel tempo altri software (meno versatili, ma la flessibilità ha un prezzo), che permettono di plasmare la materia ludica semplicemente tramite menu a tendina, spuntando caselle e componendo le logiche di gioco come un puzzle (più o meno). Tutta questa menata ci fa arrivare finalmente a Pixel Game Maker MV. Squillino le trombe!

Se, in mezzo ai tanti, questo engine ha attirato la mia attenzione, è perché sviluppato da Kadokawa, gli stessi dell’apprezzatissimo RPG Maker, che ha svezzato una schiera infinita di dungeon master digitali. Ma mentre RPG Maker limitava l’interazione a un tipo di meccaniche molto specifiche del genere, con Pixel Game Maker MV si aprono le frontiere di nuovi generi ludici, come sparatutto verticali, platform orizzontali e puzzle game dotati di fisica 2D.

L’engine si presenta tramite sei palette principali per la gestione dei vari elementi, come ci ricorda la scheda di presentazione:

  • risorse: permette di preparare e organizzare gli asset visivi necessari;

  • tiles: gestisce le "tessere" per la creazione dello scenario e della mappa di gioco, con la possibilità di impostare velocemente i collider;

  • oggetti: consente di gestire le proprietà dei personaggi degli oggetti presenti in scena;

  • animazione: per dare il movimento che serve alle immagini;

  • scene: dove il gioco viene effettivamente costruito, posizionando i tile su vari livelli (da sfondo a primo piano) e poi gli oggetti con cui interagire;

  • transizione: consente di collegare le varie scene per dare forma al gioco finale.

A queste si aggiunge la palette di plug-in, che permette di incorporare parti di codice, se proprio vogliamo personalizzare determinati aspetti di gioco senza navigare attraverso i menu. Menu davvero esaustivi, va detto, fra i quali potrebbe però essere facile perdersi, visto che l’interfaccia utente è piuttosto generica e, in alcuni casi, rischia di creare un po’ di confusione, soprattutto all’inizio, quando si cerca qualcosa che non si trova dove ce lo potremmo aspettare.

L’aspetto migliore, quello per cui si potrebbe anche essere disposti a pagare i 72€ del prezzo chiesto da Steam, è che il software è ricco di risorse da cui attingere. Il modo migliore per cominciare è proprio quello di partire da qualcosa di già confezionato, per iniziare a sperimentare e studiare come migliorare le proprie skill di game designer.

La composizione delle scene, infatti, è il pezzo forte di Pixel Game Maker MV: una volta che avete disegnato e importato i vostri tile set, potete allestire velocemente l’universo di gioco e cominciare a testarlo. La parte divertente (o meno, dipende dai punti di vista) comincia quando si interagisce con le logiche tramite un sistema di visual scripting tutto sommato efficace, anche se non particolarmente elegante. Quando lanciamo l’anteprima, possiamo continuare a vedere le connessioni e i blocchi del nostro diagramma di flusso che si illuminano, evidenziando così la struttura che abbiamo pensato per il nostro sistema di gioco.

Molto carina, poi, l’opzione che permette di cambiare al volo alcuni parametri, che permettono di dare carattere alle immagini che scorrono sullo schermo, tramite filtri che con semplici tocchi la invecchiano come un cabinato degli anni Ottanta.

Insomma, Pixel Game Maker MV è un engine funzionale e in alcuni frangenti ben strutturato, anche se in altri casi può risultare un po’ contorto e, chiaramente, si dimostra limitato nelle potenzialità (niente 3D, per intenderci). Ma se avete idee per un platform 2D o uno sparatutto vecchia scuola e non sapete come svilupparli, forse potete partire proprio da qui, anche se, sulla piazza, ci sono già valide alternative, a prezzi altrettanto contenuti se non addirittura gratuite (come Stencyl – che ha un sistema di logiche drag & drop davvero ben congegnato).

L’importante è cominciare a testare il vostro gioco, il più velocemente possibile, e finalizzarlo. Il momento difficile, infatti, sorge sempre dopo, quando si pensa di aver quasi finito. Ma è indispensabile ricordare che qualsiasi cosa finita è sempre meglio di qualsiasi altra cosa non finita. Un gioco a cui si può giocare, anche se realizzato in maniera terribile, è migliore di qualsiasi idea, anche la più sorprendente, solo perché quel gioco esiste e l’idea no.

Finire non significa "avere un gioco perfetto". Nessun gioco, o qualsiasi altra attività creativa, sarà mai veramente completo agli occhi del suo creatore. Ecco perché, non appena è possibile - non appena il gioco è giocabile e capace di intrattenere il pubblico di riferimento - va messo sul mercato e lasciato andare. Le lezioni più importanti di game design si possono apprendere solo con la pubblicazione del proprio prodotto. In questo, Pixel Game Maker MV può rivelarsi vostro alleato.