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Per un retrogaming migliore: Frank Cifaldi e le sue idee sulla preservazione del videogioco

Frank Cifaldi ha dedicato gran parte della sua vita adulta al lavoro di archivio e storicizzazione del videogioco. Ha un passato da curatore di siti dedicati ai classici del settore, al retrogaming, alla riscoperta dei giochi svaniti, ha collaborato con svariate pubblicazioni di spessore, fra cui Gamasutra, e oggi lavora nello sviluppo, con ovviamente già a curriculum un fulgido esempio di retrogaming come la Megaman Legacy Collection. Alla Game Developers Conference 2016 è intervenuto per parlare di questi temi a lui estremamente cari, come potete vedere nel video qua sotto, che ho recuperato qualche settimana fa e vi propongo con piacere, provando poi anche a raccontarlo e riassumerlo per chi non ha voglia di sucarsi un tizio che parla per un'ora e/o per chi fa un po' fatica con l'inglese parlato.

La passione per i videogiochi di Frank Cifaldi nacque a metà anni Ottanta. Aveva un Atari 2600 in casa fin dal 1982, ma l’amore vero esplose, come per tanti americani della sua generazione, con il NES, nel 1985. Un mondo di videogiochi gli si spalancò davanti e lui lo abbracciò con tutta la propria forza, abbonandosi fra l’altro a Nintendo Power, pubblicazione bimestrale che diventò, di fatto, la sua unica lettura regolare. All’interno della rivista poteva fra l’altro scoprire e bramare sensualmente giochi completamente folli come Clash at Demonhead, River City Ransom o Dinowars («I dinosauri mech! Fichissimo!»), tutta roba destinata al solo mercato giapponese, che dalle sue parti non arrivava proprio.

Come accade a molti, la passione per i videogiochi si spense un po’ crescendo, ma tornò in forza nel 1998, quando Frank acquistò il suo primo computer con accesso a internet. Provò a curiosare alla ricerca dei giochi della sua infanzia e venne a conoscenza della possibilità di giocarci su PC. C’era, per esempio, un emulatore chiamato Nesticle, dall’immaginario delicatissimo, roba tipo l’icona dell’uomo merda. Ma era qualcosa di incredibile: non solo potevi recuperare tutti i giochi a cui avevi giocato da piccolo, quelli che avevi noleggiato, quelli del vicino… potevi anche mettere finalmente le mani su quei titoli folli di cui avevi solo letto su Nintendo Power. E, certo, alcuni si rivelavano essere bruttarelli, ma che emozione!

Era un periodo in cui stava realmente nascendo la comunità del retrogaming, con fiere, eventi, incontri, un interesse condiviso sempre maggiore, e Cifaldi iniziò a scoprire l’esistenza di cose davvero surreali, giochi non ufficiali fra i più disparati, perfino un clone di Zelda cristiano in cui dovevi combattere Satana tirandogli addosso della frutta. C’erano giochi pornografici! Per NES!

Fu in quel periodo che Cifaldi venne colto dal terrore pensando a un documentario che aveva visto, secondo cui oltre metà dei film risalenti a prima del 1950 sono scomparsi, così come l’80% di quelli precedenti al 1929. E attenzione: non si intende dire che non sono stati ristampati nei nuovi formati, no, sono proprio scomparsi, perduti per sempre. Terrorizzato all’idea di opere che svaniscono per sempre e non sono recuperabili, Frank iniziò a chiedersi come funzionassero le cose per i videogiochi. La gestione storica faceva altrettanto pietà? Sì e no. C’erano, in effetti, persone impegnate a occuparsi di preservazione, ma in campo videoludico non venivano chiamate archivisti o archeologi, bensì pirati. In quel momento, Cifaldi decise di voler essere anche lui un pirata, perché l’unico modo per assicurarsi che i videogiochi non svaniscano è renderli disponibili a tutti.

