Post Mortem #13: Gli anni d'oro di Lucasfilm Games
Una rubrica in cui vi raccontiamo i post mortem dei principali videogiochi, vale a dire le considerazioni a posteriori, da parte dei membri del team di sviluppo, su cosa abbia funzionato e cosa no durante il lungo processo che porta alla nascita di un videogioco.
Alla Game Developers Conference 2014, per la prima volta, si è deciso di dedicare un classic post mortem a uno studio di sviluppo, invece che a un singolo gioco. E la decisione è cadta su Lucasfilm Games, per una celebrazione anche un po' dovuta, alla luce della recente chiusura di LucasArts. In sala erano presenti Steve Arnold, Noah Falstein, David Fox, Ron Gilbert, Peter Langston e Chip Morningstar e a prendere la parola è stato innanzitutto Langston, "convocato" allo Skywalker Ranch da George Lucas nel 1972. "Nel cinema," racconta Langston, "spendi soldi per anni e quando poi finalmente esce il film ti arrivano quattrini a valanga. A quel punto devi reinvestirli in attività deducibili, altrimenti ti viene mangiato tutto dalle tasse. E George Lucas investiva in tecnologia."
Ai tempi di Il ritorno dello Jedi, il caro George decise che era giunto il momento di utilizzare le tecnologie moderne nel business dei videogiochi, che dal punto di vista tecnologico era mostruosamente indietro rispetto a quello cinematografico. Ma del resto, "All'epoca si lavorava in bit, non in byte". La cosa bella del lavorare in Lucafilm Games, fin da subito, al di là dell'opportunità incredibile di collaborare con i talenti al soldo di George Lucas in altri campi, fu lo spirito con cui veniva condotto lo studio. È un concetto che esprimeranno poi mano a mano tutti gli altri presenti sul palco: si lavorava con gente di talento che veniva lasciata libera di essere creativa, fregandosene delle scadenze, in una situazione in cui tutti erano alla pari e facevano squadra. E gente come David Fox faceva sostanzialmente quel che voleva fare, portando avanti le proprie idee anche se a Langston non piacevano.
Nel suo primo anno di vita, Lucasfilm Games non creò giochi, ma solo strumenti e tecnologie che avrebbe poi utilizzato. Per mettere alla prova questi strumenti, vennero creati due giochi, così, senza impegno, e finirono per tirare fuori due creazioni pazzesche, cose mai viste prima, tipo un "giochino" che componeva musiche al volo, in tempo reale, senza nulla di pre-registrato. All'epoca, quando veniva mostrato alla stampa, non ci credeva nessuno. Insomma, vennero fuori due cosette come Ballblazer e Rescue on Fractalus. Il secondo, in particolare, è una pietra miliare insensata e che ancora oggi in molti ricordano come il primo videogioco davvero in grado di terrorizzare.
Per l'epoca, mostrare con visuale in prima persona quel genere di grafica era qualcosa di incredibilmente nuovo. Se ne era occupata Loren Carpenter, esperta sul fronte dei frattali e reduce dall'aver gestito la sequenza di terraforming in Star Trek II: L'ira di Khan (hai capito, i vantaggi del lavorare in Lucas). La gente pensava non si potesse realizzare una grafica 3D su Atari, ma la Carpenter imparò il linguaggio di programmazione in un amen – la leggenda narra che le servì appena una notte – e realizzò l'impossibile. Ma Rescue of Fractalus non era solo una demo tecnica, anzi. Nell'idea originale, David Fox voleva realizzare un gioco basato su Guerre Stellari ma, come noto, fra le imposizioni di Lucas ci fu quella di dover creare materiale nuovo e non potersi appoggiare sulle sue creazioni. E a proposito di Lucas: il suo input fu fondamentale nella genesi del gioco. Fu lui, di fronte a una prima versione "pacifista", a suggerire che ci voleva un tasto per far fuoco e fu lui a suggerire l'inserimento di un maggior elemento di tensione.
Per questo venne aggiunta la trovata del mostro, che iniziava a manifestarsi dopo qualche livello di gioco. Il team riuscì a mantenere la cosa segreta a tutti quanti, stampa compresa, e questa si rivelò forse come la principale carta vincente del gioco. Ancora oggi ricevono lettere di gente che ricorda il tragico momento in cui per la prima volta venne terrorizzata da un videogioco. Con tanti anni di anticipo sui cani di Resident Evil, in Lucasfilm Games erano stati i primi a farlo.
Una tradizione di Lucasfilm era la riunione aziendale in cui tutte le varie sezioni dell'azienda mostravano ciò su cui avevano lavorato e stavano lavorando. Per Lucasfilm Games, si trattava di un momento drammatico, perché prima di loro Industrial Light & Magic metteva in mostra l'apice degli effetti speciali cinematografici e poi arrivavano loro con quattro pixel in croce su un piccolo monitor. Glom. Nel 1987, però, i ragazzi avevano in mano un progetto che magari non avrebbe sconvolto nessuno sul piano estetico, ma era mostruosamente avanti nei tempi: un MMO, nel 1987, su Commodore 64. Rendiamoci conto. Si intitolava Habitat, era un progetto dall'ambizione pazzesca e sarebbe stato il primo MMO vero e proprio dieci anni prima di Ultima Online.
Steve Arnold era entrato in Lucasfilm Games con la carica di general manager. Fin da subito sviluppò la sana abitudine di raccogliere tutte le idee che venivano in mente ai suoi collaboratori e archiviarle. Eri un esaltato David Fox che buttava lì una trovata assurdamente geniale e apparentemente senza speranza? Steve Arnold se la appuntava con cura e la infilava nello schedario. E poi, quando si presentava in sede un possibile investitore, apriva lo schedario, estraeva e scaricava sul tavolo idee a decine. E fu sostanzialmente così che nacque il progetto Habitat.