Ma non solo. Quali sono i giochi più a rischio di sparire per sempre? Quelli mai usciti! Sono tantissimi e non è detto che non siano stati pubblicati perché brutti. Negli anni Ottanta, Nintendo aveva una politica da monopolista particolarmente stretta e imponeva ai vari publisher di pubblicare un massimo di cinque giochi l’anno. Siccome però lo sviluppo era poco costoso, si finiva per svilupparne molti di più, mettendo alla prova le idee più folli, e poi si sceglievano di volta in volta i cinque migliori. Alcuni di quei giochi sopravvivevano e riemergevano anni, decenni dopo sotto forma di prototipi. Cartucce assemblate come oggetti “temporanei”, non pensate per durare nel tempo, magari esistenti in singola copia, pronte a scomparire. Alcuni di questi giochi erano fra l’altro “noti”, perché coperti dalle riviste dell’epoca. Cifaldi si mise al lavoro sul progetto, contattando programmatori, produttori, gente del settore, e nel 2003 aprì un sito, Lost Levels.

Già all’epoca, comunque, Cifaldi aveva capito che “preservazione” non significa solo conservare il gioco in forma più o meno piratata. È importante anche avere memoria di tutto ciò che gli ruota attorno, tra pubblicità, marketing, lavoro degli sviluppatori e delle persone coinvolte a vario titolo. E quindi anche di questo si occupò nel suo sito, che inaspettatamente ebbe successo e finì per dare inizio alla sua carriera di giornalista. Ovviamente, si sforzò per trasformare la sua fissazione in lavoro, scrivendo di questi argomenti su Gamasutra e non solo, anche altrove, per esempio con questo gran pezzo sul lancio del NES, intervistando veterani del settore scomparsi nel nulla, finendo anche a lavorare su altri generi di progetti come Gametap (un servizio di games on demand fallimentare, troppo in anticipo sui tempi, nel quale riuscì comunque a infilare classici come Castlevania).

Oggi, lo dicevo all’inizio, Cifaldi lavora nello sviluppo, presso la resuscitata Digital Eclipse: si è occupato di IDARB per Xbox One, ha sviluppato un gioco basato su Sharknado ma soprattutto è riuscito a convogliare anche lì la sua passione, lavorando sulla Megaman Legacy Collection. L’obiettivo di quella raccolta? Riproporre dei classici del passato in una versione deluxe, cercando di proporla non solo agli appassionati di vecchia data, ma anche ai giovani. Il modo migliore per farlo, ovvio, passa attraverso l’emulazione, ma il problema è sempre quello: è vista come qualcosa di malvagio, di sbagliato, spesso anche dai videogiocatori. Eppure è qualcosa di molto semplice e pulito: semplificando, si tratta di un software che fa comportare un computer come se fosse un’altra macchina. Che c’è di male? Non è “illegale”, “minacciosa”, “poco professionale”, “pigra”, “gratuita”… men che meno è pirateria. Eppure, la percezione è quella.

Quando Cifaldi e i suoi proposero questo progetto, si sentirono rispondere che nei giochi erano inclusi contenuti che non potevano essere riprodotti legalmente senza utilizzare hardware Nintendo. Nessun tribunale ha mai sentenziato contro un emulatore, eppure la percezione rimane quella. Nintendo, nelle sue FAQ, afferma che l’emulazione è sbagliata, che distrugge il settore, che non la aiuta perché sarebbe come aiutare la pirateria. E, se ci pensate, è abbastanza delirante, considerando che da ormai parecchi anni Nintendo utilizza l’emulazione, ci vende degli emulatori. La Virtual Console cos’è, del resto? Fra l’altro, il Super Mario Bros. scaricabile dalla Virtual Console su Wii contiene in avvio di file gli stessi valori hex presenti nella ROM reperibile con una semplice ricerca su Google, valori impostati come “firma” secondo un formato sviluppato nella scena dell’emulazione. Rendiamoci conto: Nintendo ha scaricato la ROM di Super Mario Bros. e ce l’ha venduta. Si autopiratano da soli! O magari c’è un’altra spiegazione, ma bisogna ammettere che questa fa ridere.

Fatto sta che gli emulatori sono percepiti come “cattivi”, Cifaldi e i suoi hanno dovuto lavorare con un avvocato per dimostrare ai propri clienti che il progetto era sensato e hanno finito per ideare una procedura che permettesse loro di emulare i giochi della Mega Man Legacy Collection senza emulare l’hardware.

Ma come mai gli emulatori sono cattivi? Bella domanda.

A gennaio del 1999, sul palco dell’evento Macworld, Steve Jobs presentò Virtual Game Station, un emulatore commerciale prodotto da Connectix, in vendita a 49 dollari, capace di far girare i giochi PlayStation su Mac. Pazzesco. Era la prima volta che si poteva emulare la console Sony, era la prima volta che si poteva giocare a giochi “contemporanei”, emulati su computer, fra l’altro solo tramite disco, senza supporto a ROM (cosa che chiaramente venne aggiunta in fretta dagli hacker, ci mancherebbe). Era uno fra i primi emulatori commerciali e incassò qualcosa come tre milioni di dollari. Due settimane dopo la presentazione, si manifestò anche UltraHLE, primo emulatore di Nintendo 64: supportava diciassette giochi, vide una sola release.

L’emulazione, improvvisamente, diventò popolare, finì su siti e riviste. Prima era solo pirateria mirata al passato e il settore tendeva a ignorarla. Ora, invece, era possibile scaricare giochi contemporanei ed era ben diverso dal piratare su console tramite modifiche scomode, per quanto indubbiamente molto diffuse. Improvvisamente, la pirateria console diventava accessibile come quella PC. E quindi scattarono le cause in tribunale. Sony, per altro aiutata da Nintendo e Sega, portò Connectix in tribunale. Sostanzialmente l’intero settore dei videogiochi contro una piccola azienda software. E vinse Connectix. Successivamente, Sony ci riprovò contro Bleem. E perse di nuovo.

La legge dà ragione all’emulazione. Fare reverse engineering su una ROM per creare un emulatore è legale. L'unica cosa che bisogna evitare e infilarci il codice originale della console.

Sulla carta, si trattava di un passo avanti clamoroso: chiunque, per esempio, avesse pubblicato i propri giochi su vecchio hardware Nintendo poteva reintrodurli sul mercato tramite l’emulazione, ripubblicarli, renderli disponibili per gli appassionati e trarne profitto. E invece non è accaduto. Anzi. Sulle Virtual Console di Nintendo ci sono (relativamente) pochissimi giochi di terze parti. Al di fuori delle Virtual Console e dell’hardware Nintendo, sono disponibili praticamente solo i Mega Man. Non è un po’ un rinunciare completamente a possibili fonti di guadagno? In fondo, l’emulazione permette di ripubblicare i giochi senza problemi. È il modo più economico, sicuro e migliore per farlo. È sicuramente un metodo più diretto, migliore rispetto all’effettuare una conversione. Non serve il codice sorgente, è tutto facilmente gestibile in cross platform, la tecnologia sviluppata è riciclabile su progetti diversi e la riproduzione del gioco originale è la migliore possibile. Poi, certo, non è tutto rose e fiori: è difficile sistemare bug o aggiungere funzionalità e i requisiti hardware, potenzialmente, si fanno più elevati. Ma rimane un metodo preferibile.

E invece il mercato delle riproposizioni di classici del videogioco è incentrato sulle conversioni, che sono sempre lavori derivativi. Sono remake. È inevitabile che ci siano differenze, nuovi bug, modifiche. Ottenere una riproposizione identica al 100% è impossibile e l'impegno richiesto sarebbe insensato. Poi, intendiamoci, i remake sono un'ottima cosa, ma bisognerebbe mantenere disponibili anche le versioni originali, i giochi dovrebbero essere preservati.

Un esempio? Duck Tales Remastered è un gran lavoro, ma cambia tantissimo rispetto all'originale. E il problema è che oggi è possibile comprare solo il remake, dato che il gioco per NES non viene più prodotto dal 1989. Oh, poi, intendiamoci, magari la gente preferisce il remake, ma insomma, non è che il King Kong del 1933 lo buttiamo via, no? E gli esempi si sprecano, a cominciare da una riedizione di Zelda con la storia lievemente modificata. In meglio? Beh, dipende. Voi che dite, ha sparato prima Han o Greedo? E ancora: The Secret of Monkey Island - Special Edition permette di giocare con la versione originale… che però non è la versione originale, non è il gioco a 16 colori di Ron Gilbert. Quello non può più essere comprato.

Insomma, anche quando provano a darci la versione originale del gioco, non ci riescono. Ed è un peccato. Lo è a prescindere da quel che preferisce il pubblico. È un discorso diverso.

OK, ma quello che preferisce il pubblico è importante: un publisher di videogiochi deve pensare anche al guadagno, non è che può gestire il proprio catalogo in base a quel che desidera Frank Cifaldi, no? Certo, ma non è solo lui a bramare il passato. I giochi di una volta sono popolarissimi e seguitissimi. Ci sono decine di migliaia di persone che guardano le speedrun del Duck Tales originale. E l'unico modo legale per realizzare un video di quel tipo consiste nel comprare una console su eBay e gestire tutte le complicazioni hardware.