Chip Morningstar e Noah Falstein stavano chiacchierando di intelligenza artificiale, una cosa tira l'altra e si ritrovano a tirar fuori l'idea di questo gioco online, che venne poi proposta a un rappresentate di Commodore quando passò in visita... taaac... al lavoro su Habitat. A testimonianza del ruolo paritario di cui tutti godevano, Mornigstar si ritrovò improvvisamente a dirigere il progetto, imparando il lavoro sul campo. Era una follia, che per certi versi sarebbe folle ancora oggi, ma che all'epoca, lavorando su floppy disk e modem a 33.000 baud, era qualcosa di totalmente insensato. Con Habitat, Langston e i suoi coniarono il termine "avatar", mentre tentavano di creare una cosa completamente folle e il brand Lucasfilm permetteva loro di provarci. E quasi ci riuscirono: paradossalmente, Habitat morì perché finì per essere troppo popolare e i costi per la manutenzione dei server, all'epoca, erano proibitivi.
Noah Falstein fu il primo ad arrivare in Lucasfilm Games potendo già vantare esperienza nel settore e infatti tutti gli altri lo consideravano un vecchio e antiquato rompipalle. Dal suo punto di vista, ma vale per tutti i presenti sul palco, il fatto di non poter utilizzare il marchio di Guerre Stellari fu una gran cosa, perché li costrinse a non adagiarsi e a lavorare per inventarsi cose altrettanto valide. Senza contare che, di fatto, loro erano gli unici impiegati di Lucasfilm che potevano permettersi di inventare storie non scritte da George Lucas. Il motto del barba, l'indicazione di base che dava ai suoi sottoposti, era "Stay small, be the best and don't lose any money". Messa cosi pare semplice, ma il succo, di nuovo, è che in Lucasfilm Games si respirava grande aria di libertà creativa. Erano, secondo Falstein, l'equivalente di uno studio cinematografico indie, sempre impegnati a creare cose nuove e belle, a collaborare, mai disposti a sacrificare il gioco in nome di una scadenza.
Ron Gilbert, invece, venne assunto per realizzare una conversione, fece amicizia con Gary Winnick e, chiacchierando con lui, gli venne l'idea di un gioco nato dalla loro passione per il cinema horror. Peccato che dopo sei mesi di lavoro erano ancora al punto di partenza e infatti Gilbert dice che, per lui, il ricordo della creazione dello SCUMM (Script Creation Utility for Maniac Mansion) è sostanzialmente il ricordo di quando quasi si fece licenziare. Dopo quei primi sei mesi di lavoro buttato nella discarica, venne aggiunto al progetto David Fox, perché "si decise che serviva un adulto". In generale, però, anche Gilbert ribadisce il solito concetto: al di là del fatto che lui temeva di farsi licenziare per la perdita di tempo, in Lucasfilm non si percepiva mai il timore del fallimento. "Eravamo troppo stupidi per sapere quel che non si poteva fare" e soprattutto erano liberi di creare. "Non potevamo usare le licenze Lucas perché si facevano più soldi affidandole altrove, ma era un bene. Anni dopo, con LucasArts, i team di sviluppo si trovarono costretti ad operare fra i confini stabiliti da chi creava i marchi su cui lavoravano. E questo, alla lunga, finì per rovinare tutto."
Ma Ron Gilbert era anche un fan, un fan che racconta con fastidio il suo primo incontro con George Lucas. Avvenne dieci anni dopo l'uscita di Star Wars, in un periodo in cui Lucas e Steven Spielberg, all'apice della fama, si erano rasati le iconiche barbe per evitare di farsi riconoscere. E quindi Gilbert fu delusissimo: finalmente incontri George Lucas... e non ha la barba?!? Ma Gilbert è inarrestabile e continua a tirar fuori ricordi e aneddoti. Di nuovo, il solito ritornello: "Facevamo gli sviluppatori indie, in un'epoca in cui era comunque più semplice farlo. Oggi l'innovazione non manca, ma per lo più ci si limita a ripetere all'infinito modelli rodati. All'epoca si provavano cose nuove alla cieca, senza sapere se avrebbero funzionato." Nel parlare di questo, Gilbert menziona anche la leggenda secondo cui i primi dieci film della Pixar sarebbero stati ideati nel giro di un pomeriggio e ribadisce che Lucasfilm Games funzionava in maniera molto simile, alimentata oltretutto dalla continua competizione con il resto dell'impero di George Lucas.
E, a proposito di competizione, in quegli anni c'era una certa Sierra. La rivalità era molto intensa, anche se, per quanto magari a noi italiani possa sembrare strano, in Lucasfilm Games erano gli underdog: un King's Quest vendeva dieci volte quel che riusciva a totalizzare un Maniac Mansion. Per Lucas andava meglio in Europa, dove i giochi Sierra erano distribuiti male, e c'era un dominio assoluto in Germania, quel luogo assurdo in cui ancora oggi il PC e le avventure grafiche dominano e Gilbert viene accolto come una star da gente che ostenta tatuaggi dedicati a The Secret of Monkey Island. Ma la competizione con Sierra, per quanto (o forse proprio perché) a senso unico, era amichevole: una volta organizzarono una partita di Baseball fra i due studi e si giocò allo Skywalker Ranch. Ovviamente vinse la squadra di Sierra. In trasferta. Sigh.