Però, ehi, magari non c'è davvero un mercato per queste cose. Chissà. Eppure tutti gli altri settori dell'entertainment rivendono i propri contenuti anche a distanza di anni! Come funziona? Cifaldi è andato a curiosare: un film del 1989 che si potrebbe considerare paragonabile a Duck Tales per NES è Io e zio Buck. Nessuno dei due è un capolavoro ma entrambi sono fra i prodotti d'intrattenimento più popolari dell'anno di uscita. Negli anni, il film con John Candy è stato pubblicato su VHS prima e DVD poi, con edizioni su riedizioni, versioni lusso, in raccolte con altri film, quindi in Blu-ray, e oggi è disponibile su praticamente qualsiasi servizio di streaming e video on demand, fra Amazon, iTunes, Google, YouTube, perfino Xbox e PlayStation. Esiste un remake, eh! Ma il film originale viene ancora venduto. Perfino, ripeto, su Xbox e PlayStation, vale a dire le piattaforme su cui di Duck Tales è disponibile solo il remake.

E non è solo il caso di Duck Tales: se prendiamo l’elenco dei giochi più significativi del 1989 secondo Wikipedia (elenco discutibile, ma è solo per fare una prova e d’altra parte vai a trovare l’elenco dei giochi più venduti di quell’anno, se ci riesci), ne troviamo sedici, dei quali solo cinque sono acquistabili ancora oggi e solo uno, Mega Man 2, è acquistabile su più di una piattaforma. I sedici film di maggior successo del 1989 (elenco molto più semplice da mettere assieme) sono tutti in vendita ancora oggi, su più piattaforme. Sono tutti disponibili in Blu-ray, tranne uno. Sono tutti noleggiabili on demand, tranne uno. Potremmo avere la stessa situazione con i videogiochi, dice Cifaldi, ma abbiamo demonizzato gli emulatori e svilito la nostra storia. Ed è un peccato, per i publisher che rinunciano a un guadagno ma in generale anche perché si perde l'occasione di mantenere vivo il ricordo e di far continuare a guadagnare soldi agli autori dei giochi originali.

E la cosa assurda è che l'emulazione commerciale esiste. C'è GOG, SNK pubblica i suoi giochi Neo Geo emulati su Humble Store, ci sono gli Arcade Archives su PS4, c'è la più volte citata Virtual Console, c’è Project Egg, ci sono le cose sporadiche tipo il gioco emulato su mobile o, che so, Bubsy su Steam... Ma si tratta di situazioni episodiche, monopiattaforma, relativamente curate, con una selezione quasi casuale dei titoli, senza valore aggiunto: alla fin fine sono ROM vendute a dieci euro. E, insomma, gli appassionati possiedono già quelle ROM, gratuitamente, talvolta in versioni perfino migliori, grazie all'emulazione. Ma dovrebbero essere loro il target da inseguire! Il successo del mercato musicale digitale ha dimostrato che se il servizio merita è possibile far spendere soldi anche a chi altrimenti scaricherebbe.

Proprio da questa idea è nata l'attività della Digital Eclipse presso cui lavora Cifaldi, che ha rilanciato un vecchio marchio e ha deciso di seguire il modello portato avanti in ambito cinematografico dalla Criterion Collection: giochi ripubblicati in versioni “premium”, pensate per i fan e i collezionisti. Per i giochi giusti, il risultato è molto più appetibile rispetto a una semplice ROM. Così è nata la Mega Man Legacy Collection, lavorando assieme a Capcom e inserendo tutta una serie di funzionalità, per esempio il museo interno con i bozzetti, i disegni, qualcosa come ottocento pezzi da sfogliare. Ma hanno anche recuperato il database dei personaggi dalla versione dei Mega Man ripubblicata sulla prima PlayStation e l'hanno riconvertita in HD, aggiungendo una funzione per allenarsi contro i singoli personaggi. E ancora, hanno inserito un player per le colonne sonore, il time attack con classifica mondiale online, una modalità sfida, oltre alla possibilità di scegliere fra diverse visualizzazioni, simulando l'effetto CRT o anche con il “monitor mode”, che riproduce le scanline ma non aggiunge rumore video finto. «Il problema è che non puoi sapere quale fosse l'intento artistico, se e quanto gli sviluppatori ragionassero attorno ai limiti delle TV dell'epoca, quindi preferiamo permettere di scegliere.» E si potrebbe fare ancora di più, cercando di ottenere interviste con gli sviluppatori, magari anche realizzando commenti audio curati da loro o da storici del settore, realizzando documentari sulla vita del gioco successiva alla pubblicazione originale… purtroppo non aiuta la scarsa attenzione dell’industry alla conservazione delle documentazioni.

Sono tutte funzionalità che aggiungono valore alla produzione senza gonfiare il costo di sviluppo. Permettono di dare un valore percepito superiore, senza farti spendere più di tanto, perché comunque si lavora in emulazione. Tant'è che la Mega Man Legacy Collection è stata sviluppata in otto mesi, con un team principale di tre persone, e ha riscosso un grande successo, al punto che hanno finito per pubblicarla anche in edizione fisica. E, secondo Cifaldi, Capcom ha sbagliato a mettere la raccolta in vendita a solo trenta dollari, anche se sicuramente la percezione che un gioco vecchio debba costare poco è difficile da sconfiggere.

Rimane comunque il fatto che questo tipo di operazione funziona con Mega Man, magari non con Ninja Kid. I super appassionati lo comprerebbero, ma si tratta di un target molto ristretto, che non giustifica questo genere di lavoro. Ma c'è un altro modo.

Mega Man Legacy Collection è stato sviluppato internamente tramite emulazione e poi ricompilato in C, per evitare di vendere un emulatore vero e proprio. Una cosa folle, ma che ha fatto tutti contenti e, in realtà, era comoda per apportare modifiche e fare aggiunte.

Come si fa a mantenere in vita un intero catalogo senza spendere troppo? Perché Io e zio Buck continua a uscire in nuove versioni? Vende meglio di Duck Tales? Forse. Ma il punto è un altro. Il punto è che i formati video standard sono poco costosi da convertire. La spesa è a monte, per eseguire la scansione e la pulizia dell'originale, ma a quel punto hai un master che puoi infilare dove ti pare, sul formato che preferisci. Lo prendi e lo invii ad Amazon, per dire. Ed è delirante che il settore dei videogiochi non abbia ancora elaborato un metodo commerciale per farlo, considerando che sono file in partenza, già digitali. Anzi, il problema è che è stato fatto, ma l'hanno fatto gli emulatori! Gli emulatori, dice Cifaldi, sono l'equivalente videoludico dei codec video. O, se preferite, un codec video è un emulatore di pellicola. Se i publisher la vedessero in questi termini, andrebbe tutto a posto.

Chiaramente dipende dalla piattaforma, ed è senza dubbio più semplice con i vecchi giochi MS DOS, che si possono tutti appoggiare su dosbox, un emulatore open source disponibile per l'uso commerciale. Si può vendere un gioco DOS con dosbox allegato e infatti viene fatto regolarmente su gog.com, dove ci sono quasi centocinquanta giochi DOS. Il fatto, però, è che esiste già l'equivalente per altre piattaforme: si chiama MAME.

Nella sessione di domande e risposte alla fine dell'intervento, si è parlato anche di esperienze online. Come si conserva un MMO o un Farmville? Secondo Cifaldi, potrebbe essere interessante preservarli con dei video registrati, un po' come si conservano le vecchie partite degli eventi sportivi.

Da marzo 2016, anche MAME è open source, distribuito come GPL (General Public License) e quindi utilizzabile in prodotti commerciali. Inoltre, MAME ha assorbito MESS, che fa fondamentalmente la stessa cosa per tutte le altre piattaforme. Contiene una valanga di driver per praticamente qualsiasi console e computer. L'emulazione non è perfetta, tipicamente non è la migliore disponibile, ma è open source, quindi si può contribuire a migliorarla. E, considerando che ci gira praticamente qualsiasi gioco, potremmo definirlo un codec per i videogiochi. Lo studio di Cifaldi, all'epoca del suo intervento alla GDC 2016, stava lavorando per convertirlo nel suo motore proprietario e Cifaldi stesso dice che si stupirebbe molto se non lo facesse nessun altro. Si offenderebbe, addirittura.

«Se una Amazon prendesse MAME/MESS, lo sistemasse in base alle sue esigenze e iniziasse a buttar fuori giochi a valanga, forse, Duck Tales diventerebbe come Io e zio Buck».